Robert Capa 
http://www.icp.org/site/c.dnJGKJNsFqG/b.871855/k.BB9C/Robert_Capa_Archive.htm

http://blog.libero.it/RobertCapa/

http://www.photographers.it/articoli/robertcapa2004.htm

http://www.photographers.it/articoli/cd_capa/index.html

http://www.youtube.com/watch?v=yMeXO2EJh7U

<< En breve (22/09/2003) funcionara una pagina  www.alcoihistoria.com
donde iré incorporando todo lo que se vaya descubriendo sobre "Taino" >>

Vedere le pagine di Franz Borkenau  - Mario Brotons - Cerro Muriano e  Patricio Hidalgo

Mira los paginas de Franz Borkenau  - Mario Brotons - Cerro Muriano y  Patricio Hidalgo

http://www.photographers.it/articoli/cd_capa/img/historiamilitar.pdf

Gerda Taro. Una fotografa rivoluzionaria nella guerra civile spagnola

 


This Is War! Robert Capa at Work

Gerda Taro

17 October 2008 - 25 January 2009

 

 


Robert Capa

ecco le valige segrete

Recuperati in Messico 3.500 negativi

http://www.photographers.it/articoli/robertcapa2008.htm

 

ICP announced the discovery of a cache of over 3,500 negatives of the Spanish Civil War by Robert Capa, Gerda Taro, and David Seymour ("Chim"), three of the leading war photographers of the twentieth century. The negatives, made between 1936 and 1939, include some of the most significant war photographs ever made.

The materials, which became known collectively as the "The Mexican Suitcase," are actually contained in three small cardboard boxes of about 100 individual rolls of film, as well as some short strips of negatives.

ICP is about to begin the formal process of unraveling and conserving the rolls of negatives, and will make a digital copy of each frame so that curators can analyze the content. ICP hopes at some point to create an exhibition and publication with its discoveries, and to make the material accessible to visiting scholars and online.

 


 

 

After Image : Social Documentary Photography in the 20th century

dal 04/11/2006 al 01/04/2007

NGV National Gallery of Victoria International
180 St Kilda Road - Melbourne (Australia)
http://www.ngv.vic.gov.au/afterimage/


After Image: Social Documentary Photography in the 20th century presenta una selezione di 38 immagini di fotografi australiani, inglesi, europei e sudafricani, attivi dal 1870 al 1980: Robert Capa , David Moore , David Goldblatt , Margaret Bourke-White , Bill Brandt , Walker Evans , George Gittoes , Lewis W. Hine , Dorothea Lange , Russell Lee , Marion Post Wolcott , Erich Salomon , Chris Steele-Perkins , Alfred Stieglitz , Roman Vishniac , John Thomson , David Potts , Roger Mayne , Felix H. Man

Ciascuna delle fotografie presentate in questa mostra possiede una qualità importante:
qualcosa che provoca una riflessione che lascia un segno nella nostra coscienza.

Fotografie memorabili che erano il sangue e la vita dei magazines illustrati, il cui periodo d’oro è stato tra gli anni ‘20 egli anni ‘50.

Sulla scena mondiale, durante i conflitti globali, i fotogiornalisti mandavano dispacci dai campi di battaglia e dagli incontri diplomatici,
ed erano il mezzo più importante attraverso il quale tutto il mondo poteva vedere cosa stava succedendo.

Il lavoro dei fotografi sociali ha potenziato la nostra facoltà di capire chi siamo.

 



 
David Moore
Australia 1927-2003
Redfern interior 1949
gelatin silver photograph
30.0 x 40.3 cm
National Gallery of Victoria, Melbourne
Purchased, 1991

 


Robert Capa

American 1913-1954
Death of a soldier, Spain, 1936
gelatin silver photograph
17.0 x 23.5 cm
National Gallery of Victoria, Melbourne
Purchased by Photography Gallery London, 1973

(Endre Ernó Friedmann è nato a Budapest il 22 ottobre 1913)


La National Gallery del Victoria, nata nel 1861, è la galleria d’arte pubblica più antica d’Australia e sede di una delle più vaste collezioni d’arte europea del continente. Dispone dal 2003 di due nuovi sedi, poste l'una non lontana dall'altra, all'interno del vasto complesso dedicato alle arti. All'inizio della St. Kilda Road si trova la NGV International, riprogettata dall'architetto italiano Mario Bellini, mentre appena attraversato il fiume Yarra, si incontra lo Ian Potter Centre, dove sorge la NGV Australia sulla Federation Square.
 

 

 

 

 

 

 

 

Robert Capa
La campagna d’Italia 1943 -1944

dal 10/06/2004 al 09/07/2004
 

la mostra, visto il grande successo di pubblico, è stata prorogata fino al 30 luglio 2004.

In soli 18 giorni di esposizione è stata registrata un'affluenza di oltre mille visitatori di diverse nazionalità, che hanno mostrato unanime gradimento decretando l'esito estremamente positivo della mostra e l'importanza assunta dallo spazio espositivo Sala Santa Rita quale luogo dinamico di incontro, conoscenza e cultura, all'interno delle strutture  e delle iniziative curate e promosse dall'Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma.

La mostra Robert Capa La campagna d'Italia 1943-1944 è inserita tra gli eventi relativi alla celebrazione del 60° anniversario della Liberazione di Roma e ha fatto da cornice a due eventi appositamente organizzati per l'occasione.

Durante l'inaugurazione della mostra, il giovane attore/autore Ascanio Celestini ha proposto una sua personale lettura di temi legati alla memoria civile rielaborati a partire dai racconti e dai ricordi dell'esperienza vissuta da suo padre e sulla base dell'autobiografia di Capa, Leggermente fuori fuoco, pubblicata da Contrasto.

Lo scorso 17 giugno si è svolto, invece, un dibattito dal titolo Primavera 1944. Torna la speranza coordinato dal giornalista e scrittore Vittorio Emiliani con ospiti quali Adriano Ossicini, Giovanni Pieraccini e Mario Verdone.

Paolo Ruffini

Responsabile Relazioni Esterne
Dipartimento Cultura
Comune di Roma 


 


 

 Sala Santa Rita

 via Montanara 8 (piazza Campitelli) - Roma

 Informazioni e prenotazioni: 06 67105568

 Orario: dal lunedì al venerdì, dalle 11.00 alle 19.00 - chiuso sabato e domenica

 Ingresso libero

 


Il 17 giugno, alle ore 18.00, Sala Santa Rita presenta Primavera 1944.

Torna la speranza, ricordi di Adriano Ossicini, Giovanni Pieraccini e Mario Verdone;

coordina il giornalista e scrittore Vittorio Emiliani.
 

 

La mostra presenta il reportage compiuto negli anni 1943-1944 sul fronte italiano, quando Robert Capa accompagnava l'avanzata degli alleati nel nostro paese.

Al seguito delle truppe americane, come fotografo accreditato per LIFE, Capa sbarcò dal Sudafrica in Sicilia e raccontò in immagini l'arrivo a Palermo, Troina, Monreale, Nicosia,
Agrigento e poi ancora in Campania, verso il Valico di Chiunzi, poi Radicosa, Cassino, fino ad Anzio.

A sessant'anni esatti dalla Liberazione, queste immagini di grande forza e bellezza compongono un ritratto insolito dell'Italia, colto in uno dei suoi momenti più delicati e difficili.

La mostra e gli eventi sono inseriti nella celebrazione del 60° anniversario della Liberazione di Roma.

La mostra è curata da Contrasto e Magnum Photos

Organizzazione: Zètema Progetto Cultura

 

 

 

 

 

 

 

 

 
24 giugno 1943
discorso di Mussolini al Direttorio del Partito Nazionale Fascista

IL DISCORSO DEL "BAGNASCIUGA"
«...Il nemico deve giocare una carta. Ha troppo proclamato che bisogna invadere il continente.
Lo dovrà tentare questo, perché altrimenti sarebbe sconfitto prima ancora di aver combattuto.
Ma questa è una carta che non si può ripetere.
Fu concesso a Cesare di invadere per la seconda volta la Britannia, dopo che un naufragio gli aveva disperso i legni coi quali aveva tentato la prima invasione.
E ancora bisogna distinguere tra "sbarco" che è possibile, "penetrazione e, finalmente `'invasione''. È del tutto chiaro che se questo tentativo fallirà, come è mia convinzione,
il nemico non avrà più altre carte da giocare per battere il Tripartito.
Giudica male gli sviluppi di questa guerra colui che si ferma agli episodi.
Il Popolo italiano è ormai convinto che è questione di vita o di morte.
Bisogna che non appena il nemico tenterà di sbarcare,
sia congelato su quella linea che i marinai chiamano del bagnasciuga";
la linea della sabbia, dove l'acqua finisce e comincia la terra;
se per avventura dovessero penetrare, bisogna che le forze di riserva che ci sono si precipitino sugli sbarcati, annientandoli fino all'ultimo uomo, di modo che si possa dire che essi hanno occupato un lembo della nostra Patria, ma l'hanno occupato rimanendo per sempre in una posizione orizzontale, non verticale ».
Il dovere dei fascisti è questo: dare questa sensazione, e non è una speranza, è la certezza assoluta dovuta a una decisione ferrea, incrollabile, granitica...
...In questo periodo il partito deve essere più che mai il motore della vita della nazione,
il sangue che circola, l'aculeo che sprona, la campana che batte, l'esempio costante...
... Questa guerra non si poteva, non si doveva evitare, pena il nostro suicidio, pena la nostra declassazione come potenza degna di storia...
... Oggi il nemico si affaccia ai termini sacri della patria, i 46 milioni di italiani sono, in potenza e in atto, 46 milioni di combattenti che credono nella forza eterna della patria."

Nonostante la retorica e i buoni auspici dichiarati da Mussolini,
la linea del bagnasciuga sarà spazzata via senza colpo ferire
e lo stato maggiore italiano dovrà riparare in una "strenua" ed "efficace" resistenza dei nostri
di fronte alla preponderante forza del nemico.
 
Cit. Giuseppe Chilardi Murolo, Le bugie ufficiali, edizioni spartaco, CE 2004

   

 


http://www.libreriamilitare.com/cgi-bin/select.cgi?cat=173
 

 
 


23038- AAVV,   : Guerra in Italia (La) VHS 
(85'/VHS/ /ITA). Eu 15.50
Dalla conquista di Pantelleria alla presa di Roma del 4 giugno 1944
i documenti dei corrispondenti di guerra americani

 

 


Corriere della Sera - mercoledì 8 maggio 2002 - pagina 35

 

VOLTI SICILIANI

Il soldato Di Fini, eroe tra le macerie di Troina

Lo sguardo fiero di uп uomo che fissa la macchina fotografica, la smorfia di do­lore della bimba che tiene in braccio e che sembra ripararsi dall'obiettivo, il volto enigmatico di una donna sull'uscio dell'ospedale Sant'Andrea a Troina.
L'immagine di Robert Capa è del
б agosto 1943, l'epilogo dell'assedio del paesino siciliano in provincia di Еппa, arroccato sulle mon­tagne a oltre mille metri di altitudine, che fu al centro di un'aspra battaglia fra le trupре anglo-americane e l'esercito tedesco.
 


Vicino Troina, 4,5 agosto 1943
Silvestro Di Fini visto da Robert Capa
(Foto © Robert Capa/Magnum/Contrasto)
Pubblicata sul libro "Leggermente fuori fuoco",
Ed. Contrasto due srl 2002, a pagina 109

 

   Chi è quell'uomo di Troina, quell'eroe che salvò dalle macerie la bambina di sette anni ?

   Si chiamava Silvestro Di Fini.

«E' una foto che custodiamo gelosamente - spiegano Alfio e Concetta, due dei sei figli del signor Di Fini che vivono a Troina -. Qui nostro padre aveva 33 anni. Era arruolato nell'esercito italiano ma in quel periodo era tornato a casa, in licenza premio. Fu una giornata tenibile, рrima di riuscire a entrare a Troina gli americani bombardarono dal 31 luglio al б agosto pesantemente la città, sotto le macerie si contarono 600 morti tra civili e soldati.
Papà
si diede da fare nei soccorsi ed ecco la foto di Capa.
Finita la
guerra,
tornò in Sicilia a piedi da Pisa nonostante che fosse ferito a un piede.
Si rimise a fare il contadino con alterna fortuna, fino a quando trovò un lavoro come minatore nella cava di Troina per conto della ditta Merolda di Trento. Morì il 19 aprile 1953 per un incidente sul lavoro
».

E' una delle tante storie che possono essere ricostruite a 59 anni di distanza.
Volti
dispersi nel tempo e nelle sterminate campagne circostanti; e talvolta i ricordi si offuscano, assumono contorni ambigui. Come quelli della bambina ferita: in paese sostengono che si tratti di Ninetta Ruberto, oggi signora Livolsi.
Ma lei stessa nutre forti dubbi: «Però anch'io fui ferita durante l'assedio di Troina e per tre giorni rimasi bloccata sotto le macerie di una cantina. Me lo dissero dall'alto i soccorritori e io mi salvai bevendo gocce di vino».

Un'altra immagine-simbolo di questa avventura siciliana (anch'essa presente nella mostra di Milano) è stata scattata a Monreale. La Leica del fotoreporter fissa il momento dell'ingresso dei soldati statunitensi nel quartiere della Cattedrale attraverso gli sguardi stupiti e divertiti delta gente. Festa e gioia sono messi in risalto soprattutto dal volto di un uomo di circa trent'anni che suscita l'ilarità di chi gli sta accanto.
«Noi anziani ce lo ricordiamo - dice l'ottantatreenne Benedetto Messina, pittore e scultore monrealese -. Era un venditore ambulante, in dialetto lo chiamavamo u abbanniatuгi cioè quello che promuove la sua merce con urla e battute sulla bontà del prodotto. Veniva ogni gior­no dalle campagne con i carciofi e i pomodori e le patate. E non sapeva che quel giorno, era il 23 luglio del '43, sarebbe entrato nella Storia»

Testo © Maurizio Di Gregorio (Corriere della Sera - mercoledì 8 maggio 2002 - pagina 35)

 

 


Vicino Troina, 4,5 agosto 1943
Silvestro Di Fini (di Troina)
(Foto © Robert Capa/Magnum/Contrasto)
Pubblicata sul libro "Leggermente fuori fuoco",
Ed. Contrasto due srl 2002, a pagina 109

 


Sperlinga - Vicino Troina - 4,5 agosto 1943
 Francesco Coltiletti, di Sperlinga, indica la strada ad un militare americano
(Foto © Robert Capa/Magnum/Contrasto)
Pubblicata sul libro "Leggermente fuori fuoco",
Ed. Contrasto due srl 2002, alle pagine 104/105

 


Le débarquement : paysan sicilien indiquant à un soldat américain la route prise par les Allemands, Sicile, 4 ou 5 août 1943. BnF, département des Estampes et de la photographie. Photo Robert Capa © 2001 by Cornell Capa / Magnum Photos
"Capa, connu et inconnu" dans le cadre du mois de la photo 2004

 

 


60° Anniversario sbarco alleati in Sicilia - Ponte Capostrà 1943-2003

 


Annullo speciale delle Poste Italiane
 Numero: 1297
Data: 16/8/2003
Località: Sperlinga
Filiale: Enna
60° Anniversario sbarco alleati in Sicilia - Ponte Capostrà 1943-2003
 


Gianni Rocca: L'Italia invasa 1943-1945

Editore: Mondadori 1999
Collana: Oscar storia n. 183

ISBN: 8804464348

Pagine: VI - 258

Prezzo: 7,80 Euro

 

Gianni Rocca è nato a Torino nel 1927. Giornalista, è stato condirettore del quotidiano "La Repubblica" e attualmente lavora all' "Unità". Si è occupato di vicende militari in numerosi libri di successo pubblicati da Mondadori: Cadorna (premio Comisso 1985 per la saggistica), Fucilate gli ammiragli (1987), Stalin (1988), Avanti Savoia! (1993), Il piccolo caporale. Napoleone alla conquista dell'Italia 1796-97 e 1800 (1996) e L'Italia invasa (1998).
 

MOSTRE:
FU UCCISO DAI TEDESCHI IL CONTADINO RITRATTO DA CAPA

(ANSA) - PALERMO, 15 NOV 2002-

Aveva una faccia antica, 'crivellata' dal sole e dalle cicale.
Con un bastone in pugno indicava la strada scelta dai tedeschi per fuggire.
Quell'informazione costò la vita a Giovanni Maccarrone, immortalato in una celebre foto da Robert Capa e ucciso dal nemico il 5 agosto del '43 a Troina, poche ore dopo l'incontro con il militare statunitense.
Finora del contadino di contrada Cauciri' si conosceva solo il volto.
Ma una ricostruzione condotta da Salvatore Barbirotto, organizzatore di una mostra su Capa in corso a Racalmuto, paese natale di Leonardo Sciascia, ha dato un nome a quel siciliano curvo, con i piedi fasciati da stracci.
In un articolo apparso oggi sul 'Giornale di Sicilia', Barbirotto dice di aver ascoltato molte testimonianze ed appreso che Maccarrone fu ucciso 59 anni fa per aver fornito notizie ai soldati americani.
Un tedesco assistette alla scena e sentenziò la sua morte. Scoperto anche il nome dell'uomo ritratto in un altro famoso scatto di Capa,
mentre regge sulle braccia una bambina ferita e con la gamba fasciata.
Si chiamava Silvestro Di Fini, di Troina, ed era un soldato italiano, in quel periodo in licenza, ricorda il figlio Alfio.
A Troina i tedeschi avevano messo su il loro quartier generale.
Gli americani sottovalutarono la capacita' di resistenza dell' esercito nemico e impiegarono ben sei giorni per averne ragione.

(ANSA). KQN
15/11/2002 13:38
 


Salvatore Barbirotto
NON E' "organizzatore di una mostra su Capa in corso a Racalmuto".

La mostra fu infatti organizzata da Luigi Restivo, sindaco di Racalmuto e presidente della "Fondazione Leonardo Sciascia", al Castello Chiaramontano di Racalmuto

Salvatore Barbirotto, interpellato al proposito, specifica che "la foto è stata scattata a Sperlinga,
ma Capa la attribuisce a Troina, perché la colloca nell'ambito di quella battaglia.
Non si tratta quindi del signor Maccarrone, anche se il posto ed i fatti ci hanno in un primo istante tratto in inganno !"
 


La morte in agguato dopo il clic di Capa

Testo © Francesco Massaro (Il Giornale di Sicilia, 15 novembre 2002)

Articolo ripubblicato integralmente per gentile concessione dell'autore

http://www.gds.it

TROINA . Robert Capa se li trovò davanti all'improvviso, era il 5 agosto del '43, gli americani braccavano i tedeschi e l'indomani, dopo sei giorni di battaglia, sarebbero finalmente riusciti a conquistare Troina. In contrada Caucirì - che qui tutti chiamano Quacirì - un pastore con un fazzoletto annodato in testa e un ammasso di stracci per scarpe indica qualcosa, col suo bastone, a un soldato americano con l'elmetto. Dietro e attorno a loro c'è la campagna di Troina, arsa da quell'estate di sole e di bombe. Il pastore mostra al soldato la via di fuga scelta dai tedeschi, un'informazione che pagò cara se è vero che gli costò la vita, ucciso proprio da un tedesco che aveva assistito alla scena. Giovanni Maccarrone allora aveva 59 anni e nella lista degli oltre cento civili morti durante i sei giorni di battaglia ci sta scritto che lo mitragliarono il 5 agosto, proprio il giorno di questo scatto divenuto così famoso da essere stato scelto dai curatori della mostra su Capa, a Racalmuto fino al prossimo 9 febbraio. Salvatore Barbirotto, 34 anni, di Troina, grande passione per le fotografie e le ricostruzioni storiche, impegnato da mesi nella raccolta di materiale sulla guerra in Sicilia per il museo che nascerà a Catania, ricorda l'episodio e si chiede, 59 anni dopo: è lui il pastore della foto? "In questi anni ho ascoltato molte testimonianze _ dice _, e in effetti un pastore che si chiamava Giovanni Maccarrone, fu ammazzato per avere dato notizie ai soldati americani". La foto, che è entrata di prepotenza nell'immaginario collettivo e ha contribuito a fare di Capa uno dei più grandi fotoreporter di tutti i tempi, è stata terreno di altre dispute durante questi anni. Dove è stata scattata, in quale angolo di campagna? Il raffronto tra lo scatto fatto 59 anni fa e quello di mercoledì mattina non lascia spazio a dubbi. Il posto è proprio Caucirì, a pochi chilometri dal centro di Troina. L'unica differenza da allora è la quantità di alberi (oggi molti di più rispetto a 59 anni fa). Identiche le colline che salgono e digradano, identico un cumulo di pietre. Sulla sinistra, quello che oggi è un rudere era un tempo una casupola in cui i troinesi cercarono riparo. Troina fu il cuore della campagna di Sicilia. Qui i tedeschi avevano eretto il loro quartier generale, qui gli americani credevano di entrare senza difficoltà e invece furono necessari sei giorni di battaglie cruente. Illuminante, in tal senso, una frase del tenente Charles P. Hormer riportata dal giornalista Jack Belden sul Time del 23 agosto del 1943: "Non mi è mai successo di desiderare a tal punto la cattura di una città come in questa occasione...". Fra le foto esposte a Racalmuto ce n'è una, famosa anche questa, che ritrae un uomo, capelli con la brillantina e sigaretta in bocca, che tiene in braccio una bambina con la gamba sinistra fasciata. "Quell'immagine _ racconta Giuseppe Schinocca, 64 anni, proprietario di una storica bottega da barbiere chiusa un anno fa _ fu scattata davanti all'ospedale di Sant'Andrea Apostolo durante i bombardamenti". L'ospedale oggi non c'è più, venne demolito dopo l'alluvione del '72, ma il ricordo di Silvestro Di Fini, l'uomo ritratto nella foto, è vivo più che mai. In via Vittorio Emanuele vive il figlio Alfio, operaio forestale. "Nel '43 mio padre aveva 33 anni _ racconta _, era arruolato nell'esercito italiano ma in quei giorni era a Troina, dov'era tornato in licenza". Il lavoro di Capa trovò ampio spazio su Life del 30 agosto del '43, che ai sei giorni di Troina dedicò ben otto pagine. Il professore Silvestro Li Volsi, anche lui appassionato di storia, ne possiede una copia e nota un particolare tutt'altro che trascurabile. Le due foto che poi avrebbero conosciuto la gloria _ il contadino col soldato americano e l'uomo che tiene in braccio la bambina _ non vennero pubblicate dal giornale, che invece preferì primi piani di soldati spossati dalla fatica e file di uomini in marcia verso chissà dove. "Evidentemente _ spiega il professore _ il giornale diede al reportage un taglio antiretorico, giustificabile dal dolore di quei giorni", insinuando così un dubbio con cui i grandi fotografi _ valga per tutti il famoso Basier de l'Hotel de Ville di Robert Doisneau _ devono spesso convivere: quella del pastore e del soldato è una foto vera, autentica, oppure si tratta di un'immagine "costruita"? Ecco un altro dubbio con cui fare i conti per i prossimi sessant'anni.

Francesco Massaro

 

 

 

"Quel pezzo di storia appartiene a Sperlinga"

Testo © Francesco Massaro (Il Giornale di Sicilia, 23 novembre 2002)

Articolo ripubblicato integralmente per gentile concessione dell'autore

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SPERLINGA . La Storia che visse due volte ha le facce di due contadini e i nomi di due paesi. Due storie e una sola verità, come in tutti i gialli che si rispettino. Dove scattò, Robert Capa, la famosa foto del contadino che indica al soldato americano la via di fuga scelta dai tedeschi nell'agosto del '43? A Troina oppure a Sperlinga? Non è domanda da poco, se è vero che i due paesi - con in testa sindaci, assessori, studiosi, professori di scuola - ne rivendicano con vigore da quasi sessant'anni la paternità. La straordinaria somiglianza tra la fetta di campagna di Troina, quella di Sperlinga e il luogo ritratto dal grande fotoreporter ungherese durante la cosiddetta campagna di Sicilia parrebbe rendere il quesito quasi irrisolvibile. Parrebbe, appunto. Perché‚ ora c'è un particolare - tutt'altro che trascurabile - che fa pendere la verità verso Sperlinga. Qui, in questo paese di mille persone, quattro assessori, un vigile urbano che è anche capo di se stesso, due salumerie, una farmacia e un Castello scavato nella roccia che ogni anno visitano ventimila turisti, vive la figlia del contadino fotografato da Capa. Francesco Coltiletti nacque a Sperlinga il 15 settembre del 1886 e morì l'8 gennaio del 1950. "E' mio padre l'uomo della foto - racconta la figlia Santa, 75 anni -, non ci sono misteri n‚ gialli, qui in paese l'abbiamo sempre saputo". Nel '43 Santa aveva sedici anni, "stavamo tutti a Ponte Capostrà, dove fu scattata la foto. Eravamo rifugiati in una specie di casolare, i tedeschi scappavano e gli americani arrivavano. Avevamo paura, non sapevamo chi temere. Mio padre faceva il contadino, lo chiamavano Massaru Ciccu, ogni giorno portava le capre all'abbeveratoio e lì incontrò quel soldato che gli chiese le informazioni". Verrebbe così a cadere l'ipotesi, di sponda troinese, secondo cui il contadino è Giovanni Maccarrone, ucciso il giorno stesso dello scatto da un tedesco che l'aveva visto parlare col soldato americano. "Mio padre morì nel '50, sette anni dopo quella foto, e per fortuna nel letto di casa sua", ricorda la figlia. Coltiletti ebbe altri due figli: Nino, che cercò fortuna in Lomellina come allevatore, morì nel '91; Michele fa l'operaio nei pressi di Milano. Santa è l'unica ad essere rimasta a Sperlinga. Ride: "Gli unici posti che ho visto nella mia vita sono Nicosia e Catania, una volta, dove andai perché‚ mi ricoverarono in ospedale". Del padre, a parte quella di Capa, possiede un'altra foto: Coltiletti non ha la barba ma la somiglianza col pastore che ha fatto il giro del mondo c'è. Al cimitero, invece, del contadino nessuna traccia: "E' sepolto da qualche parte - dice il nipote Salvatore, impiegato comunale -, ma i registri sono andati bruciati...". In compenso c'è la lapide di un altro contadino, anche lui ritratto da Capa in una foto diventata anch'essa famosa e inserita nella mostra sul fotoreporter organizzata dalla Fondazione Leonardo Sciascia e dal Comune al Castello Chiaramontano di Racalmuto (la rassegna ha già avuto duemila visitatori e resterà aperta al pubblico fino al prossimo 9 febbraio). Filippo Blasco, che di Coltiletti era amico, nacque il 14 luglio del 1882 e morì nell'agosto del 1973. Pure lui è ritratto mentre indica a un generale la strada scelta dai tedeschi per battere in ritirata. Santa, ovviamente, conosceva anche lui. In un'altra immagine, che mostra sia Coltiletti che Blasco, si intravede la volta di un ponte nell'estremità inferiore destra, "ed è questo il particolare che fuga ogni dubbio su dove sia stata scattata quella foto - dice trionfante Gino Guglielmo, assessore alla Cultura di Sperlinga -. Riconosciamo che anche in quel pezzo di campagna di Troina vi sono molte similitudini con l'immagine di Capa, ma lì il ponte non c'è". E qui sì. Si chiama Ponte Capostrà e già alla fine dell'anno scorso - quindi in tempi lontani da questa querelle - l'assessore scrisse all'Anas chiedendone la concessione gratuita "per procedere alla ristrutturazione". Il progetto, c'era scritto, "è quello di creare un monumento storico-culturale che ricordi l'incontro storico tra un generale e due pastori sperlinghesi durante la battaglia di Sicilia". "Per noi era un fatto scontato che la foto fosse stata scattata qui", conferma il vigile urbano Salvatore Restivo. Bartolomeo Rividdi ha ottant'anni. E' presidente della Pro Loco ed è la memoria storica del paese. Conosce quel luogo come le stanze di casa sua. E le similitudini con la foto di Capa le cita ormai a memoria: gli alberi di pero, gli alberi di castagno, i rovi. Tutto nella stessa posizione di 59 anni fa. Catturato dai tedeschi, fu portato prima a Berlino, "poi ad Hannover in un campo di lavoro. Ci rimasi due anni. Tornai a Sperlinga dopo quattro anni, era cambiato tutto". Santa ricorda le giornate di lavoro del padre e la paura dei bombardamenti e delle mine disseminate dai tedeschi: "Qualche anno prima mio padre aveva avuto un ictus, non riuscì a recuperare le funzioni della mano sinistra eppure continuava ad andare nei campi ogni giorno perché‚ doveva sfamare la famiglia". Quando tornava, che già era sera, "ci portava i fichi d'india e poi ci faceva sedere sulle sue gambe. Eravamo felici anche così", felici per il solo fatto di essere vivi.

Francesco Massaro
 

 

 

 

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23/11/2002 - CRONACA_REGIONALE

Troina e Sperlinga in guerra per un clic di Capa


Due comuni ennesi, Troina e Sperlinga, in guerra per uno scatto di Robert Capa . La foto è quella famosissima che immortala un tipico pastore dell'entroterra siciliano che indica ad un ufficiale americano la strada presa da un convoglio tedesco nell'agosto '43, quando gli alleati sbarcarono in Sicilia per cacciare i nazisti.
Finora per la storia, e per l' archivio Capa, la foto, pubblicata nelle pagine 104 e 105 della biografia del più grande fotografo di guerra «Slightly of Focus», edita in italiano da Contrasto col titolo «Leggermente fuori fuoco», era scattata nei pressi di Troina ed è lo stesso fotoreporter a parlare del paese ennesse nella sua biografia: «....il reggimento stava proprio iniziando l'assalto per espugnare Troina, un paesotto allungato sulla cima di una collina..».
A Sperlinga, minuscolo comune a 40 km da Troina, con un castello antico scavato nella roccia ed un paio di ristoranti dicono «Non è vero».
Dopo aver letto sul «Giornale di Sicilia» un articolo sulla mostra di fotografie di Bob Capa a Racalmuto e sul nome del presunto contadino troinese ritratto nella foto, Giovanni Maccarone, che sarebbe stato ucciso il giorno stesso in cui venne scattata la foto, la gente di Sperlinga si è rivolta al quotidiano per ristabilire la verità storica. E così il giornale mette a confronto due fotografie dei nostri giorni una scattata a Troina l'altra a Sperlinga che sembrano l'identico sfondo del clic del celebre fondatore della Magnum.
Ma c'è di più. A parlare ora è un testimone vivente Santa Coltiletti, 75 anni, che non ha titubanze: «Quel contadino ritratto nella foto di Capa è mio padre Francesco. Qui in paese lo abbiamo sempre saputo. Mio padre morì nel '50 sette anni dopo quella fotografia. Portava le capre al pascolo e lì vicino incontrò quel soldato che gli chiese le informazioni».
E altri indizi fotografici lasciano pendere il piatto della bilancia verso Sperlinga. In un altro scatto di Capa si vede Coltiletti con Filippo Blasco, un altro contadino di Sperlinga, e nell'estremità inferiore destra la volta di un ponte che sarebbe il Capostrà, lo stesso nome della contrada in cui sarebbe stata scattata la fotografia.
Gino Guglielmo, assessore alla Cultura di Sperlinga, alla fine dell'anno scorso scrisse all'Anas chiedendo la concessione gratuita ai fini della ristrutturazione del ponte per creare un monumento storico-culturale che ricordi l'incontro tra un generale e due pastori sperlinghesi durante la battaglia in Sicilia.
Ma mentre testimonianze e paesaggi sembrano indicare che quel pastore sia proprio Coltiletti fotografato in territorio di Sperlinga, i ricordi di Bob Capa, riportati nell' autobiografia, non fanno cenno a quel piccolo paese mentre invece si accendono su Troina.
Ed era un momento della sua carriera che l' ungherese doveva ricordare molto bene perché - come scrive lui stesso - era disteso nella piazza di Troina quando il generale Teddy Roosevelt gli si avvicinò e gli disse: «Capa al quartiere generale di divisione c'è un messaggio per te. Dice che sei stato assunto da Life».
È possibile che Capa si fosse confuso solo 4 anni dopo aver scattato la foto pubblicando la sua autobiografia?
 

