"UNA GUERRA FOTOGENICA"

Fotogiornalismo e guerra civile in Spagna

 


Caroline Brothers


Grazie all’obiettivo della macchina fotografica, la guerra civile combattuta in Spagna dal 1936 al 1939 ha lasciato, come nessun’altra in passato, un marchio indelebile nelle coscienze moderne. Banco di prova delle nuove tecnologie belliche, la Spagna divenne anche la culla di un nuovo tipo di fotogiornalismo che, con l’evoluzione della tecnologia fotografica, permise ai fotografi di rispondere con prontezza ed estrema efficacia alle nuove realtà della guerra. Un’evoluzione che coincise con mutamenti radicali nella struttura dei media, con un enorme aumento delle pubblicazioni rivolte ad un pubblico di massa avido di immagini fotografiche sia in Europa che negli Stati Uniti. La guerra civile spagnola, per la sua natura, richiedeva nuove forme di rappresentazione e strumenti più avanzati; lo straordinario impegno dei suoi numerosi fotografi indusse molti di loro a raccogliere la sfida. Ispirati da quella che un osservatore definì "la guerra più fotogenica mai vista" (1), i fotografi della guerra civile crearono una raccolta di immagini che rappresenta a tutt’oggi gran parte della memoria visiva del conflitto ed un’opera che costituisce da allora un riferimento obbligato per tutti i fotografi impegnati in altre guerre.
I fotografi della stampa straniera, che avevano letteralmente invaso la Spagna dopo il golpe dei generali del 17 luglio 1936, lavorarono con una passione tale da contribuire alla nascita di una nuova estetica della fotografia impegnata; una forma di fotografia che, per ragioni tanto tecnologiche quanto ideologiche e logistiche, non aveva caratterizzato la guerra del 1914-18. Analogamente, i loro colleghi spagnoli, che ancora riuscivano a lavorare nonostante i pericoli incombenti e la scarsità degli approvvigionamenti, produssero immagini dall’inquietante impatto emotivo. L’introduzione di macchine fotografiche più piccole e portatili, come Ermanox, Rolleiflex e Leica, che garantivano maggiore mobilità e discrezione rispetto al passato, la realizzazione di obiettivi compatti caratterizzati da una maggiore luminosità e pellicole più sensibili che non richiedevano l’uso del flash conferirono alle fotografie scattate in Spagna maggiore spontaneità e un carattere più personale rispetto a quelle del passato. I fotografi lavoravano in condizioni ben diverse da quelle dei loro predecessori durante la guerra di Crimea (1854-56), costretti a muoversi sui campi di battaglia con le camere oscure trainate da cavalli, o da quelli impegnati durante la prima guerra mondiale, che armeggiavano nelle trincee con lastre di vetro, emulsioni lente e mirini azionati dall’altezza della cintura. Ma niente di tutto ciò avrebbe veramente lasciato il segno se anche la stampa non avesse subìto una profonda evoluzione. I progressi dell’editoria giornalistica, non escluse le tecniche di stampa che resero possibile una più vasta diffusione di pubblicazioni come "Life", "Picture Post", "Match", "Regards" e "Vu", portarono ad una diffusione senza precedenti il lavoro dei fotografi della guerra civile, facendo del conflitto spagnolo il primo prodotto fotografico per l’informazione di massa. La guerra di Spagna fu inoltre la prima ad essere documentata liberamente, con una copertura incoraggiata, almeno in termini generali, dalla mancanza di censura o di controlli da parte delle autorità.
Una delle caratteristiche più evidenti del nuovo fotogiornalismo nato in Spagna fu una sorta di "estetica dell’immagine ravvicinata", che metteva in risalto, come mai in passato, l’impatto del conflitto sulla vita delle persone comuni. Il primo piano veniva spesso utilizzato per risvegliare sentimenti di identificazione e di solidarietà, per colpire o per commuovere il pubblico. Allo stesso tempo, tuttavia, prendeva forma un movimento parallelo che spostava la prospettiva su un piano più lontano, riportando la rappresentazione della guerra verso forme più astratte. Questo nuovo punto di osservazione derivava principalmente dal diffondersi dei bombardamenti aerei come nuova arma di distruzione diretta indistintamente contro civili e combattenti, un’arma che in Spagna raggiunse quasi livelli di perfezione. L’astrazione spersonalizzata delle incursioni aeree, e la loro rappresentazione fotografica, viene a tutt’oggi utilizzata nelle immagini televisive relative all’intervento NATO su Belgrado e prima ancora alla supertecnologia dei bombardamenti alleati in Iraq.