 

 

Riceviamo e pubblichiamo questo testo firmato da Silvestro Livolsi di Troina

 

Silvestro Livolsi è autore dei testi "La possibilità del linguaggio" -"Il linguaggio nei soggetti down ed ipoacusici"

'Leggermente fuori fuoco' o 'leggermente messe in posa' ?

Il dilemma è legittimo quando si parla delle foto di Robert Capa, almeno di quelle che sono diventate le più famose:
a proposito di quelle scattate a Troina nel 43, in quella che è stata una delle più difficili battaglie contro i tedeschi, asserragliati nel paesino a 1100 metri di altezza sul mare, viene subito da fare un confronto tra quella che è una delle più famose foto di Capa (foto1), dove si ritrae un militare in licenza che tiene in braccio una bimba ferita durante il cruento scontro a fuoco tra americani e tedeschi con la foto di Capa fatta a Teruel in Spagna nel 36 (foto2): stessa la posa, stessi tanti particolari dei due scatti per pensare ad una presa diretta dell'immagine.
Poi, l'altra famosa foto relativa a Troina (foto3) è quella degli americani che con sicurezza e tranquillità entrano nell'abitato e davanti a loro il primo paesano che vi si imbatte alza le mani in chiaro significato di resa.
Niente a che vedere con il racconto dell'entrata delle truppe a Troina, secondo le testimonianze raccolte negli anni 50 da Filippo Gaia nel suo "L'ESERCITO DELLA LUPARA - BARONI E BANDITI SICILIANI CONTRO L'ITALIA" (Maquis Editore, Milano, prima ed. 1962, ristampa 1990, 404 pagine) e successivamente ampliate da altre fonti orali, sentite da Luigi Anello e riportate nel 71 nel suo libro "La battaglia di Troina": secondo le quali, a convincere gli americani ad entrare in paese, dopo sei giorni di tentativi falliti di abbattere le difese tedesche con l'artiglieria e dopo il risolutivo intervento dell'aviazione che distruggendo buona parte dell'abitato aveva costretto i tedeschi alla fuga, furono dei troinesi che agitando un grande lenzuolo bianco 'andarono ad avvisare' i fanti americani più vicini al paese, convincendoli a entrare dentro; questi peraltro, dicono le fonti, avanzando cautamente presso le prime case, intravedendo alcuni tedeschi ritornarono indietro, e dovettero, ancora i troinesi, informarli che quei tedeschi avevano intenzione di arrendersi, poiché erano rimasti in paese e non erano riusciti a retrocedere con il resto del loro contingente.
 


La battaglia di Troina, Luigi Anello, Messina, Zona, 1971 (192 pagine)

 


TROINA 43 by Just Plain Wargames.
This game puts you in command of German or American forces at the battle for Troina, Sicily, in July-August, 1943
Game includes 100 counters, one 11x17-inch map sheet, and rules booklet,
plus a 4-page insert containing charts and tables.


Evidentemente Capa ritrasse la scena dopo che gli americani erano già entrati in paese e con militari che al seguito dei primi entravano in fila per le vie cittadine, chiedendo ad un passante di prestarsi, con le mani alzate, ad essere immortalato come il primo 'arreso' agli americani.
(Non erano quelli, d'altronde, gli anni del cinema di posa, in America ?).

Altro che ingresso trionfale e sicuro così come sembra emergere dalla foto, anch'essa diventata icona della potenza e della conquista americana della Sicilia.

Insomma la foto di Capa confligge con la realtà dell'evento:
ciò non toglie che le altre che riguardano Troina siano più vere e spontanee e di grande valore artistico-documentario:
ma questo non è affatto in discussione.

 

(Foto 1)

Vicino Troina, 4,5 agosto 1943
Sivestro Fini di Troina
(Foto © Robert Capa/Magnum/Contrasto)
Pubblicata sul libro "Leggermente fuori fuoco",
Ed. Contrasto due srl 2002, a pagina 109

 

(Foto 2)

Vittime civili, Teruel (fronte aragonese), 21 dicembre 1937
(Foto © Robert Capa/Magnum/Contrasto)
Pubblicata sul libro "Robert Capa/Fotografie", Ed. Fratelli Alinari 1996, a pag.47


 

(Foto 3)

"Troina, agosto 1943, I primi soldati americani entrano in città" - (Foto © Robert Capa/Magnum/Contrasto)
Pubblicata sul libro "Leggermente fuori fuoco", Ed. Contrasto due srl 2002, alle pagine 106/107

 


http://www.longanesi.it/scheda.asp?idlibro=1138&titolo=ARRIVANO+I+NOSTRI
http://www.alfiocaruso.com/
http://www.panorama.it/cultura/polemiche/articolo/ix1-A020001024352

 

Quella che segue, secondo me, è la foto dell'incontro 'vero' tra americani e troinesi
alla fine dei bombardamenti e prima del loro ingresso in paese

 


WW2 Press Photo, 1943, Sicily axis driven from Troina
This item is what I believe is called a Radio Photo that was transmitted to Newpapers.
The caption on the photo reads in part: Sicilians offer hand of friendship
With arms extended to shake hands with conquering American troops,
civilians come out to meet the soldiers after the Axis had been driven from Troina, Sicily… 1943


 


WW2 Press Photo, 1943, Damaged Bridge, Sicily
Chopped in two in the rear of the retreating Axis forces in Sicily, this bridge was useless to the enemy when it reached it.
American, prevented buy their own blasting from going over the bridge, go under it…1943.

 


WW2 Press Photo, 1943 Return to Messina Sicily Italy
Return to Messina—Residents of Messina return to the city after Allied troops entered the Sicilian city…1943.

 


WW2 Press Photo, 1943, Sicily Italy

 


WW2 Press Photo, 1943, Messina, Sicily

This item is what I believe is called a Radio Photo that was transmitted to Newpapers.

The caption on the photo reads in part:

Tough Walking In Messina. American Infantry keep up a quick pace in spite of the bomb-roughened road…
Marching past the Bank of Sicily… 8/24/43.

The paper in the photo below is the descriptive caption. It doesn't show up very well here, but is readable.
There's a couple stamps on the back of the photo, and a little stuck paper.

 


CAMPAIGN BOOK No3  SICILY…. First printing..May 1969

 


Alla pagina web http://digilander.libero.it/davis2/lezioni/r.capa/robert%20capa.htm

si legge esplicitamente:

"Quando Capa ritrasse un abitante di Troina mentre trasportava la propria figlia ferita e in stato di choc, probabilmente si ricordò di un'immagine molto simile che aveva scattato a Teruel."

 

Sperlinga - Vicino Troina - 4,5 agosto 1943
 Francesco Coltiletti, di Sperlinga, indica la strada ad un militare americano
(Foto © Robert Capa/Magnum/Contrasto)
Pubblicata sul libro "Leggermente fuori fuoco", Ed. Contrasto due srl 2002, alle pagine 104/105


La foto forse più famosa di Capa è stata scattata a Sperlinga e non a Troina.

D'altronde, non sarebbe l'unico errore relativo all'attribuzione di luoghi nelle foto di Capa.

Nel libro di Matteo Collura, In Sicilia, Longanesi, 2004,

 

Presentazione del libro "In Sicilia" di Matteo Collura
Giorno 04 Giugno 2004 alle ore 18.00
presso l'Aula Magna "Luca Crescente" del Consorzio Universitario di Agrigento
si terrà la presentazione del libro "In Sicilia" di Matteo Collura, ediz. Longanesi.
Ignazio De Francisci e Settimio Biondi converseranno con l'autore.


http://www.longanesi.it/scheda.asp?idlibro=1042&titolo=IN+SICILIA
http://www.infinitestorie.it/frames.speciali/FormSpeciale.asp?ID=259
http://www.amicisciascia.it/layout_news.asp?ART_ID=833&id=3&val_foto=3&area=15&sottoarea=45
 

...a pag. 29 si legge: "Negli album fotografici di Capa un'immagine che può dirsi compiutamente pirandelliana, per l'ostentata ancorché involontaria teatralità espressa dalle persone ritratte (davvero personaggi che, in cerca d'autore, ne hanno finalmente trovato uno nel fotografo), è contrassegnata da questa didascalia: << Italia, 26 luglio 1943. Una strada due giorni dopo la liberazione del paese di Cefalù >>.



Scena di strada due giorni dopo la liberazione di Cefalù, 26 luglio 1943
(Foto © Robert Capa/Magnum/Contrasto)
Pubblicata sul libro "Robert Capa/Fotografie", Ed. Fratelli Alinari 1996, a pag. 99

E invece no: non è una strada di Cefalù quella che la foto ritrae, ma la piazza su cui si affaccia il Municipio di Agrigento e che da esso prende nome. Vorrei far conoscere bene questo luogo, perché grazie all'errore di trascrizione di Capa o - non importa stabilirlo - di qualche catalogatore venuto dopo di lui, esso appare riassuntivo del più tipico paradosso pirandelliano, quello che concerne l'impossibile certezza dell'identità, subdolo rovello sotto il quale si apre il trabocchetto della follia. Agrigento, Pirandello, la follia: non si può parlare dell'uno senza parlare degli altri"

Matteo Collura continua poi a parlare della foto e, mettendone in evidenza la teatralità, fa intuire come dietro ad ogni scatto di Capa ci fosse una accurata 'preparazione' della scena.

"...Eccoli, come a rappresentare l'insondabile, eterno mistero dell'esistere, questi cinque dei sei personaggi che ossessionarono, facendo grande la sua arte, Pirandello. (<< E' mia vecchia abitudine dare udienza, ogni domenica mattina, ai personaggi delle mie future novelle... >>); ecco alcune delle creature nate dalla fantasia di uno scrittore visionario che quel giorno di luglio sembrò aver guidato l'estro di robert Capa, il quale per meglio riprendere il gruppetto, è lecito pensarlo, s'inginocchiò come spesso i fotografi fanno, dandoci così la più estemporanea e per questo veritiera rappresentazione di una pirandelliana scena madre: << Inginocchiatevi! Inginocchiatevi!... Giù! Tutti, davanti ai pazzi, si deve stare così...>> La piazza dove, per scattare la foto, presumibilmente s'inginocchiò Robert Capa, pur essendo denominata così non è una piazza, ma piuttosto un luogo di passaggio, come quelli che negli appartamenti borghesi si chiamano <<disimpegni>> e che sono spazi considerati utili, ma non si sa bene destinati a cosa e, per questo, falsi spazi... Per questo l'errore di catalogazione delle fotografie che Capa realizzò al seguito delle truppe americane non poteva che cadere qui, in un luogo condannato a non esistere...".

Più avanti di poche righe, Matteo Collura ricorda che "Sei anni prima che vi giungesse Capa, qui aveva fatto tappa Vitaliano Brancati, per ricavarne una delle sue <<lettere al Direttore da pubblicare su Omnibus>>".

Ciao

Silvestro livolsi
 

Grazie a Silvestro Livolsi conosciamo una delle penne più brillanti della cultura italiana: Matteo Collura.

Il teatro pirandelliano riecheggia nuovamente nelle foto di Capa che, sempre più spesso, ci accorgiamo essere una bella rappresentazione scenica del reale.

Rappresentazione dunque, reportage poetico-intellettuale, ma NON "reportage d'assalto", NON "fotografia diretta".

La "messa in scena" è opera d'ingegno e di intelletto che può sublimare il banale della realtà.

Ma questo all'unica condizione che venga palesata.

Altrimenti si cade nella menzogna, nel falso e nell'abuso della credulità popolare.

 
Il Messaggero, 28.1.2004

Sicilia allo specchio
Un paesaggio dalla bellezza sfolgorante, un passato «che può annientare». E il “carattere” dei suoi abitanti. Lo indaga Matteo Collura in un saggio che sta per uscire

Che cosa c’entrano i grigi e afflitti eucalipti con la Sicilia? Poco o nulla, eppure l’isola ne è costellata per la bizzarria di qualche sadico Demiurgo della storia. Se ne trovano accanto a preziose rovine archeologiche, a corona di paesaggi che regalano impagabili screziature d’azzurro, raggruppati in boschetti davanti alle discariche. Eppure questa pianta proveniente dall’Australia che oggi ha vinto il suo duello con le palme, potrebbe essere scelta a simbolo dell’incongruo, dell’assurdo di un paesaggio dove bellezze naturali e storia sono in lotta ormai da qualche secolo. Col risultato che spesso a prevalere è il caos. Stanchi di una Sicilia oleografica, fatta di copertine patinate o di dossier polverosi che ormai testimoniano una stagione d’impegno antimafia che fu, è il caso forse di parlare del silenzio avvilito che circonda quello che è stato a lungo un laboratorio di avanguardie (a volte anche nefaste).
La riscrittura letteraria di luoghi e caratteri che ne ha fatto pure abilmente Andrea Camilleri ormai ha confinato questo lembo d’Italia a un set televisivo buono a illustrare improbabili panorami con muretti tirati a secco, case di pietra ingentilite da tegole di terracotta, finti degradi buoni per le indagini delle varie versioni dei commissari Montalbano. Il fatto è che la Sicilia vera, quella che “non si vede”, è tornata ad essere scomoda. Indecifrabile perché poco decifrata, indagata, scrutata a fondo. E dunque precipitata in un abisso che le è stato consueto per secoli.
Con In Sicilia (Longanesi, 221 pagine, 14 euro, a giorni in libreria), Matteo Collura tenta una scrollata all’arcadia letteraria che si è sedimentata come polvere sulla sua terra. E pur con tutto il garbo del narratore affabile, a volte puntuto, sempre curioso, ha l’aria di dare più che un «bacio ad occhi aperti», un ceffone per amore al monumento di luoghi comuni e di cliché che ormai si sono cementati in un impasto difficile da scalfire. L’autore, agrigentino di Grotte, amico e discepolo di Leonardo Sciascia, nonché erede della tradizione letteraria dei Grand Tour settecenteschi, preferisce parlare di viaggio sentimentale. Ma il suo finisce inevitabilmente con l’essere un libro d’impegno. E che mette al centro un rovello: che rapporto c’è tra il paesaggio e il carattere dei suoi abitanti? I siciliani sono «inquilini della storia», abitanti di passaggio e quindi non “proprietari” dell’ambiente in cui vivono. «Nel caso della Sicilia – scrive Collura – il passato impone un confronto che può annientare. Per questo parlo di inquilini della storia bisognosi di uno sfratto. Annullarsi nel presente, farsi omologati consumatori può rappresentare una via di fuga. In alternativa, c’è la strada indicata da Pirandello: la follia di Enrico V». Quella lucida e corrosiva perché consapevole.
Così partendo da Cassibile, alla ricerca delle ormai inesistenti tracce del luogo in cui venne firmato l’armistizio tra l’Italia di Badoglio e gli Alleati, il libro tenta di rispondere all’asserzione perentoria come una condanna di Tomasi di Lampedusa: l’irredimibilità del paesaggio siciliano. Irredimibile perché risultato ultimo di una violenza e di una sopraffazione? O magari perché ormai incapace di riscattarsi, causa mancanza di coraggio? La chiave di tutto questo, forse, ce la fornisce Sciascia quando affronta il disinteresse, lo sguardo opaco e disincantato dei siciliani davanti alle bellezze o ai lasciti della storia: «L’invisibilità dell’evidente», una sindrome che, ci spiega Collura, colpisce quanti sono abituati a convivere con qualcosa che dai forestieri viene considerata di straordinaria bellezza o importanza». 
E potrebbe essere lungo l’elenco dei “soprusi” maltollerati: dal ceppo che ricorda la presa di Palermo da parte dei garibaldini a Gibilrossa, la montagna che sovrasta alle spalle la Conca d’Oro, oggi corredata da un fumante immondezzaio; al palazzo cadente di Raniero Alliata, alla terrazza di Tomasi di Lampedusa, passando per Cagliostro, Malaparte, Nelson, Nievo, tutti inquilini anche loro ma di passaggio. La passione civile di Collura affiora dalle pagine di In Sicilia soprattutto quando della grande Storia nell’isola restano solo piccoli, insignificanti segni o addirittura solo il silenzio: un oblio colpevole perché sa tanto di colpa rimossa. Prova ne siano le storie apparentemente minimaliste, riaffiorate solo grazie al bisturi certosino dello scrittore che non rinuncia mai alla concretezza del giornalista. Dello sbarco alleato del luglio ’43, ritratto da Robert Capa, Collura ci racconta dei troppi nonsense che costellano l’evento. La trentina di paracadutisti americani morti per poca prudenza nel fare da apripista sulla costa orientale dell’isola. O i civili sterminati senza ragione, perché i militari di Patton non avevano letto nei loro manuali che le strisce nere sulle porte delle case non erano simboli fascisti, ma solo segni di lutto in famiglia. Di questo macro-evento che ha cambiato il corso della storia in Europa, quasi non c’è traccia. E stride certo il paragone con la messe di testimonianze, film, romanzi, reportage che hanno accompagnato il successivo sbarco alleato in Normandia, un anno dopo.
I siciliani, spesso, preferiscono dimenticare o smitizzare. Prova ne sia quella statua di un malfermo e gracile Carlo V che guarda spaesato la palermitana piazza Bologni. I siciliani preferiscono applicare la loro versione della “livella” di partenopea memoria. E’ la «democrazia della morte». All’insegna di “Dio solo è grande”, il palermitano quasi festeggia il trapasso e se ne infischia dei potenti. Solo da queste parti si poteva allestire una macabra rappresentazione come l’inumazione nel cimitero di Santa Maria del Gesù di Joseph O’ Dell, il disgraziato americano condannato a morte in Virginia nel ’97 per l’assassinio di una donna. Un rito funebre da importazione, quasi che l’isola non fosse mai sazia dei suoi morti. Ormai non lo è più nemmeno dei santi perché due cruciali piazze palermitane (quella antica della Magione e la moderna Sperlinga) oggi ospitano due busti di Padre Pio, il santo che ha soppiantato la Santuzza Santa Rosalia. Se l’accostamento non appare blasfemo, è qualcosa di simile allo “sbarco” degli eucalipti. Un conformismo, un’omologazione che fa perdere traccia delle radici. Padre Pio è «l’anziano frate, forestiero certo, ma nell’espressione del volto simile ai palermitani, così abili nel camuffare il loro disprezzo (...) un santo proclamato tale dall’immensa piazza mediatica».
E non è questo dei siciliani un italianizzarsi. Lo dimostra quel «sono cose che capitano», mormorato dal figlio di un pensionato ucciso a revolverate insieme con altre cinque persone ad Aci Castello, nel catanese, per il raptus di follia di un precario del luogo. A provocare il moto di ribellione dello scrittore è l’accecante contrasto tra la bellezza da mito di quei luoghi e l’impassibile accettazione della tragedia, la familiarità rassegnata con la morte. La ragione e le tenebre, dunque. Quel rovescio che, ci ricorda Brancati, è insito nel rapporto dei siciliani con la luce. Collura la coglie davanti alla spettacolare vista del mare sul promontorio di Milazzo, nel punto disseminato di croci per i suicidi di tanti adolescenti. E allora gli viene in soccorso l’autore di Paolo il caldo: «Lo sforzo costante della mia vita è stato di vedere la luce del mondo dalla parte ridente, ed espellere dal cervello le influenze della sua ripresa buia, dalla quale derivano l’apprensione e la lussuria». E’ questa «parte luttuosa della luce», quella che tollera accanto al vitalismo il suo mortale contrario, che va colta prima di inabissarsi in Sicilia.

Virman Cusenza

 


 


La caduta della Sicilia:

http://www.scoglitti.it/storia.htm
 

L'1/08/1943 i Canadesi entrano a Regalbuto;
fra l'1 e il 6 gli Americani combattono la
Battaglia di Troina, che si conclude con la conquista della città;
il 7 e l'11 effettuano 2 sbarchi di aggiramento delle difese italo-tedesche,
il 1° superando il crinale del San Fratello e sbarcando oltre Sant'Agata
e il 2° superando Capo d'Orlando e sbarcando presso Patti;
quindi, occupano Floresta il
12,
Randazzo il 13
e Barcellona il 15;
intanto, gli Inglesi occupano Catania e Adrano il 6,
Bronte l
'8
e Linguaglossa il 15;
il 17 il Generale George Patton entra a Messina e, il 18, cessata ogni resistenza italo-tedesca...

tutta la Sicilia è saldamente in mano alleata a meno di 40 giorni dal primo sbarco a Scoglitti.

 

 

 

60° Anniversario dello sbarco alleato
http://www.comune.pachino.sr.it/stampa/luglio03.html


Un bilancio positivo, a conclusione della tre giorni dedicata alla celebrazione del 60° anniversario dello sbarco alleato in Sicilia.

Una manifestazione che ha ospitato, all'interno dei due convegni previsti per il 10 e l'11 Luglio 2003 ,
relatori di un certo calibro: scrittori, giornalisti, docenti universitari che hanno saputo tenere vivo l'interesse dei presenti
con argomenti relativi ai fatti accaduti nel 1943 e che hanno avuto come protagoniste le coste siciliane, in particolare quelle del territorio pachinese.
Grande apprezzamento per le proiezioni dei film e dei documentari che sono riusciti a coinvolgere un buon numero di spettatori,
sia durante la prima serata, in Piazza V. Emanuele, con la visione di "El Alamein" sia nelle due successive, in piazza Regina Margherita a Marzamemi, dove è stato possibile ammirare il cd-rom realizzato dal 1° Istituto Superiore di Pachino "Lo sbarco del '43" e alcune sequenze di un filmato inedito sullo sbarco a Marzamemi e a Pachino reperito presso l'Imperial War Museum di Londra.
 
Apprezzamenti anche per la mostra "I giorni della memoria" allestita presso la Pinacoteca Comunale dalla dott.ssa Rosalba Savarino.
 
Fino al 20 luglio, sarà dunque possibile ammirare le fotografie che testimoniano i momenti dello sbarco,
alcune sono state offerte dagli stessi cittadini pachinesi, e sono state riprodotte dalla Graphic Designer di Mallia Giovanna su dei pannelli.
 
Esposto anche del materiale bellico, messo a disposizione per l'occasione da Francesco Caruso, e materiale inedito prelevato dagli archivi comunali.
 
"Sono veramente soddisfatto! -afferma l'assessore ai Beni Culturali Emanuele Rotta- Questa manifestazione ha ottenuto un gran successo da un punto di vista culturale. A dimostrarlo? Il pubblico, che evidentemente si è sentito stimolato, coinvolto, e per questo ha partecipato numeroso, più di quanto ci potessimo aspettare. È stato un piacere, vedere presenti ai convegni anche numerosi turisti, abbiamo potuto così offrire, non solo le bellezze naturali della nostra zona, ma anche un importante momento di riflessione sul significato della guerra che si sa, genera sempre morte, distruzione e dolore.
Ma soprattutto è stato un'occasione per ricordare un evento storico, che ha coinvolto la città di Pachino e l'intera nazione.
Un'iniziativa ben riuscita, che forse ci ha permesso di smentire chi si ostina a dire che Pachino vuole recidere le radici del suo passato.
Con rammarico, invece, ho potuto notare la scarsa partecipazione di dirigenti scolastici, docenti e alunni, nonostante fossero stati mandati degli inviti
specifici, per un coinvolgimento diretto degli istituti nella realizzazione della manifestazione.
Non posso far altro, che ringraziare, invece, chi ha profuso tempo ed energie, per la buona riuscita della manifestazione."
Un'occasione, dunque, quella del 60° anniversario dello sbarco anglo-americano in Sicilia, non solo per ricordare, ma anche per arricchire il patrimonio
comunale, con del materiale d'epoca e inedito, che verrà conservato e trasmesso alle future generazioni.
A tal proposito, saranno pubblicati gli atti del convegno di studi "La rifondazione dell'Italia.
Dallo sbarco alleato alla nascita della Democrazia", anche le foto per allestire la mostra resteranno al comune , che oltretutto,
ha acquistato 40 copie del libro di Ezio Costanzo: "Sicilia 1943", con cui verranno omaggiati gli istituti di Pachino, per arricchire le biblioteche scolastiche.

11 Luglio 2003

 

 

 

Arrivano...
Gli Americani a Vittoria nell'estate del '43


A cura di Rosario Mangiameli e Franco Nicastro

http://www.comune.vittoria.rg.it/sbarco/librosbarco.htm

 


Leggi il testo


INDICE

Presentazione

Sindaco - on. prof. Francesco Aiello
Assessore alla Cultura - dott. Giovanni Ficicchia


PRIMA PARTE

Rosario Mangiameli - L'America in casa
Giancarlo Poidomani - Dalla guerra totale alla guerra locale
Francesco Ereddia - La ripresa della vita civile a Vittoria
Franco Nicastro - Voci e parole dalla Sicilia liberata


SECONDA PARTE
Viaggio nella Memoria


 

Virgilio Lavore - L'ora zero
Gianfranco Ciriacono - Le stragi di Biscari
Giuseppe Calì - Ricordi di un seminarista
Emanuele Fiorellini - Come ci investì la guerra
L'eccidio di Piano Stella - Parla un sopravvissuto
Alfio Caruso - Caltagirone dal terrore al mercato nero
Racconti di guerra
Luigi Frasca - Taccuino di viaggio dalla dittatura alla democrazia
Antonio Cavallaro - Epurazione: la clemenza e il compromesso
Emanuele Fiorellini - I conti con il nostro passato

La galleria fotografica del libro è alla pagina:
http://www.comune.vittoria.rg.it/sbarco/index.htm

 

 

 

Ezio Costanzo

L’estate del ’43

I giorni di guerra a Paternò

Foto, documenti e testimonianze

Prefazione di Rosario Mangiameli
 


La guerra arriva a Paternò nell’estate del 1943. Tra il 14 luglio e il 2 agosto,
il paese viene bombardato sette volte dalle forze aeree alleate, che dal cielo seminano terrore e morte.
Alla fine di luglio, nella frazione di Sferro si combatte una delle più cruente battaglie di tutta la campagna di Sicilia.
Sul campo restano uccisi centinaia di soldati inglesi e tedeschi.
Muore anche qualche italiano, ma la maggior parte si arrende.
Paternò diventa obiettivo strategico degli Alleati e la sua conquista una tappa d’obbligo per arrivare a Catania.
Il 5 agosto, le truppe britanniche occupano il paese.

L’autore ricostruisce quei giorni attraverso fotografie inedite, testimonianze e documenti.
Una pagina di storia locale drammatica, fino ad oggi poco conosciuta,
i cui eventi sono raccontati con passione e dovizia di particolari.

144 pagine - Illustrato con oltre 70 fotografie

Lire 24.000 - Euro12,39

http://www.lenovemuse.com/ordine.htm

 

 

A Catania ''Sicilia 1943'', progetto didattico-culturale per la conoscenza della storia locale

In anteprima nazionale il film-documentario del giornalista Ezio Costanzo


 

E' stato presentato, sabato 13 dicembre all’Auditorium "Le Ciminiere" di Catania,
in anteprima nazionale, il film-documentario del giornalista Ezio Costanzo
"Sicilia 1943 - Lo sbarco alleato"
(57 min., sonoro, produz. 2003).

Il libro sarà presto rieditato da Baldini&Castoldi

 


Cliccare qui per ordinare il libro

Sicilia 1943 - Breve storia dello sbarco alleato + film documentario
Ezio Costanzo
Pagine 256 + 56 tavole fuori testo con 177 fotografiedell'epoca.
Edizione speciale - Cofanetto con 2 DVD+libro
Formato video: PAL 1.33 - 4:3
Versione Italiana con sottotitoli in italiano e inglese.
euro 59,00
sconto del 10% e spese postali omaggio per chi acquista on-line!

Il libro "Sicilia 1943"
-
Breve storia dello sbarco alleato
-Introduzione di Carlo D'Este
-pp. 248 + 56 tavole fuori testo con 177 fotografie dell'epoca
-Euro 15,00
-ISBN 88-87820-21-X

Il doppio DVD contiene:
-DVD 1: Film-documentario "Sicilia 1943. Lo sbarco alleato", durata 56 minuti, sonoro con commento.
-DVD 2: Testimonianze dei protagonisti dell'epoca:
Archivio: filmati inediti, fotografie, documenti e Cartine aeree di sbarco.
-Il Museo Storico dello sbarco in Sicilia di Catania.
-Formato video: PAL 1.33 - 4:3
-Versione Italiana con sottotitoli in italiano e inglese.
-Euro 49,00
 

La manifestazione, con ingresso libero, è stata organizzata dalla Provincia Regionale di Catania e dal Museo Storico dello Sbarco in Sicilia, in collaborazione con "Le Nove Muse Editrice" di Catania che ha prodotto il film ed avviato il progetto didattico-culturale "I luoghi, la storia, la memoria". Progetto che vede la partecipazione di molti comuni siciliani e che prevede anche la realizzazione di una serie di interviste a testimoni dell’epoca e il coinvolgimento delle scuole per una maggiore conoscenza dei fatti storici che hanno visto protagonista la Sicilia durante il secondo conflitto bellico.

Ezio Costanzo, con una quantità notevole di immagini inedite (di recente Costanzo ha pubblicato l’interessante libro "Sicilia 1943" e ha partecipato alla realizzazione del Museo Storico di Catania),  fa rivivere nel documentario l’intera "Operazione Husky", ovvero l’occupazione alleata della Sicilia, cominciata il 10 luglio del 1943 e conclusasi il 17 agosto con la caduta di Messina e l’evacuazione delle forze italo-tedesche in Calabria.
Attingendo da una ricca documentazione d’archivio (Costanzo ha lavorato negli Usa, in Inghilterra, in Germania, in Scozia), egli si addentra in  quel periodo storico partendo da una breve ricostruzione delle vicende italiane ed europee alla vigilia dello sbarco e dalle decisioni prese a Casablanca da Churchill e Roosevelt, per poi raccontare i giorni dell’avanzata delle truppe anglo-americane sul suolo siciliano, la difesa (e la non difesa) dell’isola, le violente battaglie di Primosole (piana di Catania), di Agira, Gela, Troina, le conquiste di Palermo, Catania, Messina per arrivare all’armistizio del 3 settembre (reso noto l’8) di Cassibile, al Governo Militare Alleato e ai suoi rapporti con la mafia.

Il documentario mostra anche i drammatici momenti dei bombardamenti che hanno visto paesi e città siciliani rasi al suolo e la popolazione ridotta alla fame. Per la prima volta vengono alla luce i filmati che mostrano le macerie di molti luoghi dell’isola, la gente che spala i detriti dalle strade, le lunghe file dei bambini e degli anziani per la razione di pane. Messina, la città più bombardata dell’isola, appare in quei fotogrammi come una città fantasma, abbandonata dai suoi abitanti e ridotta ad un cumulo di macerie.
Tantissimi paesi sono stati attraversati dalle truppe anglo-americane durante i 38 giorni delle battaglia di Sicilia. Nel film le scene di entusiasmo della popolazione civile si alternano a quelle delle forte resistenza armata dei soldati italo-tedeschi: la sequenza che mostra la battaglia nel golfo di Gela durante il primo giorno di sbarco è di una asprezza incredibile e consente di capire come l’occupazione della Sicilia non è stata una semplice passeggiata. In quel golfo, infatti, vengono affondate parecchie navi americane e perdono la vita tantissimi soldati.
Altre immagini restituiscono ai nostri occhi la battaglie di Primosole, combattuta dal generale inglese Montgomery contro gli irriducibili tedeschi per la conquista di Catania. In quella battaglia lasciano la vita oltre 500 soldati. Le immagini recuperate da Costanzo mostrano il dopo battaglia e la carneficina che in quel luogo, a pochi chilometri da Catania, si consumò.

La Sicilia dell’estate del 1943 ed il dramma della guerra scorre per quasi un’ora nel documentario di Ezio Costanzo. Al quale va non solo il grande merito di restituire la "memoria visiva" di quei giorni, ma rendere più comprensibile ad un pubblico più vasto, un momento così imponente e drammatico della storia della nostra isola.

L’autore
Ezio Costanzo, giornalista-scrittore,  è autore, tra gli altri, del volume "Sicilia 1943 - Breve storia dello sbarco alleato" (introduzione di Carlo D'Este, edizione Le Nove Muse, 2003). Da diversi anni svolge attività di ricerca negli archivi americani e britannici sull’occupazione anglo-americana dell’isola. Ha curato l’allestimento del Museo Storico dello Sbarco in Sicilia Catania.