Come appariva la guerra civile spagnola agli occhi dei fotografi che si avventuravano nei punti caldi di una crisi che sembrava incarnare con tanta drammaticità i conflitti ideologici dilaganti in tutta Europa? Con attrezzature più avanzate a loro disposizione, con una libertà mai concessa a nessun altro fotografo di guerra prima o dopo di allora (2), con la natura mutevole tipica di una guerra meccanizzata che scorreva sotto i loro occhi, come riuscivano a trasmettere attraverso il freddo occhio meccanico della macchina fotografica le passioni della guerra al loro pubblico e, più tardi, a noi? In che modo la guerra ha dato forma alle loro immagini e in che maniera quelle immagini hanno a loro volta plasmato la nostra memoria del conflitto? Prima di tentare di dare una risposta a queste domande, è opportuno precisare che ogni singola immagine divenuta di dominio pubblico era il risultato di un processo di selezione a più fasi e che il messaggio che le fotografie volevano trasmettere era filtrato dal contesto istituzionale del luogo in cui venivano pubblicate. Quando la Spagna si divise in due fazioni principali e i paesi europei si schierarono a fianco dell’una o dell’altra, i fotografi, le loro immagini e i media che le utilizzavano furono trascinati in una lotta propagandistica il cui inizio coincise praticamente con lo scoppio delle ostilità. Le fotografie spedite ai giornali venivano quindi impiegate in una guerra meno sanguinosa, ma certamente non meno amara e, in questo processo, le fotografie, in teoria la forma d’arte più obiettiva, perdevano qualsiasi traccia d’imparzialità, nonostante i media insistessero nel ribadire il contrario. Con il proseguire del conflitto, le fotografie che ne ritraevano le varie sfaccettature, al servizio delle due fazioni in lotta, cessarono di essere una testimonianza diretta e si trasformarono in armi per una battaglia intellettuale ed emotiva che si combatteva spesso ben oltre il confine spagnolo.
Questo saggio fa riferimento principalmente alle fotografie apparse sulla stampa straniera, soprattutto in Gran Bretagna, in Francia e nelle vicine democrazie che vedevano i propri conflitti farsi realtà negli avvenimenti in Spagna. La stampa illustrata spagnola, sebbene avesse incoraggiato notevolmente la sperimentazione negli anni precedenti la guerra civile, fu sottoposta a cambiamenti radicali durante il conflitto, per poi scomparire definitivamente quando la crisi si aggravò. La scarsa disponibilità di carta da stampa e l’inadeguatezza della carta di produzione sovietica costrinsero i fotografi spagnoli schierati dalla parte dei repubblicani a rispolverare le vecchie macchine fotografiche a lastre o, in alcuni casi, addirittura a ricorrere ai negativi in vetro. Quelli schierati con i ribelli ebbero maggiore fortuna, grazie alla collaborazione tedesca che assicurava almeno qualche fornitura di materiale fotografico. Tuttavia, anche costoro dovettero tornare alle macchine fotografiche di grandi dimensioni, secondo lo studioso spagnolo di storia della fotografia Publio Lopez Mondéjar. Il fotografo americano di origine ungherese Robert Capa (1913-1954), che nel corso del conflitto vendette le sue fotografie a "Vu", "Picture Post", "Match", "Paris-Soir" e ad altri giornali, riuscì a garantirsi le forniture necessarie da Parigi (3).
La stampa straniera rappresenta quindi sia un contesto istituzionale più stabile, sia una fonte di immagini più attendibili. Sebbene vi siano state omissioni, ad esempio in merito alla portata delle atrocità e degli stermini commessi, che lasceranno per sempre una lacuna nella memoria collettiva della guerra, la relativa mancanza di censura e la qualità delle fotografie stesse portarono alla creazione di una raccolta di lavori che rappresentano da allora un metro di misura e una sfida per i mezzi di comunicazione visiva. Non fu a caso se il critico televisivo del "New Yorker", per citarne uno, valutò i risultati ottenuti dai fotografi in Vietnam sulla base degli standard di riferimento di fotografi quali Capa nella guerra civile spagnola e nel periodo successivo (4). 