E-mail: ezio.costanzo@tin.it

Cit. http://www.guidasicilia.it/ita/main/news/index.jsp?IDNews=9676
 

 

Questa foto è la copertina del Calendario Amani 2003

Copertina del calendario Amani 2002

Il calendario è stato realizzato da Amani, l’associazione fondata dal missionario comboniano attivo in Kenya, Renato Kizito Sesana. Amani in kiswahili vuol dire pace. E questo è il link al suo sito web: http://www.amaniforafrica.org

L'autore delle immagini è Robert Capa
e l’autore del testo
Tiziano Terzani.

Il titolo è "
NO WAR", per una cultura di pace e dialogo.


N
ei pressi di Troina, inizio agosto 1943. Un contadino siciliano indica ad un ufficiale americano la direzione che ha preso il convoglio tedesco. I tedeschi volevano ritardare l’avanzata americana per permettere alle loro truppe di ritornare verso Messina e da lì via mare, in Italia.
 

 

 
Nel libro "Immagini di Guerra-Robert Capa" di Cornell Capa, Milano 1965,

Robert Capa scrive anche dell'Italia (pagg. 78/100)


Scarica il testo in PDF (3,8 M)
 

<< Fotografare una vittoria è come fotografare un matrimonio dieci minuti dopo che i novelli sposi se sono andati. Tra lo sporco brilla ancora qualche confettino; ma la festosa ressa, a bocca asciutta, si è grapidamente dispersa, е gреnsа a come litigheranno, domani, marito e moglie. >>

<< I tedeschi se ne erano andati durante la notte, lasciandosi dietro i morti e feriti della popolazione civile italiana.
Noi bivaccavamo tutto intorno alla piazzetta della chiesa, del tutto ammosciati e stufi.
Tutto quel combattere, e far fotografie, non aveva senso, pensi.
Non conoscevo una parola d'italiano e dovetti aiutarmi con lo spagnolo per spiegare al vecchio che solo il mio bisnonno era siciliano.
In
risposta ebbi un fiume di parole strane.
Ce n'era
una che non smetteva di ripetere, « Bruc-a-lìn ».
Uno
del reparto interloquí, puntando il dito a se stesso. « Io, Brooklyn. »
La conversazione diventò
рiù facile, e si stabilì che agli americani piacciono i siciliani e i siciliani amano gli americani: che agli americani non piacciono i tedeschi e che i siciliani odiano i tedeschi. >>



Cliccare sulla pagina per leggerne il testo

 


La foto pubblicata è anche sul libro "Leggermente fuori fuoco", Ed. Contrasto due srl 2002, a pag. 119
con la didascalia: "Sorrento, settembre 1943. Unità chirurgica inglese installata in una chiesa di Salerno".


"Ospedale sul fronte"

In una grande chiesa, verso il nord della zona di combattimento, gli Alleati hanno stabilito un ospedale militare, dove vengono assistiti soldati feriti e civili. In un angolo della Chiesa si vede un chirurgo (il Maggiore Arthur Bullongh, marito della sig.ra Anna Cicognani - ndr) mentre opera. Le condizioni erano primitive; da notare la lampada ad acetilene sospesa ad un improvvisato sostegno di legno, ma l'igiene era perfetta. Con un grembiule di gomma, nudo fino alla vita, con stivali bianchi di gomma, il chirurgo opera, assistito da due assistenti. Alla testa del paziente siede l'anestetista concentrato nel suo compito di controllare i gas. I quadri religiosi e il gabinetto chirurgico ottenuto con mezzi di fortuna, sono una prova evidente di questo semplice, ma efficiente teatro operatorio.

"Quando gli americani sbarcarono a Maiori, la notte dell'8 settembre 1943, occuparono la Chiesa di San Domenico come ospedale. Nella sacrestia c'era la sala operatoria. Il chirurgo inglese, Maggiore Arthur Bullongh, è mio marito."

Lettera inviata al parroco di Maiori dalla sig.ra Anna Bullongh. 


"Uno spaccato di storia maiorese da non dimenticare" di Agostino Ferraiuolo
cit. "La vita cristiana di Maiori" 11/12 novembre 1998

 

Il sito di Maiori è: http://www.ecostieramalfitana.it/comunedimaiori/storia.htm

"Con la fine della II guerra mondiale e con l'armistizio dell'8 Settembre 1943,
a Maiori avvenne lo sbarco delle truppe alleate anglo-americane,
che la scelsero come base per la sua ampia spiaggia e per la sua favorevole posizione.

Il Palazzo Mezzacapo, (oggi sede comunale) fu adibito a quartiere generale;
la Chiesa di S.Domenico fu trasformata,in ospedale di prima linea."

 


Maiori (Penisola sorrentina), 1943. 
Un ospedale da campo allestito in una chiesa
Foto di Robert Capa
© MAGNUM/CONTRASTO
Pubblicata sul libro "Robert Capa/Fotografie", Ed. Fratelli Alinari 1996, a pag. 97


 

http://www.losbarcodisalerno.it/web/index.cfm


Operazione Avalanche (Valanga): questa la denominazione esatta dello sbarco alleato a Salerno,
datato 9 settembre 1943:
un'operazione militare anfibia di fondamentale importanza nel processo di liberazione del territorio italiano dai nazifascisti.
Una pagina di storia che ha segnato una svolta epocale, una battaglia colossale,
superata, più tardi, dal D-day in Normandia (6 giugno 1944).

Per saperne di più: http://www.cronologia.it/storia/a1943zb.htm
 

 

 
http://www.revisioncinema.com/news.htm

RISO AMARO NEL FUOCO DELLE POLEMICHE

Fondi - 29 maggio 2004


Sabato 29 maggio p.v. alle ore 18,30 presso il Castello Caetani di Fondi avrà luogo una manifestazione culturale organizzata dall’Associazione Giuseppe De Santis per presentare il terzo numero dei "Quaderni", dal titolo "Riso amaro nel fuoco delle polemiche", a cura di Marco Grossi e Virginio Palazzo.
Il volume raccoglie per la prima volta le polemiche cui diede vita sulla stampa di sinistra ("l’Unità", "Avanti!", "Vie Nuove") l’uscita nelle sale del secondo film di De Santis, nel 1949.
Il "Quaderno" si apre con una conversazione inedita, che funge da saggio introduttivo, con la giornalista e scrittrice Miriam Mafai. Seguono la riproduzione dei flani pubblicitari di Riso amaro e la pubblicazione integrale delle recensioni, delle lettere e del dibattito scaturiti dal film; una testimonianza del regista, raccolta da Paolo Mereghetti e pubblicata su "Sette" nel 1995;,il fotoreportage che Robert Capa realizzò sul set,
venuto appositamente dagli USA
per conto di "LIFE".

Robert Capa pubblicò le foto di "Riso Amaro" anche su altre riviste:

27novembre 1948, Illustrated, pp. 20-21: Bitter Rice.

20 marzo 1949, This Week, pp. 10-11: Bitter Rice.

In chiusura è pubblicato un articolo - apparso nel 1998 sul "Corriere della Sera" - in cui Sebastiano Vassalli percepisce come il film di De Santis preannunci la trasformazione del paesaggio e della società italiana, la scomparsa della cultura contadina, l’industrializzazione e l’omologazione culturale della società dei consumi.
La pubblicazione è stata realizzata con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Direzione Generale per il Cinema e dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Fondi.

Il "Quaderno" era stato presentato in anteprima nazionale il 16 marzo scorso a Venezia presso la sede italiana della statunitense “Wake Forest University”, nel corso di una tavola rotonda dal titolo “Sul neorealismo nel cinema italiano: i contributi di Lizzani e di De Santis”.
Interverranno come relatori alla manifestazione che si terrà il prossimo sabato a Fondi il prof. Maurizio De Benedictis, docente di Storia e Critica del Cinema all’Università “La Sapienza” di Roma, e Stefano Della Casa, saggista e critico cinematografico, già direttore del “Torino Film Festival”.
Nel corso della serata saranno presentati in videoproiezione i contenuti speciali del Dvd di Riso amaro, edito di recente dalla Twentieth Century Fox Home Entertainment ed il "Quaderno" sarà distribuito gratuitamente ai presenti.

Per informazioni:
www.assodesantis.it
e-mail: assodesantis@tiscali.it

 

Giuseppe Chilardi Murolo

Le bugie ufficiali

1 luglio 1943 - 13 ottobre 1943

A cura e con introduzione di Giovanni Gallina

http://www.edizionispartaco.it




formato 12 x 17
pagine 144

ISBN 88-87583-27-7
Prezzo di vendita: 12,00 Euro


Lo sbarco in Sicilia, la difficile penetrazione degli Alleati a Paestum, i tedeschi attestati sulle rampe di Montelungo sulla linea Gustav: giorno dopo giorno, il dramma del Regno del Sud, vissuto dal di dentro, attraverso la raccolta
dei bollettini ufficiali dei comandi italiano, tedesco e nipponico tra il luglio e l’ottobre del 1943.
Un affresco dagli effetti straordinari, la lettura in filigrana di una realtà invano celata o negata, la fine del fascismo
e la guerra civile che insanguinerà per un biennio le due Italie. La pazienza certosina e la chiarezza da amanuense
di un intellettuale napoletano ci consegnano un inedito di eccezionale valore storico.
Come in un film, i “cento giorni” scorrono davanti agli occhi del lettore, smascherando con i fatti le “bugie ufficiali”
e gli interessi della propaganda dell’Asse.

Giuseppe Chilardi Murolo, intellettuale partenopeo, raccolse gli atti ufficiali in sei volumi,
oggi conservati all’Archivio di Stato di Napoli.


Giovanni Gallina
insegna Storia del Mezzogiorno e Storia contemporanea nella facoltà di Scienze della formazione
dell’Università di Salerno. Studioso del movimento e del sindacalismo cattolico in Italia, ha collaborato con l’Archivio
per la storia del movimento sociale cattolico in Italia di Milano e con la Fondazione Pastore di Roma.
Tra le relazioni ufficiali, di particolare rilievo gli studi “Sul campo di concentramento di Campagna (Salerno)”,
“Sulla ricostruzione dei sindacati cattolici” e “Sulla occupazione delle fabbriche”.
Collabora con la rivista “Campania emigrazione” e con la Fondazione Cesar di Bologna.
È direttore scientifico della Biennale del Mediterraneo.


 

 

Federico Zvab

Il prezzo della libertà

Nota critica di Giovanni Gallina
http://www.edizionispartaco.it

 

 

 


 

formato 15 x 21
pagine 208

ISBN 88-87583-25-0
Prezzo di vendita: 14,00 Euro


Il calvario di un intellettuale e sindacalista antifascista, braccato da tutte le polizie d'Europa. L'aborto di un attentato a Hitler.
La guerra in Spagna.
Il processo farsa a Trieste.
Il confino a Ventotene.
Gli "Incurabili" di Napoli.
Sono gli ingredienti dell'eccezionale autobiografia, senza veli e senza manipolazioni, dell'esule triestino Federico Zvab,
protagonista delle Quattro Giornate di Napoli, l'evento che sarebbe assurto a simbolo di un'Europa libera e democratica.

Il volume - in edizione critica curata dall'equipe del docente universitario Giovanni Gallina,
con la premessa di Antonio Della Rocca scritta nel 1943 -
è una delle più significative novità editoriali nel campo degli studi storici negli ultimi anni.

Federico Zvab è nato a Sesana nel 1908 e morto a Napoli nel 1988. Esule triestino, patriota italiano, rivoluzionario d’Europa, antifascista e socialista universale, nel 1936 fu ferito gravemente durante la guerra in Spagna. Internato nel campo di Vernet in Francia, dopo un processo sommario a Trieste fu mandato al confino a Ventotene. Ricoverato agli Incurabili di Napoli, nel settembre 1943 fu alla testa di numerosi gruppi organizzati fra i più attivi durante le Quattro Giornate di Napoli.
 

 

 
La Stampa, 19-7-2000, Cultura e Spettacoli, Pag. 25
Come cambia il mestiere del reporter sui campi di battaglia: un saggio di Mimmo Candito
Guerra l'effetto playstation
Raccontare i conflitti è sempre più difficile
di Mimmo Candito
[Mimmo Candito - I Reporter di guerra. Storia di un mestiere difficile, da Hemingway a Internet - Baldini & Castoldi]
 
 


I REPORTER DI GUERRA

Storia di un mestiere difficile da Hemingway a Internet

Mimmo Cándito

639 pagine
ISBN: 88-8490-188
Prezzo: 14,00 Euro

http://baldini.editore.it/prodotti/dettaglio.aspx?i=239


Il cinema, la letteratura, l'immaginario popolare hanno circondato il corrispondente di guerra di un'aura mitologica che ignora, o comunque tradisce, la realtà: il reporter che va in guerra - anche quando si chiama Hemingway o Montanelli o Fallaci o Peter Arnett - non è mai un eroe: è soltanto un uomo che ha paura, e che odia la guerra, ma trae forza dalla consapevolezza del ruolo che sta interpretando.
Oggi, molto più che in passato, l'informazione è diventata l'arma più importante di una guerra, perché il consenso dell'opinione pubblica è ormai lo strumento essenziale in qualsiasi operazione bellica. I governi e i comandanti militari l'hanno imparato: dopo il Vietnam, ogni guerra è stata un passo in avanti nel tentativo di mettere la museruola ai giornalisti impegnati in prima linea. Il Golfo, la Jugoslavia, l'Afghanistan si sono rivelate le tappe successive di un processo organico che cela l'intento della censura dietro l'offerta allettante di una lettura preconfezionata della cronaca del conflitto. Invece che aggiungersi alla testimonianza diretta del giornalista, le nuove tecnologie elettroniche sono andate sostituendola, creando l'illusione di una documentazione oggettiva, inattaccabile. Appare palese, a questo punto, come l'espulsione del corrispondente di guerra dal campo di battaglia debba essere considerata simbolicamente rappresentativa dell'espulsione del giornalista dal rapporto diretto con la realtà.
In una seconda edizione che aggiorna ampiamente la prima tiratura andata esaurita (con il titolo Professione: reporter di guerra) I reporter di guerra ripercorre la storia dei corrispondenti al fronte: dal primo, William Russell, inviato del «Times» in Crimea nel 1854, fino ai recenti reportage dall'Afghanistan e dal Medio Oriente; dalle cronache scritte con la penna d'oca all'invio del pezzo tramite videotelefono, svelando anche le glorie e le miserie di un giornalismo di frontiera, i trucchi, le colpe, i drammi di un'armata internazionale di Brancaleoni che viaggiano da Kabul a Sarajevo, da Caporetto a Beirut, da Iwo Jima a El Alamein, da Saigon alle spiagge della Normandia, da Verdun al Sinai e alla carica dei Seicento.
In tutto ciò il reporter di guerra è comunque solo, un lupo solitario responsabile delle proprie scelte, oggi come un secolo fa.
Negli ultimi dieci anni sono stati ammazzati 405 reporter: Ilaria Alpi, Maria Grazia Cutuli, Raffaele Ciriello, Miran Hrovatin, Claudio Palmisano sono soltanto alcuni nomi di un elenco senza fine. Com'è senza fine il dovere del giornalista di essere testimone diretto, e credibile, del racconto della realtà. Anche a costo della vita.


Robert Capa: «No, non è poi tanto dura. Ma quando senti che sei dentro una pioggia di proiettili e scopri che te la sei fatta addosso e che devi cambiarti le brache - be', allora sì che quella è una tragedia».

Oriana Fallaci: «Io sono qui, in Vietnam, per provare qualcosa a cui credo: che la guerra è inutile e sciocca, la più bestiale prova d'idiozia della razza terrestre».

Herbert Matthews:
«Io ce l'ho con la ottusa stupidità dei direttori dei giornali, e dei lettori, che esigono dai corrispondenti una descrizione obiettiva, o imparziale, della guerra».
 



Mimmo Cándido ha ricevuto il "Premio Luigi Barzini all'inviato speciale" nel 2002
http://www.comune.orvieto.tr.it/I/389FDD1D.htm

MOTIVAZIONI:

Mimmo Cándito

Dopo una prima esperienza sulle pagine di spettacolo e cultura del Lavoro di Genova, Mimmo Cándito arriva a La Stampa, che diventa il giornale della sua vita professionale. Inviato di politica internazionale, commentatore politico e corrispondente di guerra, ha raccontato praticamente tutto il mondo con inchieste monografiche dall'Europa all'America, dal Medio Oriente all'Africa, dall'Asia all'Australia. Ha seguito tutte le più importanti guerre e crisi politiche mondiali degli ultimi 25 anni. Mimmo Cándito esalta lo spirito di un'informazione che riesce ancora a non farsi risucchiare dall'occhio in tempo reale e ubiquo delle tecnologie della comunicazione. Così, arriva dove solo con il coraggio e la volontà di testimoniare si può arrivare, dal campo palestinese di Tall al-Zaatar a Kuwait City. E' a Baghdad per raccontare il primo bombardamento americano e sul primo convoglio di giornalisti che dal Pakistan entra in Afghanistan.

Ovunque ha portato la forza di un impegno, la fede nella solidarietà e il sentire etico che impone di non sottrarsi alle sfide che danno senso a un lavoro.

Conferendo a Mimmo Cándito il "Premio Luigi Barzini all'inviato speciale", la Giuria ne riconosce il desiderio di non cedere ai pregiudizi e di raccontare senza veli i conflitti e le contraddizioni della realtà. E premia una passione per la libertà che onora il giornalismo

Orvieto - 11 Maggio 2002
 

 

 


 

 La guerra e le false notizie
 Ricordi (1914-1915) e riflessioni (1921)

 Introduzione di Maurice Aymard, traduzione di Gregorio De Paola

 Autore: Marc Bloch (1886-1944)

 Editore: Universale Donzelli

 Anno di pubblicazione: 1994 - 2002

 Pagine: 125

 Prezzo: 9,30 Euro

 ISBN: 88-7989-670-9

 

 

 

 

 



 

 Autore: Giulietto Chiesa

 Editore: nottetempo srl

 Anno di pubblicazione: 2003 - 2004

 Pagine: 50

 Prezzo: 3,00 Euro

 ISBN: 88-7452-024-7

 

 

 

 

 

 

 

Dal 13 gennaio in libreria

VENDERE LA GUERRA

La propaganda come arma d'inganno di massa


di Sheldon Rampton e John Stauber


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Una lettura essenziale per coloro che vogliono essere artefici del proprio futuro e non soggetti passivi della manipolazione e del controllo" - Noam Chomsky

Il primo libro che rivela tutti i retroscena dell'aggressiva campagna di pubbliche relazioni e disinformazione promossa dall'Amministrazione Bush per vendere al mondo la guerra all'Iraq e al terrorismo internazionale.

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ROBERT CAPA
MESSA IN SCENA DI UN MITO 

Scarica il saggio in PDF
(100 pagine - 6.576  KB)


La prima versione del testo che segue è stata depositata alla S.I.A.E. (sezione OLAF) il 2 dicembre 1997.

© Testo di  Luca Pagni e Lucio Valerio Pini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pare che JAN ARNOLD intenda girare il documentario a "Cerro de la Coja"

Patricio Hidalgo, è andato sul posto per realizzare questa fotografia

La somiglianza con l'ambiente in cui Robert Capa ha realizzato la  foto "Il miliziano che cade", è evidente 



"Morte di un miliziano lealista, nei pressi di Cerro Muriano (fronte di Cordova), probabilmente il 5 settembre 1936"  © 1996 Estate of Robert Capa
Pubblicata sul libro "Robert Capa/Fotografie", Ed. Fratelli Alinari 1996, a pag. 39

 

“Es una cosa muy seria” – Robert Capa

In the terrible times when I was five
and civil war in Spain had just begun,
I was soon to see the sudden death
on the cover of Life
of a Loyalist volunteer
in a Robert Capa photo snapped
the second the bullet hit.

The subject, forty something, of average height
wore mostly civilian chothes;
a white, oblong ear pushed against the side
of his bronze and leather face;
the tassel on his cap stood up.
Two cartridge boxes hanging from his waist
formed a lacquered black abyss.

Extending his harm to give up
His rifle to someone on his right
not in the picture yet
and turning his head
far to his left, as if to shun a face
he couldn’t stand to see,
with slightly bended knees,
he looked about to sit.

This was on the Cordoba Front
near Munamo hill
in early Autumn, in the afternoon,
a scena a Goia wouldn’t have missed.

Frank Zapatka
 

 
http://expositions.bnf.fr/capa/bande/index.htm

C'est la guerre d'Espagne avec la photographie du milicien frappé par une balle
qui fait entrer Capa dans l'histoire de la photographie.

Robert Capa
Mort d'un milicien

Cerro Muriano (front de Cordoue), 5 septembre 1936
Tirage sur papier baryté, 25,5 x 35 cm
BNF, Estampes, acquisition 1964-12200. Ep-25-Fol.

Au verso, tampon à l’encre noire :
Please credit ROBERT CAPA – MAGNUM / COURTESY – LIFE MAGAZINE.

Légende dactylographiée sur papier collé :

Panel 4. The moment of death, one of Bob Capa’s most dramatic photos, was taken in the instant a Loyalist soldier was dropped by a bullet through his head during the battle to defend Cadiz in the early part of the Spanish civil war, from the encircling insurgent forces.
(Le moment de la mort, une des photos les plus dramatiques de Robert Capa, a été prise à l’instant où un soldat loyaliste fut frappé d’une balle en pleine tête pendant la bataille livrée au début de la guerre d’Espagne pour défendre Cadix encerclée par les troupes insurgées.)
 
Photograph by Robert Capa © 2001 by Cornell Capa / Magnum Photos.

 


 

 



Non si tratta del primo documentario inerente Robert Capa e la foto "Il miliziano che cade".

Nel 2002 è infatti uscito un altro documentario, della durata di 83 minuti, intitolato "Robert Capa in love and war".

FILMS TRANSIT INTERNATIONAL


An American Masters Production (Thirteen WNET New York/ PBS)

ROBERT CAPA: IN LOVE AND WAR

The life and times of photographer Robert Capa.

USA | 2002 | 83 minutes

 

Robert Capa, the world's preeminent documentarian of 20th century war, photographed five epic conflicts on three different continents. A handsome, dashing figure, Capa was also a life-long pacifist who wore military uniforms, rode in tanks, jumped out of planes, dodged bullets and marched in the front lines.

His images have affected the lives of those who may not even know his name. The only photographer who touched land with soldiers at Omaha Beach on D-Day, his shocking pictures inspired Steven Spielberg's Saving Private Ryan more than 50 years later. As John Steinbeck once said, "he could photograph thought…and capture worlds." With the full participation of his brother Cornell, access to IPC and Magnum, this is the first film devoted entirely to Robert Capa's mythic life. Told with the help of his vast legacy of photographs and writings, it is a testament to great art and to historical horror.
 


Cliccare sull'immagine per ingrandirla

 

The film is directed by ANNE MAKEPEACE
Starring: Robert Capa, Steven Spielberg
Narrated by Robert Burk e
Goran Visjnic

Produced by Anne Makepeace (USA)
Executive Producer: SUSAN LACY
Screenplay (in English) by Anne Makepeace
Photography (BW/C) by Nancy Schreiber
Edited by Susan Fanshel
Music by Joel Goodman

 

Nel cast figurava anche:

Isabella Rosellini: interpreta se stessa, figlia di Roberto Rossellini e Ingrid Bergman

 

 
Ingrid e Capa, amore travolgente


http://ilgiorno.quotidiano.net/chan/cultura_spettacoli:304123.2:/1999/11/05

NEW YORK — Dopo la clamorosa pubblicazione delle lettere alla sorella in cui l'attrice raccontava delle crisi con Roberto Rossellini, ecco ora nuovi tormenti, e una rivelazione a sorpresa nella vita sentimentale di Ingrid Bergman. La Bergman e il leggendario fotografo Robert Capa ebbero un'appassionata storia d'amore e lei aveva deciso di divorziare dal marito Peter Lindstrom per sposarlo, ma lui disse di no. Anche se a implorarlo era una donne splendida quale la Bergman, «Capa non si voleva sposare. Sapeva che sarebbe morto in una di quelle terribili guerre che fotografava», ha scritto Isabella Rossellini, la figlia di Ingrid, nell'introduzione al catalogo della mostra "Magna Brava: le donne fotografe di Magnum". Isabella ha detto di aver appreso della passione della madre per Capa — il fotografo effettivamente morì saltando in aria su una mina nel 1954 in Indocina — dal manoscritto dell'autobiografia "My Story", che Ingrid le consegnò poco prima di morire di cancro nel 1982. «Sapevo tutto tranne un evento: la sua storia con Capa», ha scritto Isabella.

Ecco un FLASH da "Il corriere della sera" di venerdì 5 novembre 1999 pagina 38:

Ingrid Bergman amo' il fotografo Capa

<< Ingrid Bergman amo' il fotografo Capa Ingrid Bergman e il leggendario fotografo Robert Capa ebbero un' appassionata love story. Lei voleva divorziare dal marito, Peter Lindstrom, per sposarlo ma lui disse no. Lo ha rivelato la figlia Isabella Rossellini: "Lui sapeva che sarebbe morto in una di quelle terribili guerre che fotografava".>>
 

 

 


http://www.mjff.org/

ROBERT CAPA: IN LOVE AND WAR
(USA, 2003, 87 min., English)
Directed by Anne Makepeace

From the moment British magazine Picture Post published Robert Capa's 1938 photographs of the Spanish Civil War with the caption "The Greatest War Photographer in the World" - until the day he died - Capa has widely been considered the best. Anne Makepeace's feature-length documentary highlights dozens of Capa's images to tell the story of his mythic life from his childhood as Endre Friedmann in Hungary to his years in Paris and Hollywood to his tragic death on assignment in 1954.

Click here to read the 2004 Program Book essay on this film.

The Seniors Free program is made possible by a grant from the Second Abraham S. and Fanny B. Levey Foundation and is co-sponsored by Piper Shores and the Jewish Community Alliance of Southern Maine.

 

Maine Jewish Film Festival
P.O. Box 7465, Portland, ME 04112-7465
Tel: 207-831-7495 Fax: 661-760-8148
e-mail: filmfest@mjff.org

 

Questo film è stato presentato al

56mo Festival internazionale del film Locarno

nella sezione

Human Rights Tracks - Filmmakers of the Present

 
http://www.nefilm.com/news/archives/03may/makepeace.htm

Life Portrait 
Connecticut director Anne Makepeace discusses her documentary, "Robert Capa: In Love and War," featured at the 2003 Sundance Film Festival and premiering on PBS this month.

By Chrystal Ann Sturtevant

"The war photographer’s most fervent wish is for unemployment." In a time when our country is at war, this quote made by legendary war correspondent and photographer Robert Capa makes all too much sense.

On May 28th, a special PBS "American Masters" documentary will be aired, honoring the life and contributions that Capa has made to the art of war photography. Written, directed, and produced by Middlebury, Connecticut native, Anne Makepeace, "Robert Capa: In Love and War," explores the eventful life of a man who continuously ventured in harm’s way in order to capture the realism of war on film.

"He was the only photographer to go with the first wave of infantrymen on Omaha Beach in World War II, and he was the first war correspondent to die in Vietnam," Makepeace said.

In addition to his photographic talents, Capa was known for his impressive people skills. Over his 40 years, Capa transformed from a Hungarian Jew caught in the political turmoil of the 1930s into "the greatest war photographer in the world," the title given to Capa by the "Picture Post," (a British Magazine) in 1938 after they published his prints of the Spanish Civil War. Before his death in 1954, Capa traveled throughout Hungary, America, Europe, China, Vietnam, and North Africa, taking pictures of five wars around the globe, and attracting the company of everyone from soldiers and civilians to popular writers and Hollywood stars.

"He had charm and charisma. He was a dashing, sexy, and romantic guy, who was involved in intense love affairs. He loved children, and took pictures of everyday life as well. As for war photography, he invented ways of looking at war that photojournalists have used as touchstones," Makepeace said.

Makepeace has been writing, directing, and producing in the film industry for over 20 years, and has had her award-winning films aired on a number of networks worldwide, including PBS, HBO, Bravo, Showtime, USA and National Geographic. With credits such as "Baby It’s You," "Moonchild," "Night Driving," "Whistle in the Wind," and "Coming to Light: Edward S. Curtis and the North American Indians," Susan Lacy, producer of the PBS American Masters series was confident that Makepeace was the best person for the job.

Makepeace was commissioned to write, produce and edit the Robert Capa project in August in 2001, and was asked to deliver the production in a year. During the process, Makepeace and her small crew filmed in six European countries and in New York and California as well.

"Being a writer, producer, and director, takes a lot of thinking and planning, but basically it all fits together as one. Johanna Redneck, the co-producer, was a godsend. Just trying to tell the story is the hardest part. To tell a life story in 90 minutes isn’t easy," Makepeace said.

So how did this Connecticut woman get her start? Makepeace said she went to Stanford and graduated with a BA in English, then got her Masters in education there. She became interested in entertainment after using film and video in her classes, and soon fell in love with filmmaking. She decided to go back to Stanford and study film. While in school she made her thesis film, "Moonchild," and the movie was sold to HBO, Bravo, PBS, and a number of networks around the world.

"When I’m making movies, I feel the most alive. It challenges me, and inspires me. My goal is to make good movies that tell good stories that will affect people intellectually and emotionally," Makepeace said.

When asked what advice she would give to someone wanting to get into the film industry, Makepeace lightheartedly referred to a phrase her teacher used to say, "‘If there’s anything else that you would like to do, and you’d be happy doing it, do it!’ There’s a lot of sacrifice. I’ve had slow and dry times in my career, but there’s nothing else I want to do, nothing else that makes me feel that I am using everything I know and learning at the same time. It’s who I am. It’s my choice, but I wouldn’t wish the sacrifices and insecurities this life requires upon anybody else."

For information about the American Masters PBS series,

visit www.pbs.org/wnet/americanmasters/

visit http://www.pbs.org/weta/reportingamericaatwar/reporters/capa/

visit http://www.pbs.org/wnet/americanmasters/database/capa_r.html

 

 

 

Canal + estrena el documental "Robert Capa: en el amor y en la guerra"

Estimado señor:

Aprovechamos la ocasión para agradecerle la amabilidad que ha tenido al dirigirse a nosotros.

En relación con el tema objeto de su mensaje, le enviamos la información que nos solicita:

* Viernes 01/10/2004 16:35:47 Canal + 2 Documental: Robert Capa, en el amor y en la guerra

Esperamos haber aclarado sus dudas y le recordamos que nos tiene a su disposición para cualquier observación o propuesta que desee plantearnos.

Estaremos encantados de atenderle.

Cordialmente,

Centro de Servicio al Cliente.

 

 


Canal + estrena el documental "Robert Capa: en el amor y en la guerra"
http://www.mundoplus.tv/reframe.html?/noticias/dp.php?id=914

 

12/5/2004, 20:11

Canal + estrena el jueves 13 a las 18.36 horas, Robert Capa: en el amor y en la guerra, undocumental sobre la vida de este fotógrafo de guerra.

Coproducido por las prestigiosas productoras Thirteen y Wnet New York, Robert Capa: en el amor y en la guerra es el primer documental que expone íntegramente la vida del conocido fotógrafo. Un dcumento histórico excepcional en el que se hace un repaso por los conflictos bélicos más importantes del siglo XX de la mano de un testigo de excepción, Robert Capa, considerado el mejor fotógrafo de guerra del mundo.

Con un completo y exclusivo acceso a los archivos de Capa, su correspondencia personal, su diarios, fotos de cinco guerras y los testimonios de primera mano de su hermano, el fotógrafo Cornell Capa y la actriz Isabella Rossellini, entre otros.

Robert Capa: En el amor y en la guerra, muestra el lado humano y profesional del que, irónicamente, era el anti-fotógrafo de guerra, sensible para exponer el horror y, a menudo, frustrado por la impotencia para detenerlo.

En la búsqueda de información, el equipo del documental viajó a través de siete países y habló con decenas de amigos de Capa, incluidos algunos veteranos de la Guerra Civil Española, con uno de los fundadores de la agencia Mágnum, Cartier-Besson, de 94 años, y veteranos de la II Guerra Mundial que Capa fotografió, en 1945, durante el lanzamiento en paracaídas en el Valle del Rhin.

Sus impresionantes fotografías del desembarco de Normandía, en la playa de Omaha el 6 de junio de 1944, inspiraron, plano a plano, la larga secuencia inicial de la película de Steven Spielberg, Salvar al soldado Ryan. Fue el único fotógrafo que estuvo allí.

N.P.
 

Robert Capa ha realizzato una sequenza di foto, volte a  raccontare la "giornata tipo" di un "miliziano" al fronte.
 


Dopo questa pubblicazione l'argomento è stato ripreso e dibattuto su "L'EUROPEO"
 

il 14 gennaio 1977 ed il 4 febbraio 1977, con due articoli firmati dal famoso critico Roberto Leydi

I due titoli sono eloquenti:

"La foto-simbolo della guerra di Spagna è un falso ?"
(L'EUROPEO anno 33 n. 2 - 14 gennaio 1977 - pagg. 70 - 71)

"Dibattito dopo lo scandalo della foto del miliziano - Né falsa né vera ? -
Sei esperti di fotografia discutono se ha senso parlare di vero e di falso nel fotoreportage di guerra"
(intervengono Giacomino Anfuso, Fedele Toscani, Vincenzo Carrese, Ando Gilardi, Piero Raffaelli e Domenico Cirillo)
 (L'EUROPEO anno 33 n. 5 - 4 febbraio 1977 - pagg. 82/85)
 

 

L' immagine del Miliziano è stata pubblicata anche sul quotidiano inglese " The Observer" dell' 1 settembre 1996,  a commento di un articolo firmato Rita Grosvenor e Arnold Kemp, dove sono state riproposte anche due foto di due miliziani che cadono a terra, entrambi sullo stesso metro quadrato di Spagna, già pubblicati sulla rivista "VU" il 23 settembre 1936, e che il biografo ufficiale di Capa, Richard Whelan,  ha riconosciuto rispettivamente nel primo e nel terzo miliziano, a partire da sinistra,  del gruppo qui a fianco.

Richard Whelan, in questo modo,   avrebbe fugato i dubbi di quanti, nel tempo,  hanno sostenuto che i due miliziani sarebbero la medesima persona. 

 

"Historia" mensile illustrato di storia,  n. 7 del luglio 1996.

 

 

 

PER SAPERE COSA ACCADDE IN SPAGNA TRA LUGLIO E OTTOBRE DEL 1936

Leggere

"Il viaggio della memoria - Testimonianze, storia e letteratura della guerra di Spagna 1936-1939",
di Pietro Ramella. Ibio Paolucci e Franco Giannantoni, Milano 1999.

"Diario de operaciones 1936 - 1939" del Generale  Varela

"la voz" dell' 8 settembre 1936 (anche se postpone gli eventi di 24 ore)

 

"La lucha del pueblo español por su libertad" compilato da A. Ramos Oliveira nel 1937

oppure consultare la "cronologia" on line

http://www.romacivica.net/anpiroma/antifascismo/Guerraspagna.htm

 

Importanti pure i testi sulla Battaglia di Cerro Muriano del Generale Varela

e

LA GUERRA EN LA PROVINCIA DE CÓRDOBA.  EVOLUCIÓN DE LOS FRENTES 

e


VU, 23 Settembre 1936.
 


REGARDS, 24 Settembre 1936.

 


 

Sulla base dei dati storici, ecco una verosimile scansione temporale dell'evento rappresentato:

 

* Luglio 1936: i miliziani partono da Barcellona per il fronte e, appena arrivati, posano per una foto ricordo;

** A Settembre la battaglia è in corso e i miliziani saltano la trincea per andare alla conquista del campo nemico;

*** Il miliziani puntano il fucile contro il nemico;

**** I miliziani combattono fino alla morte per liberare la patria dal nemico tiranno.

 

L'intento di raccontare per immagini la vita di un miliziano in trincea, è ben riuscito.

E’ presente una suggestiva perfezione che porta a superare la soglia del semplice reportage,
proponendo un'icona socialmente condivisibile.

Chiunque può infatti riconoscersi in questa semplice, universale, sequenza di eventi.

Ma, come spesso accade, basta un solo elemento di troppo per rovinare tutta la storia.

Robert Capa realizza almeno due foto, di due miliziani, che cadono sullo stesso metro quadrato di terra.

in entrambe le foto il soggetto viene isolato dal contesto in cui agisce ed in nessuna delle due foto si vede il corpo del miliziano caduto per primo.

La ripresa dell'evento in controluce enfatizza la drammaticità della morte che si vuole rappresentare.

Tutto sarebbe stato perfetto se qualcuno non avesse notato ed accostato pubblicamente le foto dei due miliziani.

Quante analogie accomunano la foto de "Il miliziano colpito a morte" e la statua "Il Gàlata morto" ?

Tante, forse anche troppe!

Il trucco è svelato.

Il Re è nudo.

 

 

Volontario in difesa della libertà

Aldo Morandi, In nome della libertà. Diario della guerra di Spagna 1936-1939,
a cura di Pietro Ramella, Milano, Mursia, 2002, pp. 242, e 16,00.

Il volume ripercorre l'esperienza di Riccardo Formica, alias Aldo Morandi, che fu a capo di diverse unità dell'esercito governativo spagnolo negli anni della guerra civile. Morandi, più volte arrestato e condannato dal regime fascista in quanto aderente al Partito comunista dal 1921, si trasferì prima in Unione Sovietica e poi in Spagna dove, sebbene impegnato su fronti di guerra di non primaria importanza, svolse un significativo ruolo di comando di unità internazionali e spagnole.
Il diario si rivela preziosa testimonianza, ricca di notizie, impressioni, opinioni sull'organizzazione delle brigate internazionali e dell'esercito governativo spagnolo, nonché di considerazioni che ben mettono in luce le contraddizioni insite nell'ambiente politico, sociale e militare, cause, insieme all'indifferenza delle grandi democrazie, del fallimento della Repubblica.
Pietro Ramella ha riordinato il materiale, verificando l'esattezza delle date e la giusta collocazione di personaggi e avvenimenti, confrontandoli con opere di storici che hanno affrontato l'argomento, documenti d'archivio e materiale raccolto in Spagna.
L'opera si propone in tal modo, raccontandoci la Storia attraverso gli occhi di chi l'ha vissuta in prima persona, di far rivivere la leggenda, spesso dimenticata, dei volontari accorsi da ogni parte del mondo in difesa della libertà.

 

"JOURNAL OF THE VETERANS OF THE ABRAHAM LINCOLN BRIGADE"

Vol. XXII, No. 2 Spring 2000 - http://www.alba-valb.org/volpdf/vol_22_2_spring2000.pdf

 Per capire meglio lo spirito dell'epoca e l'animo di Robert Capa al fronte, è bene ricordare che il 18 agosto 1936 venne assassinato dai falangisti a Granada il poeta Federico Garcia Lorca.

La foto del miliziano è datata 5 Settembre 1936 ed è oggetto di  polemiche relative alla possibile messa in posa dell'evento ritratto, fin dal 23 settembre 1936 quando la rivista francese "Vu"  ha accostato le foto di due distinti miliziani, che vengono colpiti a morte sullo stesso metro quadrato di terra.

Solo quattro giorni dopo questa pubblicazione, il 30 settembre 1936, venne approvato in Spagna il Decreto di militarizzazione delle milizie repubblicane, mentre il 1 ottobre 1936 Franco venne nominato Capo (del Governo) dello Stato spagnolo e Generalissimo degli eserciti di terra, di mare e dell’aria.
 


"La Guerre Civile en Espagne: Comment Ils Sont Tombés , Comment Ils Ont Fui"
(The Spanish Civil War: How They Fell, How They Fled)
VU (n. 445 pagg. 1106-1107) 23 Settembre 1936.

 

Il  titolo dell'articolo non lascia dubbi:
"COMMENT ILS SONT TOMBES" (Come sono morti).

La didascalia delle foto trasuda invece di patriottismo:

"Petto al vento, fucile in pugno, atmosfere con aria pesante, all'improvviso la quiete è rotta, una pallottola che soffia - una pallottola fratricida ed il loro sangue bevuto dalla terra natale".

Questa pagina è segnalata anche nel libro "UNDER EXPOSED", edito da Colin Jacobson, (già "picture editor" dell'Indipendent) in cui si parla di Capa e del libro "The First Casuality..."

 

La pagina di "Vu" è stata riprodotta, in Italia, dal Gruppo Editoriale Fabbri nella collana dedicata ai GRANDI TEMI DELLA FOTOGRAFIA, "Il fotogiornalismo" parte II, 1983.

 

 

<< La rivista francese "VU" venne fondata nel 1928 da Lucien Vogel editore, giornalista, pittore e disegnatore.
Vogel aveva una forte personalità e idee molto originali.
Fin dal primo numero di "VU", uscito il 28 marzo 1928, Vogel rompe con la formula classica della fotografia occasionale, pubblicando più di 60 immagini fotografiche con un apporto pubblicitario ridotto all'essenziale.
"VU" introduce in Francia una formula nuova: il servizio illustrato d'informazioni di ogni parte del mondo,
con l'intento di << mettere alla portata dell'occhio la vita di tutto l'universo...>>.
Pagine zeppe di fotografie,severamente selezionate,  per sensazionali servizi illustrati.
Vogel non nasconde le sue simpatie per la sinistra che, unita nel fronte popolare, vince le elezioni nel 1936.
La grande industria, la più sicura fonte di pubblicità, gli è ostile
Quando nell'autunno del 1936 esce un numero speciale sulla Guerra Civile di Spagna, vista dalla parte repubblicana,
sale al culmine l'indignazione dei finanziatori, che costringono Vogel a dimettersi.
La rivista tuttavia continua fino al 1938, ma diminuisce il suo interesse e perde buona parte della clientela.
Quando Lucien Vogel muore nel 1954, ...Henry Luce, che nel 1936 ha fondato la rivista "LIFE" in America,
telegrafa alla sua famiglia: << Senza "VU", "LIFE" non sarebbe nata",
rendendo così un estremo omaggio all'uomo che aveva creato la prima rivista illustrata moderna in Francia,
basata sulla fotografia. >>

 << cit. "Fotografia e società" di Gisèl Freund >>


"Fotografia e Società" - Einaudi 1976-1980

 

Lucien Vogel vide André al lavoro in esclusiva a Ginevra, durante una riunione della Società delle Nazioni.
Quando successivamente gli furono presentate le foto scattate in quell'occasione, con il copyright Robert Capa,
il gioco dei ruoli (Capa fotografo, Friedmann stampatore e Gerda Taro segretaria) non fu più un mistero per nessuno.

Con il nome di R. Capa, Friedmann era ritenuto in Europa un fotografo americano ed in America un francese.

 

 

Ad un attento confronto tra le immagini dei due "miliziani  colpiti a morte", realizzate nello stesso contesto spazio-temporale, i denotati specifici non mutano, anche se si può percepire ed apprezzare un connotato nuovo che scaturisce proprio dalla comparazione messa in atto.
Si tratta dell'ulteriore significato veicolato dalla interconnessione delle due foto e che si produce solo, se, e fino a quando, le due foto sono percepite simultaneamente dall'osservatore.

 

Appare chiaro che si tratta di due soldati distinti:

il primo miliziano ha una camicia chiara, mentre il secondo ha una divisa scura;

il primo miliziano ha le scarpe scure mentre il secondo sembra indossare espadrillas chiare;

il primo miliziano ha tre giberne tenute dagli spallacci, il secondo ne ha solo due alla cintura;

il modo di cadere è molto diverso e risulta improbabile che si tratti dello stesso uomo.

 

 

Analizzando le fotografie dei due miliziani si può facilmente notare che esse risultano perfettamente sovrapponibili : 

 

-  l'altezza ed il tipo di stratificazione delle nuvole sono uguali;
 -  i  profili montuosi che si stagliano sull'infinito sono uguali; 
 -  sempre all'orizzonte, sulla destra delle foto, quelli che sembrano essere campi coltivati,  sono uguali; 
 -  l'inclinazione del terreno di caduta dei miliziani è la stessa; 
 -  l'ombra dei due miliziani  ha la medesima angolatura;
- entrambi i soggetti sono isolati dal contesto naturale in cui agiscono e si stagliano su uno sfondo neutro;
- un evidente controluce enfatizza la drammatica morte;

 

 
La foto del primo miliziano sarà consacrata alla storia dalla rivista LIFE

 il 12 luglio 1937

 


 

In quello stesso anno, il 26 aprile 1937, la città di Guernica, simbolo dell’autonomia basca, venne rasa al suolo dalla Legione Condor. L’episodio diventerà famoso nel mondo anche per l’omonimo dipinto di Pablo Picasso.

 

 

Le due foto quindi,  pur presentando il medesimo ambiente, ripreso nella stessa frazione di tempo, non possono essere state realizzate che a breve sequenza di distanza l'una dall'altra.

Come visto, le didascalie Magnum indicano che la foto del miliziano accasciato a terra sarebbe stata realizzata un attimo prima che morisse il famoso"Miliziano"

A questo punto viene da domandarsi: 

se il punto di caduta è il medesimo ed immediatamente successivo è l'attimo di caduta per tutti e due miliziani, dove giace il corpo dell'uno o dell'altro ?  
La constatazione della mancanza di un elemento tanto importante, consente di giungere ad una sola conclusione: 
le foto sono state realizzate con l'apparecchio fotografico ben posizionato e con accorta regia.

E' quindi possibile sostenere che i due miliziani abbiano posato per Robert Capa, anche se poi uno di loro sarebbe rimasto veramente ucciso e, questo dato di fatto, pur non togliendo nulla al risultato formale delle foto, le classifica inconfutabilmente come una ricostruzione,  privandole di quella pregnanza che fino ad oggi è stata loro caparbiamente riconosciuta.

Tutto questo è in totale contrasto con il commento che Robert Capa ha espresso quando ancora non erano stati sollevati dubbi sull'autenticità della foto:

"Mi trovavo dietro un mucchio di terra, al riparo.
I franchisti tiravano con delle mitragliatrici e c'era molto pericolo.
Sulla mia sinistra c'erano, in una trincea, i miliziani.
Di tanto in tanto un gruppetto di loro saltava fuori perché aveva l'ordine di conquistare la posizione dei nazionalisti.
La mia paura era tale che ad un certo momento, spinto dal dovere professionale, ho tirato fuori un braccio con la
Leica, ho puntato e quando ho sentito partire la scarica, ho scattato poi ho ritirato la macchina e me ne sono andato"

" (la citazione è tratta da "Il Giornale" del 7/9/1996).
 

  
Si ricordi che ne l 1936 non erano disponibili motori ne automatismi,
ne per il trascinamento della pellicola ne per l'apertura dell'otturatore,



http://www.photogallery.it/storia/ileica_1.html

Leica (I) 1925 - 1936
Ernst Leitz (Wetzlar - Germania)

formato 24x36 mm, ottica fissa, mirino galileliano, costruzione in metallo.
Comando unico per armare l'otturatore e trascinare la pellicola.
Contapose non autoazzerante numerato fino a 40, coassiale al pomello di trascinamento.
Comando di sblocco della pellicola posto sul tettuccio della macchina, vicino al pulsante di scatto.
Pomello separato per il riavvolgimento del film che nell'uso si svolge da un'apposita cassetta metallica
ad un rocchetto ricevitore.

Il 1° settembre 1937 un giornalista del New York World-Telegram  intervistò Robert Capa ed il 2  riferì che il miliziano "...si arrampicò fuori dalla trincea , seguito da Capa. Le mitragliatrici si azionarono e Capa automaticamente scattò, cadendo all'indietro accanto al corpo del compagno. Due ore dopo, al calar della notte, quando le armi s'azzittirono, il fotografo si mise in salvo, strisciando lungo il suolo sconnesso. Più tardi scoprì di aver fatto una delle foto più belle della guerra spagnola".

Stranamente in un'altra occasione Capa dice di aver conosciuto il miliziano da vivo "facevamo i buffoni. Tutti noi. Stavamo bene. Non si sparava. Presero a correre giù dal pendio. Corsi anch'io.
Poi, improvvisamente, tutto accadde. Non sentii quando fecero fuoco, non subito.
Rispetto a loro mi trovavo leggermente davanti e di lato"
(Hansel Mieth, lettera a Richard Whelan, 19 marzo 1982, citata con autorizzazione del Georgia Brown e del Center For Creative Photography, nel libro "Robert Capa" di Alex Kershaw, editore Rizzoli 2002).  

Il 20 ottobre 1947 Robert Capa, intervistato dall'emittente radiofonica "Wnbc" per promuovere una raccolta di sue memorie "Slightly Out of Focus", disse che "la foto da premio è nata nell'immaginazione dei redattori e del pubblico che li segue... accadde in Spagna, agli inizia della mia carriera di fotografo e agli inizi della guerra civile spagnola. E la guerra era qualcosa di romantico, se così si può dire...".
Robert Capa disse di aver fatto la foto in Andalusia, mentre accompagnava un gruppo di reclute repubblicane inesperte <<non erano dei soldati>>, aggiunse, << e morivano continuamente compiendo grandi gesti, e immaginavano che fosse davvero per la libertà e per la giusta battaglia. Erano pieni di entusiasmo.
Disse poi di essere stato in trincea con circa venti uomini armati di vecchi fucili. Sulla collina di fronte, c'era una mitragliatrice nemica... gli uomini spararono in quella direzione per cinque minuti .
Poi si fermarono, dissero Vamos! e strisciarono fuori dalla trincea verso la mitragliatrice.
La mitragliatrice partì e... la fine! I superstiti tornarono indietro e ripresero a sparare... Dopo cinque minuti dissero ancora Vamos! e vennero falciati un'altra volta. La cosa si ripeté per circa tre o quattro volte e, alla quarta, io non feci che alzare la macchina fotografica sopra la testa e, senza guardare, quando loro si mossero fuori dalla trincea, scattai.>> (cit.)

Capa spiegò di non aver sviluppato  quella pellicola da solo. La spedì a Parigi con altri rullini e restò in Spagna per tre mesi. Quando tornò in Francia scoprì di "essere diventato un fotografo famosissimo, perché quella macchina fotografica sollevata in aria aveva colto l'attimo esatto in cui un uomo veniva colpito". (cit.)

 E' evidente come Robert Capa risulti contraddittorio perfino nelle citazioni autobiografiche anche se un filo conduttore tra esse può essere ravvisato nel fatto che Capa parla sempre di una foto presa al volo, e non di due foto, palesemente studiate (in ripresa o in stampa).

Tralasciando tutte quelle contraddizioni e discrepanze che si possono evidenziare nelle testimonianze e nei racconti, prima di Robert Capa e poi di critici, storici e giornalisti, torniamo a guardare le foto:
esse sono perfettamente sovrapponibili.
 

A sostegno di questa tesi, condivisa da molti critici e storici, vi sono anche le dichiarazioni  del fotografo inglese O. D. Gallagher, corrispondente sul fronte spagnolo per il "London Daily Press". 
O'Dowd Gallagher, in varie interviste pubblicate sul settimanale "Sunday Times" oltre che nel libro curato da J. Borgè e N. Viasnoff  per la France Loisirs  nel 1974 "L'aristocratie du reportage photographique", afferma di aver diviso con Robert Capa la stessa camera d'albergo, all'inizio del conflitto spagnolo. Gallagher, inoltre, dichiara che "...io e Capa ci recammo dalle autorità a lamentare che non riuscivamo ad ottenere quelle foto che i giornali volevano da noi. Allora le autorità organizzarono un finto attacco, e noi ottenemmo le foto che volevamo..."

Se questa testimonianza diretta fosse autentica, la foto del miliziano morente realizzata da Robert Capa, dovrebbe, più correttamente, riportare nella didascalia che si tratta di una "ricostruzione storica",  come è già avvenuto per la foto dell'issa bandiera scattata ad Iwo Jima.

 
 

© Associated Press.

TITLE: IWO JIMA FLAG RAISING
AP PHOTOGRAPHER: JOE ROSENTHAL
2/23/1945
IWO JIMA Japan
Print Size: 20"X24"
Edition Size: 250/AP25/PP10

   


Questa immagine "documenta" la conquista da parte dei marines statunitensi dell'isola di Iwo Jima.

Joe Rosenthal, per avere una foto da copertina, inscenò quattro versioni del momento più spettacolare dell'avvenimento.

Questa immagine è divenuta un simbolo dell'America vittoriosa, e mantiene intatta questa valenza perche' non inganna chi la guarda...


Anche questa immagine è divenuta il "soggetto ideale" per un film...


per un libro...
 


...per un francobollo e...


per il "National Iwo Jima Memorial Monument" a Newington, Connectiut.

Per saperne di più:

http://www.iwojima.com/

http://www.webtravels.com/iwojima/
 

 

John Szarkowski, direttore della fotografia per il M.O.M.A. di New York, nel 1980 ha spiegato che quando la veridicità e l'effetto visivo sono uniti in un'immagine forte e coinvolgente, questa immagine può giungere a shockàre il pubblico.
John Szarkowski ha inoltre ribadito come la fiducia che il pubblico nutre per il "reportage-verità", possa essere facilmente carpita e manipolata, a scopi sia economici che politici.

 


 

Su questo tema, lo storico e diplomatico Sergio Romano ha dedicato un lungo articolo,  pubblicato sul quotidiano italiano "LA STAMPA"  del 27 dicembre 1997 e intitolato: 
"Dal miliziano morente al tragico incidente di Lady Diana: usi e abusi dell'immagine nel giornalismo del '900".
Nel suo articolo, Sergio Romano, dopo aver ricordato il comunicato con cui l'agenzia MAGNUM  nel 1996 avrebbe implicitamente rivendicato l'integrità professionale di Capa, afferma che l'immagine del "miliziano colpito a morte" può essere ritenuta come apparentemente vera ma ideologicamente falsa, ribadendo che "Nessuna manipolazione della realtà è più pericolosa e inquietante del falso fotografico", perché "non possiamo accettare che i fotografi falsifichino la realtà, in quanto da essi  ci attendiamo un documento".
Sergio Romano sentenzia infine che "...Il falso fotografico è un inganno, una menzogna".

Questa non è stata la prima volta che Sergio Romano ha parlato del "Miliziano che cade" di Robert Capa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 1993, nella prefazione al libro di Alain Jaubert "Commissariato degli archivi: le fotografie che falsificano la storia" (Ed. Corbaccio), Sergio Romano pone un quesito che è all'origine di questa ricerca:
"Siamo davvero certi che Robert Capa abbia colto con il proprio obiettivo la morte di un miliziano spagnolo durante la guerra civile ? O non è piuttosto probabile che egli abbia "onestamente" ricostruito un episodio di cui era stato testimone qualche tempo prima ?" (cit. pag. 9)

 

 

La rivista italiana "Fotografare"nel numero di maggio 1981, ha pubblicato un articolo intitolato "Foto di guerra col treppiede - morte di un miliziano" in cui si cita la pubblicazione della foto del "miliziano colpito a morte" su "LIFE magazine" il 12 luglio 1937 (vol. 3, n° 2) con il titolo "DHEATH IN SPAIN: THE CIVIL WAR HAS TAKEN 500,000 LIVES IN ONE YEAR", ed in cui Capa è qualificato come "il miglior fotografo di guerra del mondo".

Nell'articolo sono pubblicate le foto dei due miliziani e in didascalia si legge che "La più riprodotta foto di guerra sarebbe un Falso. I sospetti sono confermati dal fatto che di miliziani che vengono colpiti e cadono al suolo, Robert Capa ne fotografò più di uno". Anche nel corpo dell'articolo si legge che "… la fotografia per cui Robert Capa è diventato famoso e che a 23 anni gli ha procurato un contratto con la mitica Life, non registra la morte di un soldato ma soltanto una compiacente sceneggiatura".
Sempre"Fotografare", nel numero di settembre 1994, in un articolo dal titolo "Manipolazione fotografica della storia - I trucchi fotostorici" a firma di Antonello Manno, si dimostra la manipolazione di alcune foto storiche, dalla cerimonia ufficiale con Alessandro Dubcek accompagnato da Svodoba e Smrkowsky (nella stessa foto, qualche mese dopo la sua prima pubblicazione, di Dubcek rimane solo la punta di una scarpa, dietro le gambe di Svodoba), alla beffa di Porta Pia con i bersaglieri "clonati" e capovolti, ai soldati in Bosnia che sparano a beneficio del fotografo, all'issa bandiera dei marinses sull'isola di Iwo Jima conquistata nel 1944, fino alla fatidica foto simbolo della guerra di Spagna: la foto del miliziano colpito a morte.
Nella didascalia alle foto dei due miliziani si legge che "di miliziani morenti, tutti nello stesso luogo e modo, Capa ne ha fotografati molti, da dietro la sua Leica sul cavalletto". Lo stesso articolo parla di un "foglio di provini a contatto trovato nell'archivio di Capa, dove è palese che fotografo e miliziano attore fecero diverse prove. Il motivo è che, in quegli anni, la pellicola più sensibile era di 21 DIN (100 ASA) e non permetteva tempi rapidi di otturazione".

 


 

Da segnalare c'è anche il libro "Photojournalism Un Metodo Etico" di Paul Martin Lester, ed. LEA Inc. 1991 (copie esaurite), dove si esprime una preoccupazione ed un interesse crescenti nell'etica del fotogiornalismo del passato immediato con uno sguardo al futuro. Nel libro è anche presente la foto del miliziano dove in didascalia si legge che "…è stato suggerito che la fotografia era o un caso di probabilità del fotografo che spara ciecamente, o è stata organizzata a favore della macchina fotografica". Segue la citazione del motto di Robert Capa che era: "se le vostre immagini non sono buone, voi non siete abbastanza vicini".

Anche se quanto esposto appare scontato e naturale, continuano ad uscire articoli in cui si cerca di ridare un'autenticità storico-fotografica al "miliziano colpito a morte" di Capa, cercando di  nascondere la presenza ingombrante dell'altro commilitone che, pur essendo stato fotografato mentre cadeva sullo stesso metro quadrato di Spagna , non ha lasciato segno di se, né negli archivi militari, né da altra parte, tanto che la sua identità è ancor oggi ufficialmente sconosciuta.

 

Al tema della manipolazione delle immagini Paul Martin Lester
ha dedicato anche un sito intitolato Photojournalism An Ethical Approach.

This work is a digital version of a book originally published by Lawrence Erlbaum Associates, Publishers, Hillsdale, New Jersey, 1991

 

 
Ecco cosa scrive, anche a proposito di certe immagini realizzate da Robert Capa:

CHARGES OF MANIPULATION CLOUD FAMOUS PICTURES

Perhaps most troubling to the reputation of photojournalists and their photographs are reports that well-known and deeply moving pictures have been stage directed by the photographers.
Three famous photographs, Robert Capa's “moment of death of a Republican soldier” during the Spanish Civil War, Arthur Rothstein's skull on parched South Dakota land, and Joe Rosenthal's raising of the American flag over Iwo Jima, have all been reported to be photographic manipulations.
These three images have a cloud of uncertainty that surrounds each photographer's reputation.

Robert Capa's 'Moment of Death'


Published in Life magazine in 1937, Capa's photograph shows in one instant the sudden and lonely death of an anonymous soldier. The picture shocked readers with its sudden impact.
Never before had the public witnessed in such graphic horror a soldier's moment of death.
After an offhandedly made remark by the teasing Capa and weak evidence that the killed soldier appeared alive in subsequent images in Capa's contact sheet, rumors spread that the picture was either a result of Capa simply shooting blindly and capturing the shot by chance or stage managed for the camera (Knightley, 1976). Luck often helps experienced photographers.
Bob Jackson who took the Oswald murder picture and Eddie Adams who captured the Viet Cong soldier's assassination were startled by the sound of a gunshot and pressed their shutter buttons. Photographic reflexes, a result of years of experience, plus a little luck can produce extraordinary photographs. Robert Capa was never the kind of photographer who needed to set up his subjects.
Capa, who's motto was, "If your pictures aren't good, you aren't close enough," would have been dismissed had the moment-of-death photograph been the only picture in his portfolio.
However, Capa produced many war-time photographs throughout his career.
Another famous picture of Capa's is the grainy and blurred image, caused by a lab assistant's high drying temperature, of a soldier crawling in the shallow waters of Normandy during the D-Day invasion.
He photographed in Spain, China, Israel, and finally in Vietnam, where he was killed when he stepped on a land mine (Rothstein, 1986).
Capa consistently produced images with strong emotional impact and high technical expertise.
He was not a photographer who needed to fake a photograph in order to enhance his career.

 


Ecco l'articolo pubblicato da "PHOTO ITALIANA - anno III - n. 30 - ottobre 1977"

 


 

Tra gli articoli pubblicati con l'intento di riabilitare la foto del miliziano segnaliamo "Capa is cleared - A famed photo is proven authentic" firmato Carol Squiers, su "American Photo" maggio/giugno 1998, pagine 19-20, in cui si precisa:
 

<< Le polemiche sulla foto del Miliziano sono finite.
Con intrepida ricerca, l'uomo nella fotografia è stato definitivamente identificato come un volontario dei repubblicani, di  24 anni, chiamato Federico Borrell Garcia.
Sappiamo inoltre che Borrell era l'unico membro della sua milizia a morire il giorno che l'immagine è stata presa. Complessivamente, le rivelazioni hanno convinto il biografo di Capa, Richard Whelan, che la famosa foto è autentica. La prova è spiegata in un videotape e in un comunicato stampa della mostra "Robert Capa: Fotografie", che è esposta all' International Center of Photography di New York, fino al 7 giugno 1998.
Secondo Whelan è stato un giornalista britannico, O'Dowd Gallagher, che ha messo in dubbio la veridicità della fotografia "Il miliziano colpito a morte".
Nel corso degli anni Gallagher ha ripetuto aneddoti differenti presumendo che Capa gli avesse ammesso che la  famosa immagine realmente è stato installato.  Negli anni settanta Gallagher ha detto all'autore Phillip Knightley che un ufficiale repubblicano avrebbe inviato alcune truppe a posare per Capa durante una tregua  nella battaglia, che era fotograficamente improduttiva. Alcuni anni dopo, ha detto al produttore Jorge Lewinski che le truppe di Franco - non repubblicani - avrebbero indossato le uniformi ed inscenato la prova. Inoltre ha sostenuto di aver condiviso una stanza dell'hotel con Capa nella data in cui l'immagine è stata presa in una zona della Spagna lontano dal luogo in cui è stata fatta.
Radunando le nuove informazioni con una propria considerevole ricerca, Whelan ha accertato le circostanze in cui la foto è stata presa. La sua grande occasione è venuta nel 1996 quando si è messo in contatto con la giornalista del "British" Rita Grosvenor, che allora viveva nel sud della Spagna.
Rita Grosvenor gli disse  di aver trovato una memoria virtualmente sconosciuta del conflitto spagnolo, nel libro "Retazos de une epoca de inquietudes" che è stato auto-pubblicato nel villaggio di Alcoy, in Spagna, nel 1995 da un uomo chiamato Mario Brotons Jordà.
Nel libro, Brotons racconta la storia del proprio lavoro di detective con cui ha cercato di dipanare la verità circa "il soldato che cade". Brotons ha scoperto che l'uomo nella fotografia è Federico Borrell Garcia. >>

Whelan ammette che la pratica delle foto messe in posa non era sconosciuta durante la guerra spagnola.

Ma la maggior parte delle prove indicherebbero che le immagini simulate siano state fatte dal lato dei  Franchisti e non da quello dei Repubblicani.
Whelan precisa infine che un ebreo antifascista come Capa non avrebbe collaborato mai con le truppe dei Franchisti per simulare un'immagine.
Anche per questo motivo le asserzioni di falsità sulla foto di Capa, sarebbero sempre state messe in dubbio.

Ecco cosa ha scritto Mario Brotons nel suo libro

 

 


Cliccare sulle pagine per ingrandirle

 


La traduzione che segue contempla solo la parte di testo riferita al Miliziano

"Federico Antonio Borrell Garcia"

Translation  © text by Patricio Hidalgo, Cordoba 2003.

 


L
a fotografia della guerra civile spagnola mondialmente più diffusa.

 La morte d’un alcoyano
 

 Didascalia della foto "Il miliziano che cade": Fù una guerra senza quartiere per ferirci tutti l’anima in una lotta per mai più.

 
CONSTATAZIONE

PRIMO: circa quattro anni fà l’amico Ricard Bañó, questo giovane storico alcoyano, mi ha insinuato la possibilità che questa fotografia, diffusa in tutto il mondo, fosse stata scattata a Cerro Muriano il 5 Settembre di 1.936. Questo già mi era noto, ma per la mia stupidaggine non vi ho fatto la necessari attenzione.
Forse Sigmund Freud potrebbe rispondere con la sua teoria della “associazione d’idee” sul perchè non mi sono occupato prima di questa probabilità e l’ho fatto dopo. Grazie alle indicazione di Ricard sono riuscito a stimolare la memoria, i ricordi, ed a ritrovare immagini ben registrate, ma allora dovevo strapparle al mio incoscio.

SECONDO: se facciamo attenzione comprovaremo che la cinghia e le giberne sono quelle che usavano i soldati del Regimiento di Alcoy. La cinghia attraversava le spalle, ed agganciava una cintura che fissava tre giberne, ciascuna con dieci clip di cinque cartuccie, che era l’equipaggiamento individuale per il combattimento.
Secondo la foto era un miliciano e doveva essere uno alcoyano. Il 5 Settembre di 1.936 in Cerro Muriano c’erano 30 guardias civiles, il Regimiento di Artiglieria nº 6 di Murcia con una batteria di cannoni e due compagnie del Regimiento di Alcoy, tutti in uniforme. Senza uniforme c’erano 30 minatori di Linares che facevano gli
artificieri, il cui armamento ed equipaggiamento erano cartuccie di dinamite agganciate alla cintura o in un sacco. Tutte le forze restanti erano le milizie di Alcoy.
In più, il morto impugna un moschetto per la sua lunghezza, e doveva essere un miliziano alcoyano perchè non vi è stato un altro che sia morto in forma fulminante., come possiamo vedere bene nella fotografia.

TERZO: senza dubbio la vittima è un miliziano perchè è vestito da civile, ed in Cerro Muriano non c’erano miliziani che non fossero alcoyanos.
E’ per questo che ci riaffermiamo la prima idea: era certamente un alcoyano e in poche occasioni si muore in questa maniera. Il corpo umano ha soltanto due luoghi dove le ferite di pallottola siano mortale, il cuore e la testa. Qui, il miliziano muore in forma fulminante come dicono in forma unanime i testimoni che ci hanno aiutato nella nostra ricerca. Questo era un altro elemento che mi stimolava a continuare comparando indagini e ricordi.

QUARTO: ho ricordato che io avevo letto trenta anni fà un libro de Franz Borkenau sulla nostra guerra civile, The Spanish Cockpit.
L’autore era arrivato in Spagna come giornalista con altre due croniste ed anche due fotografi: John Comford del Paris Fleche e Robert Capa della rivista illustrata "Vu". Dopo loro hanno pubblicato le sue cronache nella Università di Michigan (USA) in 1.937.
La stessa Università l’ha pubblicato di nuovo in 1.963, e questa è la edizione che io ho.
Il gruppo di Borkenau erano cinque persone facenti reportages in tutta la Spagna, anche Cerro Muriano che è nelle pagine 158-165 del libro.
Quel giorno Borkenau è stato sul punto di essere catturato dal nemico, e si è salvato dall'essere prigionero grazie apenurie e rischi dei suoi compagni. Il fotografo era abbastanza prossimo alla scena ed era anche arrivato in quel luogo lo stesso giorno, come il morto, che é arrivato quel mattino con cinquanta alcoyanos inviati per riaffermare la prima linea. I giornalisti venivano da Montoro, dove era lo Stato Maggiore che gli ha permesso di visitare il fronte, e si sono trovati con la inaspettata offensiva del Generale Varela su Cerro Muriano. La fotografia, in molte punti, concorda con il profilo di una gola bassa del Monte de las Malagueñas. La fotografia non ci mostra un tipo obeso ne astemico. Ratifica totalmente la costituzione física della persona che credevamo, di età media e poco alta. Comparate le faccie tra questa foto ed una altra, ed eliminato il rictus di amara contrazione che è nel suo nastro al morire, sono abbastanza coincidenti,

QUINTO: continuando il puzzle ci mancava un’ indagine importante, conoscere il registro dei morti sul campo di battaglia di quel giorno, in Cerro Muriano. Allora ci è arrivata la prova più definitiva: negli archivi di Salamanca e di Madrid  è registrato soltanto un morto, e con il nome conosciuto da tutti noi di Federico Borrell García, il “Taíno” per i suoi amici.
Niente restava da cercare, non c’erano altri morti che potessero provocare confusione; in più, sappiamo dai testimoni della sua morte che questa è stata fulminante. Dietro le traccie difficili da ricostruire nel tempo, crediamo di avere finito un lavoro dai risultati gratificanti.

SESTO: di quel grupo di Franz Borkenau con i suoi aiutanti cronisti sarebbe Robert Capa chi ha rivendicato di essere l’autore della fotografia, subito diffusa nel mondo...Il futuro guarderà questa immagine in forma neutra, senza domandarsi a quele Esercito apparteneva........la morte di “Taíno” brillerà con la siluette tragica della sua morte “a las cinco de la tarde” (le 17.00 ore), la cabalistica ora di Lorca.

 

Un lavoro di ricerca, per poter essere considerato "dai risultati gratificanti" dovrebbe quanto meno reggere all'onere della prova

Il Direttore dell'Archivio Generale della Guerra di Spagna a Salamanca afferma che nell'archivio non c'è alcun Federico Antonio Borrell Garcia.

Pare quindi che Richard Whelan, biografo ufficiale di Capa, si sia lasciato convincere da "scoperte" non supportate da prove documentali.

Noi, invece, esibiamo una pubblica smentita alla scoperta.

 

 
FEDERICO, EL MILICIANO ANÓNIMO

di Rodrigo Perez

.- Federico llevaba bordadas en su gorra las siglas de la CNT. En su pueblo, Alcoy, había fundado la sección local de las Juventudes Libertarias. 

Poco podía imaginar Federico que el instante de su muerte iba a pasar a la posteridad y que iba a ser, para el mundo, la imagen del drama que en esos momentos vivía España. Federico murió el 5 de septiembre de 1936 en Cerro Murriano, Córdoba, cuando tenía 24 años.

Fue en el frente de Córdoba donde Robert Capa realizó, posiblemente, la fotografía de guerra más famosa de todos los tiempos, "Muerte de un miliciano". Hasta entonces no se había visto nada igual: la plasmación en papel de la transición de la vida a la muerte.

La foto fue publicada en la revista francesa "Vu" el 23 de Septiembre de 1936. Durante mucho tiempo se especuló con el lugar en que fue tomada y con que la foto pudiera ser un montaje.

Se sabía, desde luego, que Capa y su novia, la también periodista Grenda Taro (muerta atropellada por un tanque en Brunete, en 1937) estuvieron ese día haciendo fotos por la zona de Cerro Murriano.

Pero lo que sin duda ha despejado todas las dudas ha sido la identificación, no hace mucho, del miliciano protagonista.

La investigación la llevó a cabo Mario Brotóns Jordá. Brotóns se unió a la milicia republicana -aún no se había creado el Ejército Popular- en Alicante, con 14 años, y estuvo en Cerro Murriano el 5 de Septiembre de 1936. Él sabía que el hombre de la fotografía debía haber pertenecido a la milicia de Alcoy porque las cartucheras que llevaba eran como las que había diseñado el comandante de la guarnición de Alcoy y fabricadas por los artesanos del cuero de la zona. Descubrió entonces, en los archivos, que sólo había habido una baja en la milicia de Alcoy, ese día, en el sector de Cerro Murriano: Federico Borrell García.

En Alcoy localizó a Evaristo, hermano menor de Federico, que también estuvo en Cerro Murriano ese fatídico día. Evaristo confirmó las circunstancias de la muerte de su hermano, y que el hombre de la foto era él. Identificación que se confirmó una vez examinadas las fotos del álbum familiar...
 

 

Altre pubblicazioni sulla veridicità del miliziano sono
 "Robert Capa's Falling Soldier" su Aperture  166di Whelan, estate 2002, ed il più recente libro "Robert Capa",  pubblicato da Alex Kershaw per i tipi della Rizzoli, che presenta una storia romanzata e ben documentata sulla vita di Robert Capa, che viene suddivisa in 23 capitoli monografici.

A proposito dei 2 miliziani Alex Kershaw pone alcuni interrogativi; all'interno del testo è presente una ricerca della studiosa inglese Caroline Brothers che afferma:
<<La fama di questa fotografia è indice di un'immaginazione collettiva che voleva, e ancora vuole, credere in determinate cose circa la natura della morte in guerra. Ciò che questa immagine rivela è che la morte il guerra era eroica, tragica, e che l'individuo contava, e la sua morte significava qualcosa.
Ci si può ben chiedere se vi sia una qualche verità in "Il miliziano colpito a morte", al di là della sua rappresentazione di una morte simbolica.
Capa non era un reporter imparziale.
Ignorava le atrocità commesse dai repubblicani, e presto avrebbe fatto inscenare almeno un attacco da documentare fotograficamente, allo scopo di accendere gli animi in favore della causa comunista in Spagna.
Alla fine, "Il miliziano colpito a morte", autentica o falsa che sia, è una testimonianza dei pregiudizi e dell'idealismo di Capa, messi certamente alla prova nelle successive battaglie della guerra appassionata.
Infatti, lui stesso avrebbe ben presto sperimentato la brutale follia e la morte delle illusioni che qualsiasi testimonianza davvero prossima all'avventura della guerra, inevitabilmente comporta.>>   

 

Robert Capa: A Biography

Richard Whelan

Published by Knopf Alfred A

Format: Paperback

ISBN: 0803297602

Pub. Date: June 1994

Price: US$ 12.00

 

In questa biografia  Richard Whelan afferma che :

< < Lately, the CAPA reputation has been redeemed from most serious of the accusations turned to its authenticity  on purpose of an episode that for he it counted very many.  A old Britannic [the journalist O'Dowd Gallagher], whose memory was not more reliable, had supported that CAPA she had taken the famous photo of the Spanish soldier during a practice and not in the course of a true and own battle.  But CAPA that day far away found from where it supported the journalist and one historical Spanish  is be a matter of  Mario Brotons Jordà confirmed  that the man who appears in the photo-identified one is from he that from the relatives like Federico Borrell Garcìa - it had been hit until one dies exactly in the moment and the place where CAPA he asserted to have taken the photo, that is near Cerro Muriano, a village some kilometres to north of Còrdoba, the 5 September 1936 > >. 

Il testo con cui Richard Whelan tenta di provare definitivamente l'autenticità della foto del miliziano, è stato pubblicato nell'estate 2002 sulla rivista "APERTURE".

Abbiamo  ripreso integralmente il testo, allo scopo di offrire al lettore la possibilità di valutare quelle che sono le argomentazioni più importanti in favore dell'autenticità della foto del miliziano.

In data 8 luglio  2003 l'Archivio ufficiale di Robert Capa ha inviato all'agenzia ANSA un testo di Richard Whelan, con cui viene denunciata l'assoluta irrilevanza dei nuovi dati esposti in questa nostra ricerca, che viene interpretata, a quanto capisco,  come lesiva della dignità professionale di Robert Capa. Ho pubblicato integralmente anche questo nuovo documento in PDF per dar modo al lettore di comprendere quanto ardua e tortuosa possa essere la ricerca di una qualsiasi verità storica. 

Invitiamo il lettore ad analizzare le diverse "versioni dei fatti" prodotte da  R. Whelan nel corso degli anni,

valutandole alla luce del progressivo ripiegamento rispetto alle precedenti posizioni sui punti più controversi.


Questa ricerca NON è volta ad intaccare la fama di Robert Capa che resta uno dei  migliori fotografi di guerra al mondo.

Il nostro intento è quello di analizzare la foto del miliziano, divenuta un simbolo collettivo, raccogliendo tutte le fonti utili per capire cosa in effetti rappresenti 

La nostra ricerca NON vuole screditare Robert Capa come fotografo di fama internazionale, ma vuole avvicinarsi il più possibile ad una verità storica dei fatti che, come nel caso della foto del bacio di Robert Doisneau, potrebbe risultare diversa da quella che appare.

Alla luce dei nuovi elementi forniti da Richard Whelan, nel testo integrale  prodotto in PDF , riteniamo possa essere verosimile la versione dei fatti secondo cui il Miliziano sia effettivamente morto su un fronte di guerra, ma non nel corso di una battaglia, bensì durante un momento di non belligeranza  bruscamente interrotto da una raffica di mitraglia.

Tuttavia, per mancanza di elementi probatori "certi" ed inconfutabili, non siamo ancora in grado di stabilire una verità definitiva che possa porre fine al proliferare di versioni controverse su quanto sia realmente accaduto al fotografo ed ai miliziani che questi ha fotografato.

 

Invitiamo il lettore a visitare anche il sito: http://www.pbs.org/wnet/americanmasters/database/capa_r.html

 

 

Il critico Furio Colombo (giornalista, scrittore ed oggi Senatore della Repubblica Italiana), nel catalogo che ha accompagnato la mostra "Spagna 1936-1939 Fotografia e informazione di guerra" allestita presso la Biennale di Venezia nel 1976, parla a lungo del reportage visivo americano alludendo ad un "lieve, continuo effetto di pressione sul reale, che lo spinge a farsi inquadratura, che spinge la gente a scegliere le facce adatte per essere fotografate, che spinge i gesti a essere spettacolari".

Colombo, prende atto del fatto che proprio con i servizi fotografici realizzati durante la guerra di Spagna sarebbe cominciata quella "sceneggiatura delle tragedie del mondo" che ha spinto la realtà verso lo spettacolo e descrive Robert Capa come "personaggio-autore che funziona come regista e stabilisce le regole del grande servizio di guerra basate sulla partecipazione".

 

 

"Fotógrafo de guerra. España 1936-1939"
Manuel Fernández Cuesta, Lolo Rico

http://www.pce.es/laestanteria/
 


ISBN: 84-89753-41-5 ©  Argitaletxe Hiru, S.L. 05/2000

 

<< Con la guerra civil nace un nuevo estilo de comunica­ción visual de los sucesos, marcado por el compromiso de los fotógrafos y las nuevas posibilidades de la técnica fotográfica. Las fotografías de los conflictos anteriores eran sólo tangencialmente ilustrativas, y no sólo por las limita­ciones mecánicas que debían superar los reporteros, sino porque faltaba en ellos ese sentimiento de solidaridad, de identificación, de pasión -y también de compasión- que co­mienza a darse de un modo determinante en la guerra civil. Refiriéndose a los fotógrafos que estuvieron con la España republicana, alguien ha dicho que formaron una auténtica "Brigada Internacional".

Sin entrar aquí a desvelar en detalle las oportunas refe­rencias técnicas, las fotografías que componen este volu­men tienen como trasfondo la Guerra de España (1.936/1.939) proceden de los fondos del Archivo Históri­co del Partido Comunista de España (PCE). Su autor o auto­res son, al menos circunstancialmente, desconocidos. Por tanto, bien se podria decir que la colección dispuesta en esta obra, ha sido alentada por una mano anónima y surgi­da como tal desde el fondo de la Historia, desde el fondo del sentimiento colectivo de un pueblo.

"If your pictures aren't good enough, you aren't close enough" ("si vuestras fotos no son bastante buenas, es que no estáis bastante cerca"): esta frase de Capa se ha citado con frecuencia, y define bien una forma de encarar la vida. Para toda una generación de fotógrafos, "estar cerca" fue un criterio estético convertido en principio ético: no limi­tarse al papel de mirón. Con este criterio, Capa, Taro, Sey­mour, Reisner, Namuth, Makaseev, Centelles, los hermanos "Mayo", Torrents, y tantos otros, hicieron una regla de vida y, en no pocos casos, la razón de su muerte.

Estas viejas imágenes que ahora se exponen ante el ojo рúЫiсo vienen a revelarnos, de nuevo, el mitico espíritu - sin fronteras- de los fotógrafos que capturaron, para noso­tros y para siempre, aquellos decisivos instantes. Ignorar sus nombres en este momento quizá no sea tan grave, a fin de cuentas todos ellos hace tiempo que forman parte de nuestra más allegada iconografía sentimental. >>
 

 

 
Il 22 novembre 2002 il "Corriere della Sera",
per voce del proprio direttore editoriale Paolo Mieli ribadisce che:

 “molte foto considerate d'importanza storica furono truccate...
Ad esempio quella celeberrima di Robert Capa che immortalò un miliziano spagnolo, con in mano un fucile, colpito a morte nel '36 nei pressi di Cerro Muriano.

La rivista che la pubblicò,<<VU>>, ne produsse, a fianco, una seconda (dello stesso fotografo) che ritraeva un altro combattente fedele alla Repubblica anche lui caduto sotto il fuoco franchista.
Sennonché anni dopo si scoprì che, a dar retta alle foto, i due sarebbero stati uccisi nello stesso identico punto: persino i fili d'erba coincidevano.
Peccato che in nessuna delle due comparisse il cadavere che era stato ammazzato per primo...
talché oggi tutti propendono a considerare <<costruita>> quella scena.

Un falso insomma. ”.

 

 
 
CORRIERE DELLA SERA
 
domenica, 16 maggio, 2004
 
INFORMAZIONE
 
Pag. 001.016
 
Il virus delle foto truccate
 
IERI E OGGI
 
Grasso Aldo
 
Le foto false dei soldati inglesi intenti a torturare un prigioniero iracheno sono costate le dimissioni del direttore del tabloid Daily Mirror. Sembrava un caso isolato e invece anche Marty Baron, direttore del quotidiano americano Boston Globe, è stato costretto a scusarsi con i lettori per una foto che raffigurava violenze ai prigionieri: ma non erano militari Usa i torturatori, bensì attori porno ungheresi. I siti web sono pieni di foto false spacciate come autentiche; anzi oggi non si sente neanche più il bisogno di questa elementare distinzione. In guerra, del resto, si è sempre detto il falso. Ad esempio, il conflitto nella ex Jugoslavia visto in tv è stata sin dall' inizio un «film vero» scandito però da falsi clamorosi: da quelli diffusi dagli sloveni sul «bombardamento» di Lubiana a quelli della radio croata sull' impiego serbo di armi chimiche, ai cumuli di morti musulmani presentati come vittime serbe da Milosevic, grande stratega della disinformazione. Mentre il conflitto in Iraq incrudelisce ogni azione, la guerra virtuale si fa angosciosamente reale. E' sempre stato così: gli storici ci dicono oggi che la celebre foto che ritrae Garibaldi mentre entra a Roma non è vera e non è vera l' altrettanto celebre fucilazione degli ostaggi nella Comune di Parigi. Le foto ufficiali dell' Unione Sovietica sono un continuo entrare e uscire di personaggi. Milan Kundera, in apertura del Libro del riso e dell' oblio, racconta in maniera splendida come in Cecoslovacchia i dirigenti comunisti caduti in disgrazia scompaiano dalle foto ufficiali e vengano in questo modo cancellati dalla storia.
Ci sono persino dubbi sull' autenticità della foto di Joe Rosenthal sui marines che innalzano la bandiera a Iwojima
e del miliziano di Robert Capa: foto «vere» ma con l' aiuto di una piccola messinscena.
Ecco, i giorni nostri segnano il passaggio dalla foto ritoccata alla foto taroccata ed è un passaggio non da poco.
E' come se la tonalità della tv di tutti i giorni, quella tv che da tempo vive sulla cancellazione deliberata del confine tra vero e falso, si fosse trasferita nello scenario drammatico della guerra. Dove, da parte dei media, sarebbero richieste più attenzione, più serietà, più dirittura morale. E invece niente. Ci sono generi che hanno codificato il «falso», distinguendo la verità «vera» dalla verità «televisiva». E' come se vivessimo perennemente in questo clima di disinvolta impostura, come fossimo contaminati da un virus. Fuggiamo l' orrore vero (le decapitazioni, gli sgozzamenti intravisti ieri sera a Terra! del Tg5) e gli preferiamo l' orrore costruito, falso, taroccato. Così è più accettabile, meno spaventoso. Alcuni studiosi danno la colpa «tecnica» a Internet, all' impossibilità del controllo delle fonti, alla facilità con cui l' elettronica riesce a manipolare l' immagine. Altri, invece, pensano che, da quando il mondo del giornalismo si è messo a flirtare con quello dello spettacolo, si va verso una totale indistinzione: col rischio che l' idea di realtà che ci facciamo coincida con l' idea stessa che i media amano farsi della realtà. Su questo non indifferente cambiamento di prospettiva l' Occidente dovrebbe cominciare a riflettere.
 
Aldo Grasso
 

 

Paolo Mieli nell'articolo invita a leggere il saggio di Peter Burke:
"Testimoni oculari: il significato storico delle immagini"

Editore: Carocci, Roma 2002

Prezzo di vendita: € 20,00

Nel saggio si legge che nelle foto della guerra civile in America, molti dei morti sono in realtà soldati costretti a posare in favore del fotografo, e che
"Le fotografie non sono mai prove storiche, sono materiale storico esse stesse".

 

 

 

 

 

 

 

This book contains a 175 pages of war, or war related taken by the best war photographer of all time. 

This book is printed in 1964

All photos are B&W.

 

 

 

Nonostante tutto la foto del miliziano rimane nel mito e viene venduta,
in comune "
Modern Silver Gelatin Print - Stampa alla gelatina d'argento",
nel formato 16x20 cm,
al prezzo di $ 2,000.00 (2000 dollari americani).
 

Le stampe, però, NON derivano da negativi originali,
ma solo da "copy-negative".

Richard Whelan, biografo di Robert Capa e curatore del suo archivio presso l'I.C.P. di New York, dichiara che:

"All modern prints of The Falling Soldier have been made from a copy negative of the vintage print in the collection of the Museum of Modern Art, in New York. That was the only vintage print of that image known until a second surfaced in Spain during the 1980s. That second print is now in the Spanish government’s Civil War Archive in Salamanca (below)."

FORSE E' ANCHE PER QUESTO CHE NON SI VUOLE SVELARE TUTTA LA VERITA'...

 

 


 

http://www.slightly-out-of-focus.com/

Titolo: Leggermente fuori fuoco - Robert Capa

Editore: Contrasto due srl, Roma 2002

Formato:16,5x20.

304 pagine con  80 fotografie

Stampa in bicromia. Brossura

ISBN: 88-86982-34-8

Prezzo di vendita: € 30,00 (acquista on line)

 

Il catalogo presenta testo e foto di Robert Capa, con introduzione di Richard Whelan, premessa di Cornell Capa e Traduzione (con due note al testo) di Piero Berengo Gardin.

Richard Whelan, biografo ufficiale di Robert Capa , propone un testo di introduzione datato Brooklyn, New York, aprile 1999.

Richard Whelan, tra le altre cose, afferma (cit. pag. 14) quanto segue:

<<Capa era un affabulatore nato e poche cose gli davano piacere come l'allietare amici o perfetti estranei con esilaranti resoconti delle sue avventure picaresche.
Quando era importante raccontare la verità parola per parola, lo faceva.
Ma quando nessuno - che non fosse un noioso pedante - insisteva per avere la verità pura, Capa non vedeva assolutamente ragioni per astenersi dal ricamare un po', magari per migliorare una storia già buona rendendola più divertente, il più delle volte a sue spese.

Ultimamente, la reputazione di Capa è stata riscattata dalla più grave delle accuse rivolte alla sua veridicità a proposito di un episodio che per lui contava moltissimo.
Un anziano giornalista britannico [trattasi di O'Dowd Gallagher], la cui memoria non era più affidabile, aveva sostenuto che Capa avesse scattato la famosa foto del miliziano spagnolo durante un'esercitazione e non nel corso di una battaglia vera e propria.
Ma Capa quel giorno si trovava lontano da dove sosteneva il giornalista e uno storico spagnolo  [trattasi di Mario Brotons Jordà] ha confermato che l'uomo che appare nella foto - identificato sia da lui che dai familiari come Federico Borrell Garcìa - era stato colpito a morte esattamente nel momento e nel luogo dove Capa affermava di aver scattato la foto, cioè nei pressi di Cerro Muriano, un villaggio qualche chilometro a nord di Còrdoba, il 5 settembre 1936
>>.

Sempre Richard Whelan, in un testo del 1996 pubblicato da Alinari nel catalogo alla mostra "ROBERT CAPA/FOTOGRAFIE", raccontava che:

<< Insistendo sulla sensibilità e sui particolari dei volti e dei gesti dei soggetti fotografati, Capa riusciva a coinvolgere il lettore al punto di farlo sentire presente sullo scenario di guerra. Probabilmente è stata questa capacità di cogliere l'attimo che ha convinto molte persone, avulse da qualunque ideologia, a contribuire alla causa o a partecipare alle manifestazioni politiche.>>

Basti pensare che negli anni 1935-1936 il "Front Populaire" e tutti i giovani si sentivano ideologicamente vicini al Governo Repubblicano eletto in Spagna.

Come ricorda Anna Winand in "Robert Capa", nella collana "I grandi Fotografi", ed. Fabbri, 1983 :

<<Gerda e André si sentivano dalla parte di chi combatteva il nazismo e il fascismo personificati dal Generale Franco.
C'era però un problema: André, avendo passaporto ungherese, non poteva entrare in Spagna. Fu così che adottò lo pseudonimo di Robert Capa.
Il Direttore di "Regards", un settimanale di sinistra, fece dunque richiesta al governo spagnolo affinché accreditasse il suo corrispondente Robert Capa.
Anche Gerda cambiò nome, adottando quello di un'artista giapponese che viveva a Parigi: Gerda Taro. Robert Capa e Gerda Taro partirono per la Spagna.>>

Richard Whelan parla poi della foto del "Miliziano".

<<Una delle fotografie più celebri di Capa mostra un miliziano appena colpito da una pallottola. Quando venne pubblicata per la prima volta nel settembre del 1936, nessuno aveva mai visto una foto del genere. I fotocronisti di guerra che lo avevano preceduto avevano realizzato quasi sempre delle foto statiche, tenendosi a distanza.
Fino alla Prima Guerra Mondiale la macchina fotografica standard era stata la Graflex di formato medio con soffietto estensibile ed utilizzava lastre da quattro pollici per cinque.
La piccola Leica da 35 mm di Capa era leggerissima ed estremamente maneggevole.
Con la sua macchina fotografica egli si gettò nella mischia della guerra come nessuno mai prima di lui.
>>

Vale la pena ricordare che in Spagna, Robert Capa, ebbe il suo primo confronto con ciò che la guerra realmente significava.

A dimostrazione del fatto che la messa in scena di una battaglia, in favore di camera, era cosa usuale a fini propagandistici, basta menzionare il fatto che la rivista "VU", oltre a pubblicare su una stessa pagina le foto di due miliziani caduti sullo stesso fazzoletto di terra, il 23 settembre 1936, ha divulgato pure foto di giornalisti e fotografi che assistono da una terrazza della periferia ad un bombardamento di Madrid, seduti su sedie di legno, il18 novembre 1936.

 

Il Primo Ministro inglese Winston Churchill una volta ha detto:

"In tempo di guerra la verità è così preziosa che sempre bisogna proteggerla con una cortina di bugie".

 

 

Robert Capa ha pubblicato insieme con Gerda Taro, il libro "Death in the Making".

 <<  Death in the making / by Robert Capa 1938; photographs by Robert Capa and Gerda Taro ; captions by Robert Caoa ;
      translated by Jay Allen ; preface, by Jay Allen ; arrangement by Andrë Kertesz. Imprint: New York, Convici-Friede
>>

Capa ha raccontato e giudicato la vita e l'ideologia dei miliziani repubblicani.

Capa ha citato con precisione perfino i discorsi di un commissario al battaglione.

Capa racconta gli umori e i movimenti dei miliziani con cui vive e combatte.

Perché Capa non ha annotato i nomi di quei miliziani che ammirava e biasimava ?

Leggiamo questo testo di Robert Capa
tratto da "Immagini di Guerra-Robert Capa" di Cornell Capa, Milano 1965, pagg. 20-33.

<< A volte il tiro d'artiglieria langue. Il nemico sta con l'arma al piede.
In tali mattine i difensori di Madrid si scaldano al sole, giocano a dama, scrivono a casa lettere che, all'arrivo,
non garantiscono che il mittente sia ancora vivo.
La guerra e' divenuta una "routine"; l'abnorme e' divenuto, come sempre, la norma.
Lo stato d'animo dei soldati in queste trincee e' diverso che su fronti lontani.
Le trincee sono avamposti delle loro case; la loro casa e' qui.
E' un esercito di ragazzi, questo nuovo esercito. Si arruolano volontari.
La causa per la quale combattono è chiara. Difendono le loro case, i loro campi, la loro stessa vita, contro un generale che, finché vivranno, non governerà. Son cresciuti insieme, nei villaggi.
Hanno lavorato nelle officine, l'uno affianco all'altro.
Adesso combattono l'uno a fianco dell'altro per tenersi ciò che si sono guadagnati.
L'attacco è imminente... la divisione ha per motto "senza risparmio!".
Bastano pochi minuti agli ufficiali per dare le ultime disposizioni e resta ancora tempo al commissario per un rapido discorso al battaglione. Dice parole ardenti, ma con voce ferma e calma. Il suo "venga, venga " (avanti) rimarrà nell'orecchio di ognuno, qualsiasi cosa accada. Adesso gli uomini avanzano in fila per uno.
Si spingono quasi a semicerchio intorno alle alture. Sin qui le pieghe del terreno nascondono la loro marcia.
Attorno a loro stanno, in attesa, reparti tenuti in riserva. Dopo una curva comincia la salita.
Il nemico è più su, sopra le teste degli attaccanti, L'aria si riempie del rumore dei suoi proiettili.
E' il momento critico. Uomini si staccano, portandosi avanti a balzi e piegati in due. Il movimento acquista velocità; gli uomini che vengono dietro debbono mettersi di corsa per non perdere il contatto con i primi.
Niente più trinceramenti, in questo genere di guerra: solo alcuni punti un poco riparati, disseminati a scacchiera.
Ad uno ad uno, gli uomini corrono verso la successiva postazione, per sparare.
Il nemico concentra il tiro dei cannoni sulla cima delle alture. Venti granate al minuto.
I  "Marineros" si gettano nelle buche del terreno, nelle rientranze delle rupi.
Pur sotto il fuoco dell'artiglieria non tralasciano di raccogliere i feriti.
Molti hanno bisogno di assistenza medica, ivi compreso qualche ferito nemico.
Al termine della giornata di battaglia, l'artiglieria ancora non rallenta il tiro.
Non fa niente, gli uomini si mettono lo stesso a mangiare.
Arrivano le prime notizie: sono state occupate quattro linee, a quote diverse;
tutti gli obiettivi della giornata sono stati raggiunti; la testa di ponte è bloccata.
Il prossimo compito sarà ancora più difficile: mantenere le nuove posizioni.>>

POSSIBILE CHE UN TIPO TANTO PRECISO NON ABBIA I NOMI DEI MILIZIANI DI CUI PARLA ? 

Perché ha ricordato minuziosamente solo gli avvenimenti prima e dopo la foto ?

Capa è morto il 25 maggio 1954 a Thai-Binh, Indocina.

Perché dal 1936 al 1954, Capa non ha chiarito la storia del miliziano colpito a morte ?   

Perché... se non aveva nulla da nascondere ?

 

_____________________________________________________

 

L'articolo del  "The Observer" (1 settembre 1996), ripreso da "Le Monde" il 6 settembre 1996, pare fare luce su un altro aspetto inquietante della vicenda. 

Negli archivi militari di Madrid e di Salamanca, lo storico e veterano di guerra Mario Brotons Jordà avrebbe  trovato registrato un solo decesso sul fronte di Cerro Muriano, in data 5 Settembre 1936.
Il nome del morto ritrovato sarebbe Federico Borrell Garcìa (24 anni), Repubblicano volontario di Alcoy.

 

Un film mai nato, per colpa di Robert Capa: le polemiche sull'autenticità della foto "Il miliziano che cade" hano bloccato un film con "Il Galata moriente"

  
 

Ecco come Mario Brotons Jordà fece la sua scoperta

Lo storico Mario Brotons Jordà, originario di Alcoy, all'età di 14 anni aveva combattuto come repubblicano sul fronte di Cerro Muriano, contro le truppe franchiste del Generale Varela.
Mario Brotons aveva iniziato la sua ricerca sulla fotografia de "Il miliziano" di Capa dopo che un amico aveva letto (forse nella biografia di Whelan, 1985) che la foto poteva essere stata ripresa a Cerro Muriano il 5 settembre 1936, il giorno dell'offensiva del Generale Varela.
Brotons era stato presente a quella battaglia.
Aveva riconosciuto le giberne distintive che l'uomo indossava perché erano state disegnate dal comandante della guarnigione di Alcoy e realizzate in cuoio da un artigiano locale.
L'equipaggiamento era quello caratteristico dei 300 civili di Alcoy inviati su quel fronte.
Mario Brotons si accorse anche che il soggetto era venuto dalla sua stessa città (Alcoy).
Ha quindi effettuato ricerche  negli archivi spagnoli del governo di allora, riportando l'informazione per cui soltanto un membro della milizia di Alcoy era stato ucciso a Cerro Muriano quel giorno: Federico Borrell Garcia.
Brotons ha preso una copia dell'immagine famosa e l'ha mostrata al fratello di Federico, Everisto, il quale ha confermato quanto era descritto nelle didascalie abbinate all'immagine, ed ha ribadito che  l'uomo nella foto era il suo fratello: Federico Antonio Borrell Garcia membro fondatore del movimento anarchico sindacalista, la "Juventudes Libertarias".
Mario Brotons, prima di morire, ha lasciato per iscritto la sua versione dei fatti.
La storia è stata pubblicata da Rita Grosvenor e Arnold Kemp sul  "The Observer" di Londra il 1° settembre 1996, nel sessantesimo anniversario della ripresa di quella foto.
La notizia è stata poi faxata a Whelan che ritenne di aver trovato "l'anello di verità" che dava un senso a tutto.

 

La guerra civil en Cordoba, 1936-1939

Autore: Francisco Moreno Gomez
prologo: Manuel Tunon de Lara
2 ed. / aumentada y corregida en el Apendice n. 6
Editore: Editorial Alpuerto s.a. -  Madrid 1986
768 pagine con illustrazioni
ISBN:  8438100910

Istituto naz.le per la storia del movimento di liberazione in Italia
Serie e inventario: 27422
Collocazione: COR V.A.389

 Mario Brotons, nel corso delle ricerche ha contattato Francisco
 Moreno Gomez, autore di questo importante libro, nel quale spiega
 tutti gli avvenimenti bellici che hanno interessato Cordoba.  

 Vedere pagina sulla battaglia di  "Cerro Muriano".

 

Come evidenziato questa seconda edizione del libro presenta correzioni ed integrazioni alla prima edizione.

La "Appendice n. 6" è costituita dalle pagine 752 - 760 del libro.  

 Ecco due annotazioni riportate da Francisco Moreno Gomez nelle pagine 754-757 del  libro:

 


cliccare sulla pagina per ingrandirla

 

 

E' evidente che i dati riferiti a "Federico Borrell" sono tratti da una testimonianza avuta da Mario Brotons.

Sorgono dunque spontanei, almeno, tre interrogativi:

Perché F. M. Gomez non si è assunto in prima persona la responsabilità delle affermazioni pubblicate ?

Perché F. M. Gomez ha sentito la necessità di scrivere che "secondo Brotons...", o "Mario Brotons dice..." ?

Come fa  R.Whelan ad affermare che "Brotons was informed – evidently by Francisco Moreno Gómez" ?

 

 

Un'approfondita  e successiva ricerca negli archivi militari di Salamanca e di Avila, non ha supportato la scoperta fatta da Mario Brotons e riferita dal Gomez.

 

Abbiamo scritto al Direttore dell'Archivo General de la Guerra Civil Española, con sede  a Salamanca, per avere conferma dell'esistenza di un incartamento a nome "Federico Borrell Garcia" nell'archivio, come sostenuto dallo storico Mario Brotons Jordà.

Il Direttore Miguel Ángel Jaramillo Guerreira ci ha risposto subito, dichiarando ufficialmente che non risulta schedata la morte di Federico Borrell Garcia negli archivi, e la stessa cosa afferma Manuel Melgar, curatore degli archivi di Avila.

Lo stesso Direttore si è dichiarato sorpreso di vedere che la divulgazione di un dato tanto rilevante non sia stata supportata da una copia del documento o dal numero di riferimento con cui il medesimo sarebbe stato registrato nell'archivio in cui è stato trovato.

Abbiamo quindi inviato una lettera al Direttore dell'Archivo General de la Guerra Civil Española

 e...

questa è la risposta ufficiale che ci è pervenuta, datata il 3 gennaio 2003

 

 

"TRADUZIONE INFORMALE"

Per trovare la documentazione relativa a Federico Borrell Garcia, nome che non si trova attualmente registrato in questo centro, si dovrebbero rovistare almeno tutti i catalogatori e le immagini dei miliziani che possono esistere in questo archivio . Lo stesso per gli elenchi dei possibili miliziani.
Tutto questo tenendo conto che non sarebbe una garanzia che permetterebbe di affermare l'una o l'altra cosa perché lo sviluppo della guerra non ha permesso di conservare tutta la documentazione e ancora meno quelle delle unità irregolari che sono esistite nel primo mese.

Se si trova la persona con un espediente, il più probabile è quello di cercare il nome della unità a cui apparteneva.

Se localizziamo l'unità sarà più facile seguire le ricerche e arrivare a sapere chi erano i compagni della fotografia forse con il serio problema che solo poche volte abbiamo la fotografia di ogni miliziano che permette di identificare fisicamente questi. Si dovrebbe ricorrere ai loro familiari e confrontare le fotografie.
Come si può capire questo è un processo lento che richiede dedizione in sito e che non garantisce il risultato perché si dovrebbe fare un altro lavoro simile nell'Archivio Generale Militare di Avila.
Io devo insistere nel problema relativo alla  documentazione di queste unità di miliziani durante i primi mesi della guerra, che non è così abbondante e devo insistere in un fatto che mi ha ripetuto diverse volte:
mi risulta strano davanti alla mancanza di concrezione del fatto offerto da Mario Brotons, che mi fa sospettare che non sia reale quello che riferisce l'esistenza di un documento che non ha alcun senso occultare ma tutto il contrario.
Lo storico non offre il dato di dove si trova il documento o i documenti in cui figura il nome di Federico Borrell come unico ucciso quel giorno. E tutto questo è più sorprendente al parlarsi di una scoperta sensazionale dovuta all'importanza ed alla rappresentatività che questa fotografia ha raggiunto.

Temo di non averla aiutata completamente però è tutto quello che posso dirle.

 

 

Anche i Direttori dell'Archivi Generali Militari di Avila e Segovia, confermano che

non esiste alcun documento che riporti il nome di "Federico Borrell Garcìa".

 

 

 

 

Persino alla Segreteria di Stato della Cultura, presso il Ministero di Educazione Cultura e Sport,

Direzione delle Belle Arti e dei Beni Culturali, non sanno dare un nome al "Miliziano"

che pure è divenuto l'icona della Guerra Civile Spagnola.

 

Il sito spagnolo "Terra" ha dedicato ampio spazio alla vita ed alle foto di Robert Capa, pubblicando anche l'atto di nascita di Federico Antonio Borrell Garcìa, che riportiamo fronte e retro..
 

 
"L'alcoià Mario Brotons Jordà, que també va participar en aquella batalla, ha demostrat que el milicià és Tanya, nom amb què era conegut Federico Antonio Borrell García, i que, encara que veí d'Alcoi, havia nascut a Benilloba, en el Carrer Sant Miquel número 1, el 3 de Gener de 1912, fill de Vicente Borrell Casanova i Maria García Ripoll.
Tenia, doncs, 24 anys quan va morir i va ser immortalitzat per la camera de Robert Capa."
 

 

 

 Traduzione a cura di  Patricio Hidalgo (Cordoba)

Atto di nascita di “Taíno”.

Nella città di Benilloba, alle dieci ore del cinque di Gennaio di mille novecento dodici, avanti D. Joaquín Monllor García, Giudice comunale e di D. José Reig Monerris, Segretario, è comparito Joaquín García e Ivorra, nato in Benilloba, provincia di Alicante, di 37 anni di età, sposato, contadino, che abita in via S. Antonio nº 7 secondo la cedola personale che mostra e raccoglie, spedita sotto il numero di ordine 91.

Al oggetto di iscrivere nel Registro dello Stato Civile un bambino, e come amico della famiglia del neonato ha dichiarato:

Che il detto bambino è nato in via S. Miguel nº 1 alle 21.00 ore del tre di Gennaio.

Che è figlio legittimo di Vicente Borrell Casanova di 43 anni di età, e di María García Ripoll di 33 anni di età, entrambi nati ed abitanti in questa città.

Che è nipote in linea paterna di Juan Borrell Matarredona (¿) nato in Penàguila, y de Camila Casanova Picó nata in Alcoleja(¿), entrambi morti in questa città.

E in linea materna di Miguel García Company nato ed abitante in questa città, e di Ramona Ripoll Garrigós, nata e morta in questa città.

E che al detto bambino si l’ ho dato il nome di Federico Antonio.

Tutto lo quale hanno visto i testimoni Joaquín Cortés Vilanova y Daniel Ivorra García  entrambi maggiorenne ed abitanti in questa città.

Letto integramente questo atto e invitate le persone che devono sottoscrivirlo a leggerlo da sé, se lo credevano oportuno, si è stampato il sigillo del tribunale comunale, e lo firmano il Signore Giudice, il dichiarante  ed i testimoni.

E di tutto questo, io come segretario certifico
 


Il documento non contiene alcuna annotazione circa la morte di "TAINO"

 

 

Mario Brotons Jordà nel suo libro sulla guerra civile non produce prove sulla scoperta.

Robert Capa, dal canto suo, non ha mai incluso spiegazioni o nomi nelle didascalie, pare tuttavia strano che abbia potuto trascorrere giorni interi vicino al miliziano e alla sua unità militare, senza conoscerne il nome.

Perché non cercò di scoprirlo, almeno dopo la sua morte ?

Qualche commilitone lo avrebbe pure dovuto riconoscere !

 

 

Nonostante tutto R. Whelan, biografo di Robert Capa, continua a dichiarare pubblicamente che

"Gli archivi governativi hanno confermato che Borrell García è stato ucciso nella battaglia di Cerro Muriano, a nord di Cordoba, il 5 settembre 1936."

Curiosamente R. Whelan NON cita il nome di alcuna fonte NE il documento specifico da cui avrebbe tratto le proprie informazioni che, fino a prova contraria e visti i documenti presentati in questa ed in altre ricerche, restano delle pure ipotesi tutte da dimostrare. 
 


FOTONOTE

Robert Capa

© Contrasto due, 2004

Edizione originale © 1988 by Centre National de la Photographie, Paris

"Questa immagine è considerata una delle più importanti fotografie di guerra mai realizzate.

Eppure è stata oggetto di una grande controversia, se sia stata veramente o meno scattata durante un combattimento.

Ma l'uomo colpito dal proiettile è da poco stato riconosciuto: si tratta di Federico Borrell García di Alcoy, paesino del sudest spagnolo.

Gli archivi governativi hanno confermato che Borrell García è stato ucciso nella battaglia di Cerro Muriano, a nord di Cordoba, il 5 settembre 1936.

Altre prove confermano che Capo ha scattato questa foto a Cerro Muriano, in quella data."

Richard Whelan

(cit, foto n. 13)

 

 

Per approfondire il tema della verità documentata, si consiglia di leggere:

<< LA GUERRA È FOTOGENICA >>

del Prof. Angelo Schwarz

"Studiare e dar conto della rappresentazione fotografica di eventi bellici al di fuori della retorica celebrativa o di condanna della guerra è un lavoro non da poco, anche se il problema più grande che immediatamente s’incontra non è quello, tutt’altro che infrequente, di un difficoltoso accesso ai documenti originali.
Il problema assai più arduo è invece quello di collocare quell’immagine o quelle immagini in un contesto storico preciso.
Questa necessità della identificazione del contesto in cui la fotografia è prodotta e consumata non è certo un problema specifico posto dalla analisi delle fotografie concernente eventi bellici, ma nel caso in questione tutto è reso più complicato dalla complessità del soggetto guerra e dall’eterogeneità dei documenti e degli eventi che debbono essere confrontati, sia per ricostruire un contesto sia per rilevare i significati che quelle immagini hanno mediato."

Cit. "Immagine Cultura" anno II n.3 dicembre 1995, pagg. 20-23, Guarnerio Editore, Udine.

Ripreso on-line alla pagina http://www.spaziocultura.it/rivista/articoli/n_3/schwarz.htm

 

Dello stesso autore è il saggio "La fotografia tra comunicazione e mistificazione", Priuli e Verlucca, Ivrea 1980.

 

 

  Il catalogo "ROBERT CAPA / FOTOGRAFIE"
  è stato pubblicato dalla "Fratelli Alinari" nel 1996.
  Prefazione di Henri Cartier-Bresson.
  Introduzione del biografo Richard Whelan.
  Rievocazione di Cornell Capa, fratello di Robert.
  Traduzione dall'inglese di Fabio Palmiri

 Caratteristiche tecniche del catalogo:

 Formato: cm 29x21 pp. 192 - Rilegato in brossura
 Fotografie: 150
 Prezzo di vendita € 46,48 - Prezzo in mostra €. 40,00

 

In catalogo e in mostra NON c'è la foto del secondo miliziano ucciso sul fronte di Cordoba.

Le foto dei due miliziani sono infatti presenti solo nei seguenti libri:

"Robert Capa David Seymour-Chim les grandes photos de la guerre d'Espagne" Editions Jannink, Paris, 1980 - Testo di Georges Soria.

"RETRO 30-40"

 

 

ROBERT CAPA - La collezione completa

Formato: 25 cm. x 25cm.
534 pagine - 937 fotografie b/n
Stampa in bicromia.
Copertina rilegata
ISBN: 88-86982-29-1

Euro  77,47


... manca solo la foto del secondo miliziano

 

 


 

Il critico e storico della Fotografia Cesare Colombo mi ha scritto una lettera che desidero condividere con tutti i fruitori di Photographers.it, ecco cosa afferma:

Volevo confermarti l'apprezzamento per la corretta puntualizzazione su Capa ed il suo "miliziano" da te già espressa sulla rivista "Photographie Magazine" (n. 1/1998).
Mi è capitato negli anni scorsi di discutere già di questo dilemma apparente (è vera scena cruenta o no ?) sostenendo sempre che non si tratta della documentazione di una morte, ma di una caduta.
Le foto dei due miliziani sono state tratte dal settimanale 'VU' che ingenuamente le aveva accostate nel 1936 in un articolo dal titolo "Così si muore".
Queste due foto non fanno altro che aggiungersi ad altri indizi, chiarissimi per chi conosce e pratica la tecnica di ripresa.
E' folle scattare, allo scoperto, anche per un attimo solo, al fianco ed alla stessa altezza di chi viene preso di mira dai proiettili nemici.
Le altre foto note di Robert Capa, scattate in quello stesso giorno, mostrano un gruppo di miliziani che saltano sorridendo più volte - a scopo chiaramente propagandistico - oltre una trincea scavata nel terreno.
Tra essi vi sono il 'martire' ed il collega imbranato che non passerà alla storia.
Altre foto mostrano il 'martire' che ridacchia su una sdraio con Gerda Taro, moglie di Capa dal 1936 (clicca quì per leggere il testo pubblicato su LIFE).
Ovviamente bisognerebbe aver sottomano i contatti delle originali riprese in sequenza, per capire tutto meglio.

Ma perché Cornell Capa si rifiutò sempre di fare questo atto di chiarezza ?

Di mostrare ad esempio il cadavere recuperato, od onorato dai compagni, che certamente Robert Capa avrebbe ripresi?

La querelle può comunque concludersi, con una morale:

DIFFIDARE SEMPRE DELLE IMMAGINI SIMBOLO.

O meglio capovolgere il loro ruolo simbolico.

Nel caso del miliziano, il problema è quello dell'impossibilità di trarre 'sicuri' dati di svolgimento narrativo, o indizi di valore storico, da una sola istantanea. >>

 

 

Ecco quanto pubblicato a pagina 83 in "le musée de la photo"
 

 Editeur: Phaidon Press Limited

 Date de parution. 26/08/2002

 Nombre de pages: 520 - Poids: 529 grammes - ISBN: 0714893439 - EAN: 9780714893433

 

cliccare sulle immagini per ingrandirle

 

 

Dopo questa lettera, Cesare Colombo mi ha invitato a vedere la foto del Miliziano accanto a Gerda Taro, presente a pagina 326 del volume edito dai tipi della Fondazione Antonio  Mazzotta intitolato "Fotografia della libertà e delle dittature - da Sander a Cartier-Bresson 1922-1946" nel 1995. 

 

 

Nella didascalia si legge:

Due volontari repubblicani in un momento di riposo durante le esercitazioni, Spagna, 1936.

Nella didascalia Magnum sono indicati il luogo e la data della foto: Barcellona, Agosto 1936.

Stesso luogo e stessa data di altre foto in cui i miliziani stanno per partire sul treno diretto al Fronte di Aragon.

E' curioso come la storia ci dica invece che le milizie partirono da Barcellona per l'Aragona in Luglio.

Dunque non vi sarebbero le esercitazioni, ma solo saluti e baci d'addio, nella speranza di tornare vivi.

Molte altre cose non tornano:

* NON sono in un momento di riposo durante le esercitazioni ma su di una sdraio in vimini, lungo una strada in cui si vedono altre persone che passeggiano tranquillamente; ci sono altre persone sedute su altre sdraio e gli abiti indossati non sono quelli per andare ad un'esercitazione (lui ha la cravatta e lei un bel vestito lungo);

** Da un primo confronto tra questa foto e le altre del "Miliziano", siamo persuasi che possa trattarsi della stessa persona:

        
Copyright : Robert Capa R / Magnum Photos

 

Cliccare sulle foto per vederne l'originale

 

*** Da un primo confronto tra questa foto e le altre di "Gerda Taro", crediamo che possa trattarsi della stessa donna:

 


Paris 1935/36.The photographers Gerda TARO and Robert CAPA in a Paris Cafe. photo courtesy @ Fred STEIN.

 

 
Copyright : Robert Capa R / Magnum Photos



Cliccare sulle foto per vederne l'originale
 

 

**** Sul cappello del Miliziano si vede una stella...

Quest'ultima annotazione evidenzia un ulteriore lato oscuro nel processo di mistificazione operato intorno ad alcune fotografie di Robert Capa, al fine di mantenerne intatto il mito più che la persona :

Ci domandiamo perché nelle didascalie date da Magnum alle foto dei miliziani si legge:

"The initials CNT embroidered on his cap stand for Confederacion Nacional del Trabajo an anarcho syndicalist organisation"

Traduzione:

"Le iniziali CNT ricamate sul suo copricapo, stanno per Confederazione Nazionale del Lavoro, un'organizzazione sindacale anarchica".

  

 

Il fatto che l'Agenzia Magnum reiteri nel presentare varie immagini di Robert Capa con didascalie "poco esatte", se non addirittura sbagliate, rispetto a quanto oggettivamente visibile e documentabile, non fa altro che alimentare dubbi circa il "valore documentale" relativo all'autenticità di alcuni servizi proposti.

 

Considerando tutti i "dati" sopra enunciati pensiamo siano "inappropriate" e troppo lapidarie le considerazioni di critica pubblicate in "Fotografia della libertà e delle dittature" dalla Prof. Giuliana Scimé, a pagina 323.

<<Alcuni hanno sostenuto, con insensata caparbietà e per totale assenza di riflessione su condizioni e tempi storici, che questa fotografia sia un "falso", costruito in studio da Capa.
Il messaggio peraltro non cambierebbe, né il suo potere concettuale.
Tuttavia, dall'inizio del 1995, a seguito di nuove ricerche, il miliziano non è uno sconosciuto: si chiama Federico Antonio Borrell, aveva diciassette anni ed era anarchico. Forse non è casuale che, per imperscrutabili disegni, ne sia stata stabilita l'identità proprio nel cinquantenario delle celebrazioni della libertà. >>

La Prof.ssa Giuliana Scimé opera, come tanti suoi colleghi non solo italiani, una facile e rassicurante reiterazione referenziale senza effettuare le dovute verifiche delle fonti, come è dovere di ogni buon giornalista.

La Prof.ssa Scimè (opera citata) parla dell'ideologia che permea Capa nel fare fotogiornalismo.

<< Robert Capa possedeva, in effetti, la straordinaria capacità di lavorare per metafore piuttosto che mostrare l'ovvietà descrittiva. Le fotografie della guerra di Spagna, il suo primo servizio di grande impegno, sono quasi sempre suggerimenti mediati di ciò che sta avvenendo nella realtà e nell'attimo dei protagonisti.
Esemplare di tale attitudine è la fotografia del miliziano colpito a morte...>>

Sul fatto che Capa, così come il suo padre putativo Ernest Hemingway o l'amico Pablo Picasso, fosse schierato in favore dei Repubblicani e contro ogni forma di Nazionalismo o dittatura, siamo perfettamente concordi.

Quello che critichiamo nell'approccio storico-filologico usato da Giuliana Scimé per studiare e presentare le foto dei miliziani, nel contesto della ben più ampia opera fotogiornalistica prodotta da Robert Capa nella sua carriera, è il reiterare nel veicolare il messaggio propagandistico e rassicurante per cui anche se la foto del miliziano non fosse vera "il messaggio che trasmette non cambierebbe, ne' la sua forza visuale" (cit. "Immagini famose 150 anni di fotografia" - Giuliana Scimé 1989) .

La Professoressa Scimé si è diplomata all'Accademia di Belle Arti "Brera" a Milano con una tesi su "Concettualismo come ribellione", oggi è membro dell'organo esecutivo nella  "European Society for the History of Photography", insegna storia dell'arte e della fotografia in prestigiose università del mondo ed ha pubblicato numerosi libri e saggi.

Possiede dunque un notevole bagaglio di esperienza e cultura, non relegate al solo ambito della fotografia...

Conosce quindi molto bene le differenze esistenti tra "documento" e "simbolo".

 

 

Cosa pensa Gianni Berengo Gardin di tutto questo ?

Del miliziano ormai si conosce il nome e cognome, la data di morte ed il luogo dove è seppellito…
La foto del miliziano è una foto talmente forte e  simbolica, che è diventata quasi un simbolo ed una bandiera che, anche se non fosse vera, ormai è diventata come una foto vera, però la foto è vera !
Io ho visto da Cornell Capa i contatti originali di Robert Capa e la sequenza era normale !

 

E la foto del secondo miliziano ?

Io ero a Roma durante i bombardamenti ed ho fotografato anche soldati in trincea.
Saltando fuori dalla trincea molti soldati si buttavano a terra per ripararsi dalle pallottole nemiche, qualcuno cadeva, altri ancora purtroppo morivano.
Penso che il secondo miliziano possa essere uscito dalla trincea, prima o dopo del collega più famoso,
e che poi non sia morto.
Non è detto che il secondo miliziano fosse colpito o che stesse morendo…

Secondo Lei cambierebbe qualcosa nel rapporto spettatore-immagine se si scoprisse che è solo una finzione ?

Assolutamente no e secondo me si sarebbe saputo subito se era una “ricostruzione”…
come si è saputo subito quando è stata ricostruita la morte dei prigionieri algerini durante la guerra d’Algeria, e come è avvenuto nel sud del Vietnam…
Son cose che si sanno subito e che non saltano fuori dopo perché dei critici di fotografia ci macinano sopra.

Piero Berengo Gardin ci ha riferito che Romeo Martinez gli avrebbe confidato che Capa è morto, sì, su una mina, ma allontanandosi dal gruppo di militari per andare a fare la pipì e… questa ingenuità gli è costata la vita…

Ma io non lo sooo!?!
Quando muore un grande fotografo pur di sminuirlo si inventa qualsiasi palla...
Che c...zo vuol dire!
Anche se andava  a fare pipì era pur sempre lì sul fronte e rischiava la vita ogni due minuti.

Infatti io non vado mai a fotografare guerre perché io sono un fifone e non voglio rischiare minimamente…
Capa invece ci andava.

 


 

Cosa ne pensa Ando Gilardi di tutto questo ?

Oltre a quanto pubblicato in "Storia sociale della fotografia" e su "L'europeo" Ando Gilardi ci ha scritto il 6 gennaio 2003.

"Che la famosa fotografia sia un falso lo conferma al di là di ogni dubbio la fotografia stessa: solo un idiota corre all'assalto con il sole negli occhi e se è colpito correndo non cade all'indietro ma in avanti perché le prime a morire oltre tutto sono le gambe.

Il "miliziano" è caduto all'indietro per non farsi male. 

Per me è stata sempre una gioia il fatto, dato che mi rende felice l'idea di vivere in una società di analfabeti fotografici, che questa povera patacca sia creduta vera da tanti anni.

Ando Gilardi

PS - d'altra parte anche un bestseller patacca della pittura chiamato Gioconda è creduto da tanti un "capolavoro".
                            Le immagini di tutti i tipi rappresentano solo se stesse e anche misteriosamente."

In un'altra Email del 20 gennaio 2004, Ando Gilardi ci ha scritto:

"...In quanto al famoso miliziano di Capa (ebreo) posso garantirti che un giudio fotografo di guerra come me non avrebbe mai messo la testa fuori dal riparo girando la schiena a una mitragliatrice per fotografare un coglione che correva all'assalto con il sole basso negli occhi (guarda l'ombra).

Che sia un falso si vede nella stessa fotografia in modo grossolano: tutta la storia di questa patacca, credimi, per un fotografo di guerra come me è ridicola.

Ti saluto fraternamente: da fotografo di guerra a fotografo di pace

ANDO GILARDI"

 


 

Ecco cosa ha scritto e pubblicato Ferdinando Scianna sul "Miliziano" di Robert Capa, per la rivista "Photo edizione Italiana", e per Photology.

 

Titolo: "100 al 2000: Il Secolo della Fotoarte"

A cura di: Davide Faccioli

Editore: Photology, 2000

Pagine: 247

Dimensioni: Cm 26 x 21

Illustrazioni a colori e in bianco e nero: 125

http://www.hfdistribuzione.it

 

La WP ha esposto ad Arte Fiera di Bologna nel 2000, promuovendo e sponsorizzando la mostra organizzata a Villa Impero (Dal 30 gennaio al 29 aprile 2000) dalla Galleria Photology "100 al 2000: il secolo della fotoarte",  una collettiva con tutti i grandi maestri che hanno significato innovazione e sperimentazione nell'uso della fotografia d'arte del ventesimo secolo.

Per Photology, a pagina 84 di "100 al 2000: Il Secolo della Fotoarte", scrive :

"Tanto quella fotografia emblematicamente ha finito, nel nostro tempo, col rappresentare quel primo invisibile istante. Emblematicamente e quasi insopportabilmente. Al punto che tanti fra i soliti “demistificatori” si sono dati da fare, mistificando, a dimostrare che era falsa. Ed era autentica.
Gli storici lo hanno dimostrato e quell’uomo, quel ragazzo definitivamente immortalato a Cerro Muriano nell’istante stesso in cui muore - metafora perfetta del senso e del ruolo più profondi della fotografia -
ha oggi persino un nome: Federico Borrell.

Per "Photo edizione italiana", novembre 1996, ha scritto in prima pagina:

"SCOPRIAMO CHE LA FAMOSA FOTO DEL MILIZIANO DI ROBERT CAPA ERA VERA"

Ferdinando Scianna opera una trasposizione  dell'articolo del "The Observer", senza verificarne l'attendibilità, attraverso un semplice confronto con le fonti ufficiali.

Ferdinando Scianna riporta infatti il nome di Mario Brotons e la notizia secondo cui "...ricerche incrociate negli archivi militari di Madrid e Salamanca confermano che quel giorno nell'offensiva del Generale Vela (...il Generale si chiamava Varela e non Vela ! ) contro i Repubblicani attestati a Cerro Muriano ci fu un solo morto, il ventiquattrenne Federico Borrell Garcia" enfatizzando poi il fatto che Robert Capa era a Cerro Muriano quel 5 Settembre 1936 e che "dunque quella grande, fortunata (per Capa, per noi, non certo per il povero Borrell) fotografia è autentica".

 

LA SMENTITA A TUTTO QUESTO E' UFFICIALE E DI PUBBLICO DOMINIO

 

Ferdinando Scianna prosegue autocompiacendosi del fatto "Personalmente ho sempre creduto che la foto fosse autentica, non in virtù di prove, ma in virtù di buonsenso, visto il carattere di Capa di cui non risulta che, a parte magari qualche modifica, magari per errore, a qualche didascalia, fosse un tipo dedito alla messinscena fotografica"

Ferdinando Scianna conclude il suo articolo lasciandoci una speranza di verità:

"Devo però dire che il dibattito non mi ha mai appassionato.
La sua portata, infatti, poteva riguardare, semmai, esclusivamente quell'immagine, e quella falsificazione, se pure c'era stata, non riguardava certo il lavoro di Capa, né l'importanza documentaria e simbolica della fotografia di reportage in generale."

 

E' chiaro che Scianna finge di non conoscere le differenze tra "documento" e "simbolo".

 

 

Nessuno pone in dubbio il fatto che la foto  "Il miliziano colpito a morte" di Robert Capa, possa essere assunta a simbolo della lotta e del sacrificio dell'uomo per la conquista della libertà.

Bisogna però tener presente che "denotato" e "simbolo" sono i correlati di due funzioni differenti.

Il simbolo è infatti un elemento materiale considerato rappresentativo di un'entità astratta:
ad esempio la "bandiera" è simbolo di Patria e di unità nazionale, mentre la "colomba" è simbolo di Pace.
In quanto denotato, invece, la bandiera è un pezzo di stoffa colorato e la colomba è un volatile bianco.

Susan Sontag ha scritto che fotografare significa attribuire importanza ad un oggetto, secondo un determinato progetto intellettuale; ma c'è di più...

Leggiamo su "QuattroColonne" n. 4 del Maggio 2001...

«La fotografia ha sempre oscillato tra apparenza di realtà e immaginario» conferma Giovanni Fiorentino, ordinario di Sociologia dell’arte e della fotografia all’Università La Sapienza di Roma. «Con la riproducibilità delle immagini la fotografia crea una realtà autonoma e parallela a quella vera, che è sempre irriproducibile e deteriorabile. Per cui l’originale svanisce, ma la riproduzione fotografica resta».

La famosa foto di Robert Capa del miliziano morente era probabilmente simulata.

I ritratti, utilizzati dal ceto borghese ottocentesco per presentare il proprio status sociale erano dei set convenzionali  fatti spesso di abiti in prestito e finti fondali. «Le ragioni della necessità di rappresentare nella fotografia il mondo perfetto », spiega Fiorentino, «hanno radici nella società industriale di fine 800. Allora gli uomini cominciano ad aver bisogno di sognare, di immaginare, di viaggiare con la mente per allontanarsi dall’alienazione della catena di montaggio.

La fotografia risponde a questo bisogno in maniera più semplice ed economica della letteratura o della pittura».

Tuttavia non sempre manipolazione significa messa in scena.

Per Giuliana Scimé dipende dal ruolo che si vuole affidare alla fotografia. «Ci sono due diverse filosofie: quella di Henri Cartier Bresson, la ripresa diretta della realtà senza ritocchi e quella di Eugene Smith, da molti ritenuto il più grande fotografo del mondo per i suoi memorabili reportage.

Io prediligo la seconda perché attribuisce al fotografo il compito di documentare la realtà ma senza rinunciare al filtro delle emozioni». L’immagine perciò può anche essere manipolata se il tentativo è quello di farla divenire il simbolo di una verità morale comprensibile alle persone in ogni angolo del mondo e ben più essenziale di quella oggettiva.

La fotografia dunque ha mentito e mente ancor meglio grazie alle nuove tecnologie.
Tuttavia bisogna ricordare che essa non è la realtà, ma solo una rappresentazione di una parte di vero scelta dall’inquadratura del fotografo.

 

 

Il Prof. Francesco Mattioli in "Sociologia visuale", sottolinea il fatto che << Creare un'immagine significa stabilire immediatamente un complesso processo di interazione tra autore e fruitore di quell'immagine, con la mediazione di un contesto che si esprime sia in termini storico-temporali, sia in termini situazionali, sia rispetto agli intenti degli attori.
Per quanto riguarda l'autore dell'immagine (o delle immagini) convengono nella realizzazione del suo prodotto gli intenti specifici individuali (mediati da influenze sociali, culturali, estetiche, da esperienze e motivazioni personali ecc.); le caratteristiche del mezzo tecnico; le caratteristiche dell'oggetto o degli oggetti (capacità di riflessione della luce, grandezza, movimento, ecc.); gli aspetti situazionali relativi alla produzione dell'immagine (occasione, situazioni ambientali); gli aspetti situazionali relativi alla diffusione/socializzazione delle immagini (mostra, giornale, libro, ecc.).
Il fruitore a sua volta interviene nell'interazione con le sue motivazioni personali, cioè con i suoi scopi che lo spingono a fare uso di quelle immagini e a percepirle, selezionarle e interpretarle secondo determinati criteri e aspettative.
Entrano in gioco, infine, alcuni fattori "esterni" che esercitano una specifica influenza nel processo di interazione:
la collocazione storica delle immagini, che ne filtra i significati, le potenzialità e le capacità referenziali; gli interessi della committenza che possono aver limitato o orientato il lavoro del fotografo o del filmaker, e che possono costituire oggetto di studio, o comunque di attenzione, da parte del fruitore.
L'immagine può essere valutata correttamente soltanto se si tengono nella dovuta considerazione i termini contestuali, e possibilmente motivazionali, entro cui si realizza. >>

Il Dott. Paolo Parmeggiani, che opera come Ricercatore all'Università degli Studi di Udine, ci fa ben riflettere sui mezzi visivi della comunicazione, sulla loro capacità di mentire, dalla fotografia al cinema alla televisione, in un lungo e documentato saggio intitolato "l'arte di mentire: dall'immagine fotografica alla televisione" pubblicato sul periodico di informazione culturale "perimmagine", inverno 2002/2003.

Paolo Parmeggiani ha accettato il nostro invito a partecipare al dibattito sulla veridicità della foto "Il miliziano" di Robert Capa, inviandoci uno splendido testo intitolato "Vero, verosimile, anzi simulato".

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http://www.ugr.es/~pwlac/G21_01DemetrioE_Brisset_Martin.html

Gazeta de Antropología Nº 21, 2005 Texto 21-01

Fotografía, muerte y símbolo.

Aproximación desde la antropología visual

Demetrio E. Brisset Martín

Universidad de Málaga

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La fotografia, come ricorda Gisèl Freund in "Photographie et societé" del 1974 (tradotto in Italia da Laura Lovisetti Fuà, per i tipi di Giulio Einaudi editore s.p.a.), è  più di qualsiasi altro mezzo "atta ad esprimere i desideri e i bisogni degli strati sociali dominanti, a interpretare a loro modo gli avvenimenti della vita sociale. Infatti la fotografia, per quanto strettamente legata alla natura, ha un'obiettività soltanto fittizia. La lente, questo presunto occhio imparziale, permette tutte le possibili deformazioni della realtà, giacché il carattere dell'immagine è ogni volta determinato dal modo di vedere dell'operatore e dalle esigenze dei suoi committenti.
L'importanza della fotografia non risiede soltanto nel fatto che è una creazione, ma soprattutto nel fatto che è uno dei mezzi più efficaci per plasmare le nostre idee e influire sul nostro comportamento".

Gisèl Freund, allieva di Theodor W. Adorno nell'Institut für Sozialforschung di Francoforte, sottolinea il fatto che "l'introduzione della fotografia nei giornali è un fenomeno di fondamentale importanza" perché "cambia la visione delle masse" divenendo una finestra che si apre sul mondo.

"La parola scritta è astratta", ci dice ancora Gisèl Freund, "ma l'immagine è il riflesso concreto del mondo in cui ciascuno vive. La fotografia inaugura i mass media visuali, quando al ritratto individuale si sostituisce il ritratto collettivo."

Entrando nel merito dei rapporti esistenti  tra "parola scritta" e "fotografia", ed in particolare dell'uso che il giornalismo ha fatto nel tempo dell'immagine fotografica, Gisèl Freund evidenzia come "l'attività di un fotografo che aspiri ad essere qualcosa di più di un artigiano è una lotta continua per l'immagine.
Come il cacciatore è ossessionato dalla passione di cacciare, così il fotografo è ossessionato dalla fotografia unica che vuole ottenere."

Il fotoreporter, continua la Freund, "deve essere al corrente degli avvenimenti e sapere in tempo dove si svolgono,
Se necessario, bisogna ricorrere a ogni sorta di astuzia, anche se non sempre riescono."

La fotografia, nota  infine Gisèl Freund, "diventa nello stesso tempo un mezzo potente di propaganda e manipolazione. Il mondo in immagini è modellato in conformità degli interessi dei padroni della stampa: l'industria, la finanza, i governi."

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La nostra cultura di massa è stata, però, fortemente influenzata da quelle sovrastrutture religiose che propongono una visione dogmatica e trascendentale della vita.

Basti pensare ai valori attribuiti al crocifisso ed alla facilità con cui questi sono stati strumentalizzati nel corso dei secoli.

Il denotato del crocifisso è un intreccio di due pezzi di legno su cui poggia la raffigurazione scultorea di un uomo,
e queste due parti sono tenute insieme da tre chiodi.

A partire dal IV secolo d.C. il Crocifisso, dopo il pesce e l'ulivo, è stato assunto quale simbolo del Cristianesimo in onore del Cristo (nella sua Trinità) crocifisso per la redenzione dell'uomo. Questo segno è anche simbolo universale e cosmico, considerato fin dai tempi di Pitagora il simbolo dell'Uomo, poiché comprendente la sua duplice natura e quella del Creato in cui opera. É quindi il simbolo di ogni religione che definisca la dottrina del rapporto tra la Materia (orizzontale) e lo Spirito (verticale), ovvero tra il basso e l'Alto, tra il Creato ed il Creatore, tra l'uomo e Dio. Un rapporto quindi di interdipendenza tra il microcosmo ed il macrocosmo, tra il perfettibile ed il Perfetto, tra l'involuto e l'evoluto, con influenze che sono reciproche ed eterne, come lo Spirito e l'Onnipotente, Onnisciente ed Onnipresente, che l'ha generato.

Nella raffigurazione del Cristo,  il Gesù "uomo" viene decontestualizzato dall'ambiente in cui si trova: non si vedono i due ladroni, non si vede la folla che lo incita a liberarsi per dimostrare di essere il figlio di Dio, e non si vedono neanche i soldati che lo feriscono e lo umiliano.

Per una curiosa e quanto meno sospetta similitudine, anche "Il Miliziano colpito a morte" è stato perfettamente isolato dal contesto in cui si trova, nel momento preciso in cui muore, allargando le braccia al cielo.

Non si vede la trincea da cui è uscito, non si vedono i suoi commilitoni vivi o morti, non si vede il nemico

Tutto è perfetto per essere assunto quale simbolo di morte e sacrificio per la libertà e la pace di tutti gli uomini.

Un valore alto e condivisibile, se non fosse intriso di propaganda come le sculture dei guerrieri Gàlata o come le opere "Los Desastres de la Guerra" del grande maestro spagnolo  Francisco José de Goya y Lucientes

La questione è un'altra.

Analizzando un solo dato non si può giungere ad un risultato scientifico, ma si rimane sul piano istintivo ed emozionale, facilitando così la veicolazione di operazioni persuasive e di propaganda.

Questo vale anche nell'approccio storico e sociologico alla fotografia, intesa come mezzo di comunicazione e di espressione artistica, facilmente strumentalizzabile.

Un'immagine fotografica, considerata singolarmente, ha valore sociale ma non sociologico.

Una serie di immagini, consente invece di concettualizzare un'analisi sociologica di tipo visuale.

Vedere solo la foto del "Miliziano", decontestualizzandola, è comodo perché produce un solo connotato.

Al contrario, operando un confronto tra le immagini dei due "miliziani  colpiti a morte", realizzate nello stesso contesto spazio-temporale, i denotati specifici non mutano, ma si può percepire ed apprezzare un connotato nuovo che scaturisce proprio dalla comparazione messa in atto.
Si tratta dell'ulteriore significato veicolato dalla interconnessione delle due immagini e che si produce solo, se, e fino a quando, quelle due immagini vengono percepite simultaneamente dall'osservatore.

Per evitare che il pubblico possa porre in atto questo confronto tra le immagini, traendone inquietanti elementi di correlazione, l'Agenzia Magnum espone solo la foto del "Miliziano" divenuto icona, evitando di contestualizzarla.

 

Le polemiche sulla veridicità di quanto raffigurato nella foto "Il miliziano colpito a morte" riguardano esclusivamente gli aspetti storici dell'evento, e non la valenza simbolica che viene loro attribuita.

 

La Spagna, primo terreno di una lotta armata, di una guerra già "moderna" tra fascismo e antifascismo, è servita contemporaneamente da laboratorio, da spettacolo e da rappresentazione di ciò che gli altri vivranno.
Le peculiarità di una guerra civile "fratricida" esaltano il ruolo della persuasione e del consenso, elementi sui quali la storiografia ha cominciato ad indagare.
Nel sito http://195.62.160.66/h3/h3.exe/aspagna si ospitano materiali che documentano il capillare sforzo propagandistico necessario per sostenere una guerra civile nell'Europa del Novecento.
Il sito è collegato ai contenuto del catalogo "IMMAGINI NEMICHE" edito nel 1999, dall'Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia Romagna, in memoria di di Rafael Alberti.
Il volume raccoglie in 440 pagine, saggi e immagini, volti a ricordare la Guerra Civile di Spagna a 60 anni di distanza.

<< Giunti alla svolta di un secolo, che molti considerano già concluso tra la stagione della crisi petrolifera e il crollo dei regimi comunisti >>, scrivono Alberto Preti (Presidente dell'Istituto Regionale "Ferruccio Parri") ed Ezio Raimondi (Presidente dell' I.B.C. della Regione Emilia Romagna), << siamo più che mai invitati a riflettere sul senso di questa nostra epoca e a confrontarci con la complessità tragica della vicenda spagnola, segnata dall'idealità e dall'ideologia in cui si intrecciano le lotte per il potere e le lotte per la terra, le battaglie per la dignità di milioni di uomini e donne in Spagna e altrove. Guerra antifascista, guerra nazionale, guerra rivoluzionaria, guerra sociale, guerra per la democrazia, guerra antibolscevica, crociata per la fede: anche nella pluralità delle definizioni che le parti avverse e gli osservatori contemporanei mettono in campo, è la novità, propria del Novecento, di un conflitto fratricida e insieme internazionale.
Tra comunismo, fascismo e democrazia si schierano i protagonisti di quella più vasta "guerra civile" che attraversa la storia europea nei decenni delle due guerre mondiali. >>

Di questi valori universali è impregnata la Guerra Civile Spagnola e con essa le immagini che la rappresentano,
prima fra tutte quella che mostra un miliziano repubblicano colpito a morte.

 La guerra civile spagnola del 1936-1939 viene descritta, da Luisa Cigognetti e Pierre Sorlin, come una vera e propria guerra ideologica, poiché ha rappresentato per molti una prova generale alla seconda guerra mondiale.

Questo insieme di motivazioni hanno stimolato una straordinaria copertura e risonanza nei mezzi di comunicazione di massa, degli avvenimenti iberici. Per la prima volta nella storia una guerra, invece di essere commentata e raccontata  dai cronisti, con uno scarto temporale tra l'avvenimento e il racconto, viene riportata in tempo quasi reale dalla radio.

Inoltre, per la prima volta a livello di massa, viene illustrata dai rotocalchi e dai magazine di tutto il mondo (come VU o LIFE) e diffusa nei cinema attraverso i cinegiornali.

Luisa Cicognetti e Pierre Sorlin parlano quindi dell'evento bellico e della sua rappresentazione sui diversi media:

<< A Toledo, nella fase finale dell'assedio dell'Alcazar, il 18 Settembre 1936, il governo repubblicano, sicuro di espugnare la fortezza dopo averla minata, chiama i corrispondenti di guerra stranieri perché assistano alla caduta dell'Alcazar e documentino al mondo la vittoria contro i rivoltosi franchisti.
I cronisti documentarono invece l'eroica resistenza estrema dei nazionalisti e la liberazione dei rivoltosi da parte di Franco: una grande vittoria morale e propagandistica. >>

Queste motivazioni, continuano le autrici, si ripercuotono in modo assoluto sulla percezione da parte dei pubblici della guerra stessa. In primo luogo nella misura in cui << il conflitto diventava una battaglia tra libertà e tradizione, tra giustizia e ordine sociale, tra socialismo e fascismo, i due schieramenti dovevano mostrare i propri valori e denigrare quelli dell'avversario. >>

<< Oggi noi, spettatori televisivi, siamo abituati a vedere quotidianamente scene di guerra e massacr, il nmostro occhio è stato "educato" ad una visione critica degli eventi: a metà degli anni Trenta lo spettatore era senz'altro molto più "ingenuo" e meno avvezzo a criticare o decodificare i cinegiornali o le fotografie sui giornali.>>

La conclusione logica a cui giungono Luisa Cicognetti e Pierre Sorlin, e che noi condividiamo pienamente, è che
 << ...esiste un vizio di fondo nella documentazione visiva. Essa, sia fotografica che filmica, è parziale, viene concepita per dimostrare, per convincere, non per testimoniare. Il vizio di fondo è il carattere ideologico della guerra. >>

Nel Novembre 1936, quando il governo franchista era ormai riconosciuto come legittimo, l'Italia aprì in Spagna un ufficio Stampa e Propaganda, indipendente dalla sede diplomatica. Sul piano cinematografico questo ufficio aveva due obiettivi: creare nuovo materiale propagandistico da inviare sugli schermi italiani tramite l'Istituto Luce, e nello stesso tempo aiutare i franchisti a costruire il loro cinegiornale "Espana eroica".

Entrambi i campi, quello nazionalista e quello repubblicano, puntavano tanto al pubblico spagnolo quanto all'opinione pubblica internazionale.

Fotografare una guerra non era una cosa nuova nel 1936, molti reporter avevano seguito l'invasione giapponese in Cina e l'occupazione dell'Etiopia d parte degli italiani.

<< Però dobbiamo sottolineare che nessuno dei "grandi" reporter dell'epoca si recò in Spagna.
I fotografi che andarono nella penisola erano giovani e ancora ignoti: David Seymour aveva venticinque anni, Robert Capa e Gerda Taro ventitré . Per di più, non si fermarono molto tempo: Namuth e Reisner partirono dopo cinque mesi, Capa lasciò la penisola per la Cina nella primavera del 1937.
Le condizioni di lavoro in Spagna per i reporter erano dure, i combattenti dovevano fronteggiare una situazione difficile, non potevano occuparsi del quotidiano dei giornalisti, facevano il possibile solo per proteggerne la vita.
Molte testimonianze mostrano che, nei due campi, i fotoreporter e gli operatori erano sistemati in luoghi dove vedevano benissimo senza rischio. Alcuni fotografi furono feriti ma l'unica vittima fu la reporter polacca Gerda Taro, colpita mortalmente da un carro armato che stava facendo manovra.
In una lettera indirizzata da Madrid ad alcuni amici moscoviti, Roman Karmén, operatore sovietico, racconta:

" La prima frase che abbiamo imparato qui è questa: no mire la màquina! (non guardate in machina!).
Questo lamento, in spagnolo, accompagnava, come filo conduttore, tutto il nostro lavoro.
Gli spagnoli ci tengono ad essere ripresi: fanno l'occhiolino all'operatore e si mettono in posa anche sotto la pioggia di proiettili" [cit. Lettera del 4 ottobre 1938 "Cinema60", n. 39 pagina 41, Settembre 1963 - ripresa in "ARCHIVIO NAZIONALE CINEMATOGRAFICO DELLA RESISTENZA, Registi e operatori di fronte alle immagini e alla realtà della guerra di Spagna. Documenti 2, Venezia, ANCR - Biennale di Venezia 1976 pagina 31]

<<La parola d'ordine era "convincere" - non solo convincere l'opinione pubblica ma convincere se stessi e, per quello che riguardava i reporter, convincere il direttore di un periodico.

Da questo punto di vista la foto del miliziano venduta parecchie volte da Capa è tipica.
Non vogliamo criticare un uomo molto coraggioso, che era spesso in prima linea e fu ucciso nel 1954 perché era audace.
Ma, oggi, non c'è più nessun dubbio: il miliziano non muore, cade sfortunatamente durante una esercitazione. >>

[ Si veda su questo anche l'analisi di un'intera sequenza fotografica dello stesso rullino che contiene la foto del miliziano, fatta da Caroline Brother nel suo libro "WAR AND PHOTOGRAPHERS. A CULTURAL STORY" pagina 56, Scolar Press, London, 1979. ]

 

[ Vedasi pure il libro di Aldgate, Anthony, Cinema and History: British Newsreels and the Spanish Civil War (London: Scolar Press, 1979)
Detailed account of the workings of the British newsreels in the 1930s, in particular covering the Spanish Civil War, asking questions about objectivity, bias and the forming of public opinion.

<< L'immagine è molto romantica:
due terzi di cielo con una traccia di nuvole,
una luce chiarissima,
la pendice di una collina e l'uomo, giovane, isolato, colpito mentre muore. >>

<< Nessuno si chiese allora:

ma, dove correva, così esposto ai colpi di un potenziale avversario ?

E dove era il fotografo ?

Se fosse stato posto davanti al soldato avrebbe offerto egli stesso un bersaglio ideale al tiratore.

L'emozione sollevata dalla foto venne, sicuramente, accresciuta dalle didascalie.

Quella di "VU" era lirica... il commento di "LIFE" era più "oggettivo" (se si può dire, visto che tutto era falso):

"La macchina da presa di Capa coglie un soldato nel momento stesso in cui viene abbattuto da una pallottola in testa davanti a Cordoba". Un altro dato da sottolineare è che "LIFE" dichiarava di attenersi rigorosamente all'attualità -
ma non esitava a pubblicare una foto vecchia di quasi un anno. E c'è di più: qualche pagina prima di usare la foto di Capa, il settimanale aveva insistito sulle menzogne diffuse dalle due parti, che impedivano al pubblico di giudicare obiettivamente gli eventi: "le fotografie non mentono ma l'impatto che hanno e le didascalie chele accompagnano lo fanno spesso"
Era verissimo: la foto di Capa non "mentiva" ma, con un commento fittizio, produceva un'impressione totalmente inadeguata. I fotoreporter registravano sempre il momento e il luogo in cui avevano scattato un'immagine, ma non potevano controllare l'uso finale del materiale.
L'interferenza della produzione sui cinegiornali era ancora più pesante. >>

Si legge inoltre che << La storiografia contemporanea è ormai concorde nell’affermare che l’immagine, sia fissa che in movimento, non ci restituisce una copia della realtà ma è un prodotto di significato autonomo: il fotografo o il cineoperatore che isolano nel proprio mirino una persona, un oggetto, un’inquadratura, li mettono in rilievo e segnalano che sono degni di attenzione.
Il documento ci rivela quello che l’osservatore ha notato e quello che ha voluto comunicare. Inoltre una ripresa fotografica o cinematografica viene sempre effettuata con l’idea, spesso implicita, che l’immagine sarà presentata a qualcuno, alla famiglia o agli amici se si tratta di fotografie private, a un largo pubblico se si tratta di fotografie di agenzia o di cinegiornali.>>

Ringraziamo ancora Luisa Cicognetti e Pierre Sorlin per aver dato un contributo alla ricerca della verità.

 

 Titolo: Immagini nemiche
            La guerra civile spagnola e le sue rappresentazioni 1936-39

 Editrice Compositori, Bologna 1999

 Catalogo realizzato da Enzo Calabrò, Isabella Fabbri, 
         Beatrice Furlotti, Gabriella Gallerani e Carlo Tovoli

 ISBN: 88-7794-213-4

 Prezzo di copertina:  38,73

 

    "War and Photography: A Cultural History"
     by Caroline Brothers

     Caroline Brothers is a foreign correspondent for Reuters.
 

  • Hardcover: 277 pages ;
  • Dimensions (in inches): 0.99 x 9.42 x 6.33
  • Publisher: Routledge; ; (January 1997)
  • ISBN: 0415130999
  • Amazon.com Sales Rank: 769,049
  • List Price: $95.00

 

 
 
In questo splendido libro, Caroline Brothers analizza anche le foto dei due miliziani,
 facendo delle considerazioni che risultano essere conformi a quelle espresse nella nostra ricerca.

<< For the caption-writers of Vu ther was no doubt that in this pair of photographs two different militiamen met their death on the same grassy hill; for Georges Soria and the editors of Pris-Soir, however, on fo the same soldier figured in both.

This detail is in fact crucial to the authenticity debate, the fate of the figure in the second photograph the one element which might be capable of putting such suspictions to rest.

If the two images are closely compared a number of differences emerge that suggest that the plural form is correct.
Where the soldier in the upper, most famous image wears a white shirt and slightly darker trousres,
the second wears overalls uniformly darker in colour.

This cannot be explained as simply a tonal change caused by shifting light in two photographs of the same man, since the images conform exactly in all other aspects of lighting and tone.

The soldier in the first image wears dark shoes, the second wears white espadrilles.

The first militiaman carries three ammunition pouches attached to wide leather shoulder straps;
the second has only two pouches attached to his belt.

For one man to be the subject of both images, captured with a speed testing Capa's Leica to the limit, his centre of gravity wouldhave had to have altered completely as he fell, his backward motion in the first image trasformed rapidly into a forward movement.

Simultaneously he would have had to have swung his right leg backwards and upended his rifle over his right shoulder as he dropped.

And finally, despite the pronounced slope of the hillside, the dying soldier would have had to have fallen uphill, his feet sliding back above the three vertical sticks of straw visible bright white in theforeground of both images.

Even if one accepts it as unlikely that the same militiaman was captured in both photographs, and hat in fact two different individuals were involved, on final remains.

The absolute identity of time and location (shadows, background and foreground details are identical in each) implies that both men fell in exactly the same place within moments of each other, yet only one body is present in the second image.

To this author it appears highly likely that the Death of a Republican Soldier was in fact staged at least twice, by different soldiers, before a camera mounted on a tripod or held by a stationary photographer.

For various reason the uppermost photograph alone - because of its evocative blurring perhaps and the symbolic heroism of its pose, gained a currency exceeding all expectations. >>

<<...Various accounts have since come light attempting to authenticate Capa's seminal photograph.
The most recent, by the now-late amateur Historian Mario Brotons emerged as this book was going to press and has yet to be propely axamined. While it seems to confirm that a particular militiaman was killed around the time and place that Capa's photograph was taken, it provides no proof that he was the same man captured in the famous picture, noi indeed that the man Capa photographed actually died.
On an initial impression, the evidence Brotons proffers in Capa's defence appears at best tangential and inconclusive. >>


 Abbiamo inviato questo testo al biografo di Capa, Richard Whelan e questa è la risposta ricevuta:

 Da: Capa Archive

 Inviato: martedì 15 luglio 2003 - ore 16.37

 Dear Mr. Pagni,

 Why have you sent me this?
 I have, of course, read Caroline Brothers's book.
 What she says about Capa's photograph is not based on any original research or investigation.
 It is simply her speculative opinion, which carries no weight what sover against arguments that have --
 since the publication of her book in 1997 -- progressed far beyond speculative opinion.

 Sincerely,

                         Richard Whelan

 

 


Abbiamo invitato la sig.ra Caroline Brothers ad inviarci una  replica.

 La risposta, per il momento, è stata questa:

" I will be out of the office starting 14/07/2003 and will not return until 28/07/2003.

I will respond to your message when I return. "

Caroline.Brothers@reuters.com
 

 

 

Estratto dal sito: http://195.62.160.66/soprintendenza/SPAGNA/sez1-saggio100.htm

"UNA GUERRA FOTOGENICA"

Fotogiornalismo e guerra civile in Spagna

Caroline Brothers

 

<< Grazie all’obiettivo della macchina fotografica, la guerra civile combattuta in Spagna dal 1936 al 1939 ha lasciato, come nessun'altra in passato, un marchio indelebile nelle coscienze moderne. Banco di prova delle nuove tecnologie belliche, la Spagna divenne anche la culla di un nuovo tipo di fotogiornalismo che, con l’evoluzione della tecnologia fotografica, permise ai fotografi di rispondere con prontezza ed estrema efficacia alle nuove realtà della guerra. Un’evoluzione che coincise con mutamenti radicali nella struttura dei media, con un enorme aumento delle pubblicazioni rivolte ad un pubblico di massa avido di immagini fotografiche sia in Europa che negli Stati Uniti. La guerra civile spagnola, per la sua natura, richiedeva nuove forme di rappresentazione e strumenti più avanzati; lo straordinario impegno dei suoi numerosi fotografi indusse molti di loro a raccogliere la sfida. Ispirati da quella che un osservatore definì "la guerra più fotogenica mai vista" (1), i fotografi della guerra civile crearono una raccolta di immagini che rappresenta a tutt’oggi gran parte della memoria visiva del conflitto ed un’opera che costituisce da allora un riferimento obbligato per tutti i fotografi impegnati in altre guerre.

I fotografi della guerra civile spagnola e soprattutto i mezzi di comunicazione per cui lavoravano erano complici in una rappresentazione costruita della guerra che rispecchiava ben poco la più scomoda realtà.

Così, in Gran Bretagna, i morti del conflitto spagnolo venivano spesso descritti come particolari marginali in fotografie che mostravano i cadaveri inquadrati artisticamente di schiena o fotografati asetticamente a distanza, oppure distesi, mai sporchi di sangue, sul ciglio della strada accanto a un fascio di fiori o di foglie, dove venivano deposti per riposare in pace, con titoli poetici come quello del "Daily Herald": Il raccolto della guerra civile (31). In altre foto la morte veniva espressa sotto forma di metonimie: con un soldato che portava a casa il fucile di un compagno morto o una lapide nel punto in cui era morto un combattente. La stampa francese era più curiosa riguardo agli aspetti più macabri del conflitto, sebbene anche il loro realismo avesse dei limiti. "L’Illustration" pubblicò una fotografia sconvolgente della Plaza Cataluña a Barcellona, in cui i corpi di quattro uomini giacevano accanto alle carcasse di due cavalli (32). Nel frattempo, "Vu" pubblicò una delle immagini di morte più espressive mai apparse in entrambi i paesi: una fotografia dell’agenzia Keystone raffigurante il cadavere insanguinato del leader monarchico assassinato, Calvo Sotelo, in un obitorio (33). La fotografia pubblicata da quasi tutti i giornali pro-repubblicani dopo la caduta di Irún a settembre, che mostrava i corpi di sei giovani in abiti civili che giacevano tra le macerie della città, è tuttavia un esempio più significativo dello stile di rappresentazione francese (34). Non sarebbe potuto essere più discreta nella descrizione dei dettagli: non c’è traccia di lesioni, sangue o ferite aperte. Il fotografo si è semplicemente tenuto ad una distanza tale da mantenere l’anonimato delle vittime e i corpi stessi sembrano in posa, disposti in modo da formare un’ampia curva che previene sgradevoli interrogativi riguardo al modo in cui sono morti. In genere, l’aspetto estetico di tali fotografie contrastava con la realtà che intendeva suggerire, ma senza mai documentarla esplicitamente.

Senza dubbio, la fotografia più controversa della guerra civile è la Morte di un soldato repubblicano di Robert Capa (35). Sebbene la sua autenticità sia ancora oggetto di discussione e sia stata ampiamente dibattuta in altra sede (36), essa rimane un simbolo del conflitto ed è a tutt’oggi una delle fotografie di guerra più conosciute del nostro tempo. Impressionante per la tempestività e per la posizione che permisero a Capa di catturare apparentemente il momento esatto in cui un soldato cade colpito da un proiettile su una collina in Andalusia, è la sua estrema semplicità a renderla una perfetta espressione di temi universali. Elementare nella sua composizione – cielo aperto, paesaggio naturale, un uomo che cade a terra –, i contorni sfocati conferiscono autenticità ad una fotografia che sembra essere stata scattata in fretta in una situazione estremamente pericolosa. Lo sfondo – i fasci di fieno essiccato e il panorama delle colline in lontananza – evoca antiche metafore poetiche in cui la falce si abbatte sul raccolto come la morte. Il biancore luminoso intorno alle tempie del soldato, l’ombra scura sulla testa e il viso piegato all’indietro, forse per la forza del proiettile, conferiscono una forza straordinaria all’immagine, che fa pensare che il fotografo abbia colto il momento esatto in cui il proiettile è penetrato nel cranio. Il movimento del braccio destro, che si apre verso l’esterno nel momento in cui il fucile gli sfugge di mano, sembra l’ultimo riflesso del suo corpo forte in fin di vita. Eppure, tutti questi aspetti rendono la fotografia molto ambigua. È ugualmente possibile che il proiettile che attraversa il cranio del soldato sia semplicemente la nappa del berretto che si confonde nel movimento, che il segno bianco sulla tempia sia semplicemente uno strano riflesso della luce sul suo orecchio e che tutta l’immagine sia una messa in scena costruita da un fotografo ricco di talento, determinato ad immortalare qualche tassello della tragica realtà che lo circonda. La bizzarra ambivalenza della fotografia e la costante alternanza del lettore tra ciò che raffigura e ciò che sembra raffigurare le conferiscono un fascino senza età.
Nonostante le qualità artistiche e tecniche che sembrano distinguerla da tutte quelle scattate in precedenza, questa fotografia appartiene alla lunga tradizione di immagini profondamente romantiche della morte in guerra. Nonostante il fatto che la scienza bellica avesse progressivamente ridotto i soldati a semplici pedine, la fotografia di Capa sottolineava infatti l’eroicità e la tragicità della morte in guerra e l’importanza dell’individuo e della sua morte. Il fatto stesso che venisse fotografato un soldato sconosciuto implica che la sua morte non passò inosservata e non fu vana, ma in nome di una causa, di quegli ideali per cui combatteva. Inoltre, la scena di morte ha un innegabile impatto estetico. Rapida, senza spargimento di sangue e avvenuta in mezzo alla natura, in un luogo in cui era possibile osservare le montagne, il lago e il cielo dal punto in cui il soldato cadde – queste circostanze attribuiscono alla morte una sua bellezza particolare, bellezza che l’obiettivo estetizzante della macchina fotografica era perfettamente adatto ad immortalare. Tuttavia si potrebbe affermare che anche questa fotografia, anziché sovvertire la tendenza della stampa contemporanea a non rappresentare la morte in guerra, contribuisse in effetti a diffondere un’interpretazione distorta della brutalità della guerra civile in Spagna e della guerra in generale.>>

 

 

Fausto Gianfranceschi
Giornalista
Conta una sola realtà, quella spirituale
(cit. Talèma n. 16 primavera 1999)

Alla realtà vera (o verosimile) che ognuno sperimenta nel limitato raggio personale si è sempre sovrapposta, a livello generale, la realtà virtuale disegnata dai potenti e dai vincitori. La grande arte era al servizio dei Principi per glorificare le loro imprese e i loro regni. Poi è venuta la fotografia, e sembrò che finalmente si potesse disporre di immagini obiettive; invece la fotografia è manipolabile: la scena dell'assalto al Palazzo d'Inverno, riprodotta come tale migliaia di volte, è un falso clamoroso, nient'altro che una ricostruzione teatrale di qualche anno dopo.
Sono un falso anche il celebre miliziano colpito a morte di Capa, anche il gruppo di marines che innalzano la bandiera americana a Iwo-Jima strappata ai giapponesi, anche la bandiera rossa appena issata sul palazzo di Berlino in fiamme. Voglio dire che la futura realtà virtuale tecnologicamente diffusa (imposta) si scontrerà ancora una volta con la realtà spirituale dell'uomo, che è scelta di libertà e di autonomia, senza riuscire a sopprimerla. D'altronde ho l'impressione che la retorica sulla realtà virtuale prossima ventura sia fatta apposta per condizionarci, mentre il diavolo è sempre meno brutto di come lo si immagina.

 

COLIN JACOBSON, già "picture editor" dell'Indipendent, nel suo libro "UNDER EXPOSED" ha così parlato di Capa:

 << Robert Capa was undoubtedly one of the greatest war photographers ever, but Philip Knightley in his classic  book The First Casuality, first raised serious doubts about che photograph's authenticity. He investigated the circumstances surrounding the picture, pointing out that, if genuine, Capa would have placed himself in great danger and might well have been shot himself. >>

http://phillipknightley.com/2002/09/capas-greatest-creation-himself/

 

 THE FIRST CASUALTY
 By Philip Knightley

 Prion Books, London, 2000

 ISBN: 1853753769

 "This is the story of war reporting, of war correspondents, 
 and the legion of influences that can distort and obstruct efforts to
 report the truth… theirs is a story of a web of heroism and manipulation,
 censorship and espionage".

 

 TITLE: "The First Casualty"

 SUB TITLE: "The War Correspondent As Hero
                    and Myth-Maker from the Crimea to Kosovo"

 AUTHOR: Knightley Phillip -  INTRODUTION: Pilger John

 PUBLISHER:
The Johns Hopkins University Press
2715 North Charles Street
Baltimore, Maryland 21218-4363

http://evatt.labor.net.au/news/201.html

 FORMAT: Paperback, 592 pages - ISBN: 080186951X

 


TITLE:
"The Eye of War"

AUTHOR: Knightley Phillip

The book selects 200 of the most powerful war photographs to present a photographic history of war that spans 150 years. Also included are moving testaments from soldiers and other battle field witnesses. Documentary photographers have always been drawn to the battlefront and this book presents work from the best; from Matthew Brady to Robert Capa to Don McCullin and Larry Burrows.

2003, 9x11”, 150 color and 50 b/w images, 272 pgs, B504
$39.

www.jcrawfordsbooks.com

Phillip Knightley ha pubblicato anche un interessante articolo :

"Poche sezioni dell'industria dei Media provocano tali dilemmi morali ed etici come il foto-giornalismo".

 

Dalla lettura della sua pagina web si scopre che il fratello di Robert Capa, Cornell, avrebbe affermato:

<< I had never seen or heard from Bob details about that particular photograph or that particular sequence." This was puzzling. Capa had apparently told none of the people closest to him how he came to take the photograph that launched his career. But then John Hersey, American author and a former war correspondent, wrote saying that Robert Capa had told him the story of the "moment of death" photograph and that Hersey had used this account in a review of Capa’s autobiography, "Slightly Out of Focus" >>

Il fatto che Capa non abbia raccontato come fece la foto del miliziano nemmeno al fratello ed alle persone a lui più care, ci sembra quanto meno sospetto.

Nell'articolo viene citato anche l'articolo di Piero Berengo Gardin su "Fotografia Italiana".

Andando avanti nell'articolo, la vicenda diventa sempre più intricata e intrigante.

<< Capa had told Hersey that he had taken the million to one photograph in Andulusia in August 1936. Life had published it as "the moment of death" in July 1937, in an issue to mark the first anniversary of the war. Had it not been published somewhere in the meantime? Gallagher vaguely remembered seeing it in a French magazine some time in September 1936. A search in French libraries located it in "VU" magazine, at the Bibliotheque Arsenal.
And, a big surprise, there turned out to be not just one "moment of death" photograph, but two.
But seen together, the two photographs put an entirely different complexion on the question of whether either or both of them were staged. Philip Gaskell, formerly Librarian and a Fellow of Trinity College, Cambridge, writing in Journalism Studies Review of July, 1981, said, "Careful comparison of the two shows first that both were taken at precisely the same spot (proved by the pattern of long grasses in the foreground) and also that they were taken at the same time (indicated by the clouds, and by the lighting and shadows). >>

Ecco la giusta soluzione a tutto il problema...

<< There are two ways in which the issue could be resolved once and for all. Cornell Capa or Magnum could release the whole roll of film on which the two "moments of death" appear. We would then be able to see the sequence in which Capa took the shots, whether the posed photographs are part of this sequence and whether the "moment of death" was before or after the shot of the soldiers posing on top of the trench. To date Magnum has declined to do so. Or Life magazine could say what information it had that enabled it to so decisively caption the photograph "Robert Capa’s camera catches a Spanish soldier the instant he is dropped by a bullet through the head in front of Cordoba" and from whom that information came. Capa? His agent? No one? I wrote twice to Life asking these questions but to date I have had no reply. Suppose Capa did pose the photographs, sent them off to his agent with a caption similar to the one used in VU, never claimed that they represented the "moment of death", and was surprised when Life appeared with the caption that turned a nondescript photograph into a valuable and much admired image. (Tom Hopkinson, the renowned photojournalist, believed that this was probably the case.) Could he have lived with this lie ?  Easily, according to Christopher Ricks, Professor of English at Boston University and a Fellow of Baliol college, Oxford. In a review of Richard Whelan’s biography of Capa, Ricks writes, "This compelling photographer was a compulsive liar. A Pathe logical one . . . On almost every page [Whelan] has to tell you not to believe Capa. . . Capa invents, embroiders, co-opts. >>

La conclusione è degna di un dramma...

<<Ricks concludes, "It is terrible to think that Capa may have been corrupted by the devilish imposture advocated by Henry Luce [editorial director of Life] as ‘fakery in the allegiance to truth.’ ‘Capa arranged a whole attack scene: an imaginary fascist position was stormed...’ What was that about [truth being] ‘the first casualty’?">>

 

 

Per saperne di più sull'opera intellettuale di Ferdinando Scianna
basta leggere la recensione al suo libro fotografico "Le forme del caos"
firmata da MANUEL VÁZQUEZ MONTALBÁN
e intitolata:
"L'unico fallimento di Ferdinando Scianna"

Questa è una breve biografia di  Ferdinando Scianna 

Siciliano, di Bagheria, un grande paese della Conca d'Oro presso Palermo.
Comincia a fotografare a diciotto anni e giovanissimo pubblica, con un saggio di Leonardo Sciascia - al quale resterà legato da una lunga consuetudine di amicizia e collaborazione - un volume, Feste religiose in Sicilia, che gli vale immediata notorietà e il Premio Nadar del 1966. Svolge da allora attività di giornalista e fotografo, prima per L'Europeo, per il quale rimane nove anni a Parigi come corrispondente, poi come indipendente associato all'agenzia Magnum Photos. Lavora per le più importanti testate giornalistiche e le sue fotografie vengono esposte in prestigiose sedi internazionali. In seguito ha praticato, affiancandola all'altra sua di giornalista, un' attività di fotografo di moda, con immediato successo.
Dicono di lui: "C'è chi pretende di avere sempre l'ultima parola, ed è ciò che fa Scianna con l'ultima fotografia. Apre e chiude gli occhi e si sente uno scivolare di lamelle che inghiotte un pezzo di realtà ed ha ragione Leonardo Sciascia quando scrive di avere l'impressione che la realtà si organizzi esorcizzata dallo sguardo di questo fotografo. La realtà si organizza, ossia si mette in posa, e gli occhi di Scianna conoscono questa capacità di esorcismo. Mi guarda o mi telefona sempre tra un viaggio e l'altro, battute di caccia di fotomodelle nell'universo trasformato in scenario del mercato della moda, e le sue foto di moda sono inquietanti perché raggiungono la categoria di maschere di corpi a cui viene regalata la condizione di codici". Manuel Vazquez Montalban
"E' il suo fotografare, quasi una rapida, fulminea organizzazione della realtà, una catalizzazione della realtà oggettiva in realtà fotografica: quasi che tutto quello su cui il suo occhio si posa e il suo obiettivo si leva obbedisce proprio in quel momento, né prima né dopo, per istantaneo magnetismo, al suo sentimento, alla sua volontà e - in definitiva - al suo stile". Leonardo Sciascia
 

 


Il semiologo francese
Roland Barthes, nel saggio "Miti d'oggi"
 (
© 1974 e 1994 Giulio Einaudi Editore spa, Torino), alle pagine 102/104 afferma che:

<< La maggior parte delle fotografie-choc che ci sono state mostrate sono false
in quanto hanno scelto uno stadio intermedio tra il fatto letterale e il fatto maggiorato: 
troppo intenzionali per essere fotografia e troppo esatte per essere pittura,
perdono necessariamente, a un tempo, lo scandalo della lettera e la verità dell'arte:
si è voluto farne segni puri senza risolversi a dare almeno a questi segni l'ambiguità,
il ritardo di uno spessore.
Le fotografie-choc (il cui principio rimane molto lodevole) sono le fotografie di agenzia,
in cui il fatto ripreso esplode nella sua ostinazione, nella sua letteralità,
nell'evidenza stessa della sua ottusa natura. >>

 


Sempre Roland Barthes, nel saggio "L'ovvio e l'ottuso"
 (
© 1985 Giulio Einaudi Editore spa, Torino), alle pagine 17/21 afferma che:

"Il legame tra il significante e il significato, con un termine preciso la significazione,
resta, se non immotivato, almeno interamente storico.
Non si può dire allora che l'uomo moderno proietta nella lettura della fotografia
sentimenti e valori caratteriali o <<eterni>>, cioè infra- o trans- storici,
salvo precisare che la significazione viene sempre elaborata da una società
e da una storia determinate...
...La lettura della fotografia è sempre storica;
essa dipende dal <<sapere>> del lettore,
proprio come se si trattasse di una lingua, intellegibile solo a chi ne abbia appreso i segni...
...La connotazione derivata dal sapere è sempre una forza rassicurante;
l'uomo ama i segni e li ama chiari.
...Di una certa fotografia, possiamo dare una lettura di destra o una lettura di sinistra.
...Nessuna fotografia ha mai convinto o smentito nessuno (ma può <<confermare>>)...

...Le fotografie veramente traumatiche sono rare perché, in fotografia,
il trauma dipende totalmente dalla certezza che la scena abbia realmente avuto luogo:
bisognava che il fotografo fosse là (è la definizione mitica della denotazione).
...la fotografia-traumatica (incendi, naufragi, morti violente, colte <<dal vivo>>)
è quella su cui non vi è nulla da dire:
la foto-choc è, per la sua struttura, insignificante...
Si potrebbe immaginare una sorta di legge:
più il trauma è diretto, più la connotazione è difficile;
l'effetto 'mitologico' di una fotografia è inversamente proporzionale al suo effetto traumatico."

 

 

 

Un'altra fotografia di Capa che lascia perplessi circa la sua veridicità storica,
è quella in cui si vede una donna che, con il proprio cagnolino, attraversa di corsa una piazza.

 

 

La donna sembra sorridente ed il cane per nulla impaurito.

Le altre persone presenti sulla piazza sembrano immobili.
L'atmosfera è serena e tranquilla.
Nonostante tutto, la didascalia della stessa fotografia ci parla di una donna "in cerca di un rifugio durante un'incursione aerea su Barcellona, nel gennaio del 1939".
Nella didascalia ufficiale della Magnum si precisa inoltre che "la città resisterà ad un pesante bombardamento degli aerei fascisti mentre le truppe del Generale Franco si avvicineranno rapidamente ad essa".      

...Qualcosa non torna!

 

 

La storia di Endre Ernò Friedmann, giovane ebreo di sinistra con idee rivoluzionarie,
esiliato dall'Ungheria del dittatore Nicholas Horthy,
ideatore di un fantomatico Robert Capa per sfuggire alla politica antisemita voluta da Hitler in Europa...
marito dell'esule tedesca Gerda Pohorylles, ed amante di Ingrid Bergman,
morto per aver calpestato una mina anti-uomo...
è certamente ricca di romanticismo...
ma questi fatti biografici non dovrebbero influenzare l'espressione di giudizi di merito
relativi alle singole fotografie realizzate dall'autore.

 

 

 

Ecco l'ultima pagina della rivista "FOTOGRAFIA ITALIANA"
edita da "Il Diaframma" nel giugno del 1972

 


Robert Capa: Photographs

1 agosto - 12 settembre 1998

The Photographers' Gallery
5 & 8 Great Newport Street
London WC2H 7HY

Monday - Saturday 11.00 -18.00
Sunday 12.00 - 18.00

http://www.photonet.org.uk


Robert Capa was the archetypal photojournalist: courageous, hard-drinking, crusading and heroic. His life was a series of gambles, whether it be at the poker tables of blitzed London or the blood-sodden beaches of Normandy, the race-course at Longchamps or the devastated villages of Spain. A notorious womaniser, his good looks and easy charm enabled him to escape the very situations which they invariably led him into. And more than this, Capa made some of the most iconic photographs of our century, the photographs which have become the memories of those of us fortunate not to have been there.

Our man was born Endre Friedmann on 22 October 1913, in Budapest. With Hungary under the proto-fascist and anti-semitic dictatorship of Admiral Horthy, the young Jewish Friedmann contacted the local Communist Party recruiter and although both men soon realised their mutual disinterest, it was not before Friedmann was observed by the secret police. After being arrested, he was later freed on condition that he left the country. A political exile at seventeen, he was never again to have a real home.

Moving first to Berlin to study journalism, he got a job as a darkroom assistant and errand boy for the Degephot photo agency when his parents ran into financial difficulties. Simon Guttman, the owner of the agency, recognised his young worker's eye for a good picture and soon lent him a small Leica camera with which to cover simple assignments. It was just after his nineteenth birthday, in November 1932, that Friedmann was entrusted with an assignment forDer Welt Spiegel to photograph Trotsky, who was to address a rally in Copenhagen on the meaning of the Russian Revolution; to his delight, his photographs were given a full page. His good fortune was not to continue, however. The following year Adolf Hitler became Chancellor, and in the increasingly anti-semitic environment, Friedmann thought it prudent to leave. He became exiled once more.

 

   
A Russian Journal By John Steinbeck With Pictures by Robert Capa . Copyright 1948.
Pub. By the Viking Press in April 1948. 220 Pages.


It was as an emigrein Paris that Friedmann met three people who were to change his life: photographer and radical intellectual Henri Cartier-Bresson, a young Polish photographer David Szymin who was known as 'Chim', and Gerda Taro, a photographer and German refugee. All three were working with the Alliance photo agency, founded by another German exile Maria Eisner; it was Taro, with whom Friedmann (now Andre) had fallen in love, that got him work there. It was during this period that the foundation for the 'Capa' legend was laid. Taro and Friedmann thought that his pictures would command bigger fees if they were taken by a successful American photographer rather than an impoverished young emigre,so they simply invented one, Robert Capa. It is said that he was exposed only after Lucien Vogel, editor ofVu magazine, was offered 'Capa' photographs which he had witnessed being taken by Friedmann. And so Andre Friedmann made his name Robert Capa. However, it was in Spain, and not Paris, that he was really> to make his name.

The Spanish Civil War, the result of General Franco's insurrection on 17 July 1936, quickly became a symbol of the fight against the cloud of Fascism that was darkening all Europe. Capa received an assignment from VU and, with Taro, immediately left for the front. With his Leica, and more light-sensitive film, Capa was able to make photographs of war which possessed an immediacy that had not previously been seen. He later remarked: 'The refugees on the road are in the hands of fate, with their lives at stake.' As a refugee himself, separated from both the country, and name, of his birth he understood this only too well.

It was on 5 September 1936, on the front-line near the village of Cerro Muriano, that Capa was to take his most famous photograph -a Republican militiaman at the moment of death. The image was included in Vu later that month, weeks before Capa's twenty-third birthday. However, their has been much speculation over the authenticity of the photograph, particularly over recent decades. Questions were raised about Capa's position in relation to the soldier, why his camera was focussed at that point, and why there is no sign of a wound (the man is wearing a head-scarf, the knot of which is often assumed to be a bullet wound). To make matters worse, there are no contact sheets which record the sequence of events and even these negatives have been lost, including that of the famous photograph itself. Capa failed to dispel reservations during his lifetime, and his account contradicts others given by friends at the time.

It is only in the past few years that strong evidence has emerged to support the validity of the Capa's claims. Through the efforts of Richard Bano, a young Spanish historian, and Mario Brotons, himself a militiaman in 1936, the pictured man has been identified as Federico Borrell Garcia, a twenty-four year old man from Alcoy, near Alicante. Spanish government records have revealed that he was the only member of the Alcoy militia to have been killed at Cerro Muriano on that date. But if war can sometimes bring celebrity, it always brings tragedy. In July 1937, while covering the Republican offensive west of Madrid, the car in which Gerda Taro was travelling was hit by an out-of-control tank and she was crushed beneath its tracks. She died the next day; Capa was devastated. None of the many women which followed, and there were many, would have quite the same effect on him.

In 1938, Picture Post published eight of Capa's photographs from the Spanish Civil War and proclaimed him 'The Greatest War Photographer in the World'. And yet despite this, it was not until 1943 that he was sent to cover fighting in the Second World War. After postings in North Africa and Italy, where he met English photographer George Rodger, it was off the French coast on D-Day, 6 June 1944, that Capa made his most celebrated work of the period. With characteristic bravery, Capa went ashore with the first wave of American troops as they fought their way onto this bloodiest of Normandy beaches. There were more than 2000 casualties and Capa described how 'the bullets tore holes in the water around me'. More than one hundred photographs of the battle were taken, at great personal risk, before Capa returned by landing craft to the fleet offshore; of these only a handful survive. Life magazine, for whom he was working, first told Capa that the films had been damaged by sea water entering his cameras so when he heard the truth, that an over-eager darkroom assistant in London had attempted to hasten the films' drying and had melted the negatives, he was doubly furious. However it is a measure of his generous spirit, perhaps strengthened by memories of his own start in photography, that he told the editors that he would never work for Life again if they fired the assistant responsible for the accident.

Stories of Capa's compassion and charm are as plentiful as those outlining his bravery. Before his D-Day landing he moved into a suite at the Dorchester with the beautiful wife of an RAF pilot (he had been asked to leave the hotel a couple of years earlier, during the Blitz, when the management grew weary of the procession of young women that made their way to his room). There were celebrity parties - Hemingway fractured his skull while driving home from one during a blackout - and many pokergames, which were not to be disrupted, no matter how close the Luftwaffe's strikes. His gambling was certainly not going to make Capa rich, although for a man who regularly gambled his life this was a small matter - 'Je ne suis pas heureux', unlucky.

Many wished that their luck could be as bad as Capa's. Back in Paris after the Liberation, Capa and his friend, the writer Irwin Shaw, came across Ingrid Bergman in the lobby of the Ritz. They invited her to dinner and, to their surprise, she accepted. Within weeks Capa and Bergman were to begin a passionate affair that was to last two years. She returned to Hollywood, and to her husband, in 1946 to begin work on Alfred Hitchcock's Notorious and Capa promised to seek her out - his photograph of her on set is included in this exhibition. He stayed in Hollywood for several months writing a script based on his war memoirs, and although this film was never made, his presence on set is said to have inspired aspects of Hitchcock's masterpiece, Rear Window (although it is certain that in reality, Capa would have enjoyed the fashionable world which James Stewart's character so despised). Soon after he moved to New York and his relationship with Bergman ended amicably. Her daughter Isabella Rossellini later remarked to Bergman that it was incredible that she had such a lover.

While Capa made an enormous contribution to photography through his own pictures, some argue that his greatest single contribution was the establishing of Magnum Photos Inc. with three of his photographer friends, Cartier-Bresson, 'Chim' and Rodger. Having lost negatives of some of his most famous pictures, Capa was to make sure that this would not happen again. He developed the then radical concept that the photographer retain both the negative and the copyright of any photograph which they took, a policy of photographic rights which revolutionised the industry and which Magnum defends fiercely to this day.

Capa's extraordinary lifestyle continued, his photographs as likely to contain Matisse, Picasso or Bogart as they were immigrants or soldiers. He continued to work hard at Magnum, although in Capa's presence its name was as likely to be associated with bottles of Champagne as it was with guns or greatness. His passion for women and war continued, often simultaneously. During a sudden resumption in fighting during the establishment of the state of Israel, aerial flares lit up the sky, fully illuminating the hillside upon which Capa and a barely-uniformed young women were energetically making love. It could have been his last time. Days later, while covering fighting on the main beach of Tel Aviv, Capa felt a sharp pain between his legs. Although only a graze on his inner thigh, for one dreadful moment he thought he had lost his genitals; 'They got too close this time', he said and he promised never again to photograph war. It was a promise which tragically he failed to keep.

After spells in Europe and Japan and in need of money and perhaps a little excitement, Capa agreed to replace Life magazine's photographer and cover the French Indochina war for one month. The French colonists had suffered major losses to the communist Vietminh only days before Capa arrived in the country. He began work on a story about the military situation in the Red Riverdelta, where the activities of the Vietminh were increasing. On 25 May 1954, he accompanied a French mission to evacuate and raze two small forts between Namdinh and Thaibnh. Often under attack from snipers and shelling, the mission was also halted by a number of ambushes. During one such halt, Capa followed a platoon into a field beside the road in order to photograph them. He made two exposures. They were to be his last. Moments later he stepped on a landmine. His camera was clutched in one hand. Je ne suis pas heureux.


 "U.S. ARMY RANGERS & SPECIAL FORCES OF WORLD WAR II - THEIR WAR IN PHOTOGRAPHS" BY ROBERT TODD ROSS,
WITH MANY RARE, PREVIOUSLY UNPUBLISHED WAR-TIME PHOTOS BY LEGENDARY COMBAT PHOTOGRAPHER ROBERT CAPA, PRINTED IN 2002.
 

When his body was returned to the United States, it was suggested that he be buried in Arlington National Cemetery, although his mother strongly objected that he be laid to rest amongst military men. Instead, a small private burial was held in the Quaker cemetery at Amawalk, New York state. The service was attended by immediate family and a few members of Magnum; one of the wreaths was from a bartender in Hanoi whom Capa had taught how to mix the perfect Martini.

Jeremy Millar
Progamme Organiser
 


 Per presentare questa mostra il  "New Statesman" di Londra pubblica, il 31 luglio 1998, un articolo di Charles Darwent.
 

Image problem
Charles DarwentNew Statesman. London: Jul 31, 1998. Vol. 11, Iss. 515;  pg. 39, 1 pgs
Abstract (Article Summary)
Darwent discusses an article on a photograph: Robert Capa's "Death of a Loyalist Militiaman, taken near Cordoba during the Spanish civil war. An exhibition at London's Photographers' Gallery came to no conclusion as to whether Capa had faked the shot by ordering an entirely healthy Spanish soldier to play dead for the camera.

<< Robert Capa is the patron saint of photojournalism; but behind the cult, argues Charles Darwent, lies cliche and biographical myth-making

Readers of the Mail on Sunday's "Night & Day" section may have been bemused recently to find themselves faced with an entire article, 2,000 words long, on the subject of a single photograph: Robert Capa' s Death of a Loyalist Militiaman, taken near Cordoba during the Spanish civil war.

At issue was the hoary question of whether Capa co-founder of Magnum, patron saint of photojournalism and the subject of an exhibition ... >>
 


 


 

Heart of Spain: Robert Capa's Photographs of the Spanish Civil War

Photographs by Robert Capa
Introductory statements by
Esperanza Aguirre Gil de Biedma, José Guirao Cabrera, and Cornell Capa
Historical essays by
Juan P. Fusi Aizpúrua, Catherine Coleman, and Richard Whelan
From the collection of the Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía

11 1/2" x 9", 201 pages, 135 duotone images and 225 illustrations

Hardcover: $40.00
Paperback
$23.96

 

 

Jean Baudrillard

Parigi, 11/02/1999

"Il virtuale ha assorbito il reale"

<< I media si frappongono in maniera tale fra la realtà e il soggetto, che, mi pare, non ci sono più interpretazioni possibili in quanto l'informazione rende l'accadimento incomprensibile.

L'evento storico non si sa più cosa sia quando passa attraverso i media, in breve si ha una transustanziazione di questo tipo in tutto ciò che i media fanno, così che ne risulta quel che io chiamerei una simulazione, un simulacro, e perciò non esiste più né il vero né il falso: non si sa più quale sia il principio della verità. >>

 

 


Susan Sontag
, nel suo saggio "On Photography" tradotto "Sulla fotografia" da Einaudi nel 1978, afferma che

"Le conseguenze dalla menzogna sono necessariamente più importanti per la fotografia di quanto potrebbero mai esserlo per la pittura" perché "le fotografie avanzano pretese di veridicità che non potrebbe mai avanzare un quadro.

Un quadro falso (cioè un quadro con un'attribuzione sbagliata) falsifica la storia dell'arte.

Una fotografia falsa (cioè una foto ritoccata o manomessa, o accompagnata da una falsa didascalia) falsifica la realtà.

La storia della fotografia potrebbe essere letta come la storia della lotta tra due differenti imperativi:
- quello di abbellire, proveniente dalle belle arti,
- e quello di dire la verità, misurabile non solo in base a una nozione di verità prescindente da qualsiasi valore,
derivata dalle scienze, ma secondo un ideale moralistico, tratto da modelli letterari ottocenteschi e dalla professione (allora) nuova del giornalismo indipendente.

Come il romanziere post-romantico, il fotografo era tenuto a smascherare l'ipocrisia e a combattere l'ignoranza."

 

In "Regarding the Pain of Others" tradotto "Davanti al dolore degli altri" da Mondadori nel 2003, Susan Sontag propone le seguenti asserzioni, che sentiamo di condividere pienamente.

(pag. 9) << Per i militanti l'identità è tutto. E ogni fotografia attende d'essere spiegata o falsificata da una didascalia. >>

(pag. 47-48) << L'efficacia di "Morte di un miliziano repubblicano" sta nel mostrarci un momento reale, catturato fortuitamente; perderebbe ogni valore se dovessimo scoprire che il soldato sul punto di cadere ha recitato per l'obiettivo di Capa. >>

(pag. 50) << Catturare la morte nell'attimo stesso in cui sopraggiunge e imbalsamarla per sempre è qualcosa che solo le macchine fotografiche possono fare, e le immagini scattate sul campo che registrano il momento della morte (o quello immediatamente precedente) sono tra le foto di guerra più celebri e riprodotte. >>

(pag. 52) << Ancor più sconvolgente è l'opportunità di guardare chi sa di essere condannato a morte: si pensi alla collezione di seimila fotografie scattate tra il 1975 e il 1979 in una prigione segreta ubicata in un ex liceo di Tuol Sleng, un sobborgo di Phnom Penh, dove vennero sterminati più di quattordicimila cambogiani accusati di essere "intellettuali" o "controrivoluzionari" (la documentazione di questa atrocità ci è giunta per gentile concessione degli archivisti dei khmer rossi, che costrinsero ciascun prigioniero a posare per una fotografia poco prima di essere giustiziato).
Una raccolta di queste foto, pubblicata in un libro intitolato The Killing Fields (Campi di sterminio), ci offre la possibilità, a decenni di distanza, di fissare i volti che fissano l'obiettivo - e dunque noi.
Se dobbiamo prestare fede a quanto sostenuto da Capa a proposito della celebre fotografia che egli scattò a una certa distanza dal soggetto, il miliziano repubblicano spagnolo è appena morto: scorgiamo poco più che una figura sgranata, un corpo e una testa, un'energia che si allontana con uno scarto dalla macchina fotografica mentre il soldato cade.>>

(pag. 53) << Le vittime, i parenti afflitti, i consumatori di notizie - ognuno di essi ha una propria vicinanza o distanza dalla guerra. Le rappresentazioni più franche dei conflitti, e dei corpi feriti da un disastro, hanno per soggetto chi ci appare straniero, e perciò ha meno possibilità di essere conosciuto. Nel caso di soggetti che ci toccano più da vicino, ci aspettiamo una maggiore discrezione da parte del fotografo.>>

(pag. 66) << Quando fornisce istruzioni su come "figurare" una battaglia, Leonardo da Vinci esorta gli artisti ad avere il coraggio e l'immaginazione e necessari per mostrare la guerra in tutto il suo orrore... >>

(pag. 67) << Leonardo suggerisce che lo sguardo dell'artista deve essere, letteralmente, spietato. L'immagine dovrebbe atterrire, e in questa terribilità si nasconde una provocatoria bellezza. >>

(pag. 67) << Le fotografie tendono a trasformare, quale che sia il loro soggetto; e sotto forma di immagine una cosa può apparire bella - o terrificante, insopportabile o tollerabile - come non è nella vita reale. L'arte trasforma per definizione, ma le fotografie che documentano eventi disastrosi e deprecabili vengono aspramente criticate se appaiono "estetiche"; vale a dire, troppo simili all'arte. Il duplice potere che ha la fotografia - di produrre documenti e di creare opere d'arte - ha dato origine a una serie di affermazioni estremistiche su ciò che i fotografi dovrebbero o non dovrebbero fare. Negli ultimi tempi, la più diffusa è quella che contrappone questi suoi due poteri. Le fotografie che raffigurano la sofferenza non dovrebbero essere belle, così come le didascalie non dovrebbero essere moraleggianti. In quest'ottica, infatti, una bella fotografia sposta l'attenzione della gravità del soggetto rappresentato al medium in sé, compromettendo così il carattere documentario dell'immagine. Una fotografia del genere invia segnali contraddittori. "Fermate tutto ciò" ingiunge. Ma al tempo stesso esclama : "che spettacolo!" >> 
 


 

 

La  sesta edizione del Premio alle migliori tesi di laurea sul giornalismo

http://www.club.it/concorsi/risultati/altriconcorsi/ris.tesilaureagiornalismo.html

2) Storia del giornalismo occidentale.
Vincitore (2.500 euro):
  • Marta Pasuch, Università degli Studi di Trieste (Facoltà di Scienze della Formazione). Tesi: "La retorica della fotografia giornalistica tra allegoria, simbolo, mito. Iraq 2003 nelle foto di El Pais, Corriere della Sera e Le Monde". Relatore: prof. Luciano de Giusti.

Cliccare qui per la versione in PDF

 

 

 

Sulla foto "Il miliziano colpito a morte" è stato più volte detto e scritto che,

vera o falsa che sia
comunque non cambierebbe il suo significato né il suo potere concettuale.

Accettare questa affermazione per vera, è come voler confondere il documentario con la fiction che, anche qualora presentassero i medesimi soggetti, manterrebbero comunque distinte e separate le proprie finalità, salvo che non si voglia ingannare l'ignaro spettatore. 

Se infatti il "falso"  venisse spacciato ed accettato come "vero", noi avremmo perso quella cognizione del  "distinguo" che è uno dei valori principi caratterizzanti la specie umana. 

 

 


Il 12 gennaio 2003 si è concluso il tour italiano della mostra antologica "Robert Capa / Fotografie".

Realizzata da Aperture Foundation di New York ed itinerata in esclusiva per l'Italia dalla Fratelli Alinari di Firenze, la mostra è stata presentata nelle città di Roma, Firenze, Trieste, Cagliari e Siena.

La mostra è stata ospitata dall' International Center of Photography di New York nel 1998.

 

 


Vivere le Immagini. Robert Capa

Una vita da reporter, fermata da attimi di guerra.
I volti Della Storia.
Esposizione a Milano, Arengario del palazzo Reale

piazza Duomo 12 -  Milano

8 maggio - 8 settembre 2002


Orario: 10.00-20.00, giovedì 10.00-23.00 (lunedì chiuso), la biglietteria chiude mezz'ora prima
Ingresso: Euro 6.50 (intero); Euro 4.50 (ridotto)
Informazioni e prenotazioni: tel. 02 54 917 - http://www.ticket.it/Capa/

Organizzazione: Contrasto, www.contrasto.it

In occasione della mostra, "Robert Capa I volti della storia", esposta a Milano a Palazzo dell'Arengario, Contrasto pubblica per la prima volta in Europa, Slightly out of focus - Leggermente fuori fuoco - il diario-romanzo di Capa sulla sua partecipazione come fotoreporter alla Seconda Guerra Mondiale.

Cliccare sull'immagine per leggere la scheda del libro

 

 

 

 

Per conoscere meglio l'Agenzia Magnum, consigliamo un libro scritto da Russell Miller
 

 

http://www.nikonclubitalia.com/news/e-cambiata-la-storia-della-fotografia-di-reportage.htm

 

© Testo di  Luca Pagni e Lucio Valerio Pini
 Roma 1 Gennaio 200
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