Il terrore dal cielo
e la nuova rappresentazione visiva

La guerra civile spagnola è considerata da molti un laboratorio per le nuove tecniche di combattimento utilizzate successivamente nella seconda guerra mondiale; in parallelo l’evoluzione della scienza bellica portò con sé anche nuovi modi di osservare e ricordare la realtà. L’aspetto più allarmante di questo fervore di sperimentazione era il massiccio uso delle incursioni aeree, la nuova tecnologia del terrore che stava completamente stravolgendo la percezione umana della guerra, sui villaggi e sulle città spagnole. Utilizzati per la prima volta durante la prima guerra mondiale, i raid aerei affascinarono la stampa straniera quando si ripresentarono in modo devastante in Spagna, culminando con il tristemente noto bombardamento dell’antica capitale basca di Guernica da parte della Legione nazista Condor nell’aprile del 1937. Sin dallo scoppio della guerra, l’obiettivo della macchina fotografica fu puntualmente utilizzato per cogliere tutti gli aspetti e le reazioni umane che le incursioni aeree provocavano. In Gran Bretagna e in Francia apparvero innumerevoli immagini che ritraevano i preparativi per i bombardamenti, gli aerei impegnati nelle battaglie aeree, le macerie lasciate dai disastri aerei e addirittura gli inglesi intenti a dipingere il simbolo neutrale della bandiera nazionale britannica sul tetto dell’ambasciata di Madrid. I francesi andarono oltre, identificando gli aerei fotografati di fabbricazione russa o italiana, illustrandone le fasi di assemblaggio, mimetizzazione o atterraggio e dipingendo i piloti come eroi moderni. Il bombardiere entrava così inevitabilmente nell’immaginario collettivo come un aspetto quotidiano della guerra moderna. Allo stesso tempo, il connubio aereo-macchina fotografica, adottato per la prima volta nella prima guerra mondiale, ma utilizzato a quel tempo per azioni di ricognizione piuttosto che per la pubblicazione delle fotografie scattate, produsse nuove forme di percezione della realtà (la ripresa aerea dal finestrino dell’aeroplano, quasi un punto di vista divino sul mondo) che dal Medioevo fino a quel momento erano state solo immaginate (5).
Le incursioni aeree, che portavano violentemente la distruzione della guerra in zone popolate da civili lontane dal fronte e quindi un tempo al sicuro, produssero come conseguenza l’affiorare di un senso di vulnerabilità e impotenza tra le truppe di terra e tra le persone comuni. La stessa città di Madrid era talmente impreparata di fronte alle nuove tecnologie da essere totalmente priva di difesa antiaerea e si ritrovò così ad utilizzare proiettori cinematografici per illuminare il cielo durante la notte (6). Inoltre, il raid aereo cambiò radicalmente la percezione dell’ambiente circostante durante la guerra. Nel corso del conflitto spagnolo, la fotografia aerea diventò ben presto parte integrante del linguaggio visivo della guerra. La sua artificiosità, il suo "ordine razionalmente strutturato", l’eliminazione degli aspetti sensoriali più sconvolgenti della guerra, il senso di onniscienza che conferiva all’osservatore e, soprattutto, la mancanza assoluta di empatia nell’immortalare gli eventi più devastanti della guerra come pura astrazione: tutte queste caratteristiche della fotografia aerea divennero una realtà normale sulle pagine dei giornali. Non solo divennero accettabili, ma addirittura aspetti intrinseci della rappresentazione quotidiana della guerra moderna. Non si trattava solo della negazione dei valori della vita, dell’individualità, della privacy e della sicurezza da parte della tecnologia bellica, come commentò Paul Fussell riferendosi alle fotografie di ricognizione della prima guerra mondiale (7), ma piuttosto del fatto che, a causa della distanza, le immagini non registravano più questi aspetti puramente umani, che finirono in tal modo per essere del tutto dimenticati sia dalle fotografie militari che da quelle propagandistiche (8).
Lo sguardo distaccato e impersonale della fotografia aerea fu chiaramente illustrato da un servizio pubblicato alla fine del 1936 su un giornale francese schierato con i ribelli. "L’Illustration" (9) pubblicò un’inquadratura low oblique (semipanoramica) anziché una high vertical (prospettiva verticale), per utilizzare la terminologia di Edward Steichen (10), fotografo autore di varie riprese aeree durante la prima guerra mondiale; questa fotografia venne scattata da una posizione al di sopra dei tetti di una città impossibile da identificare, con colonne di fumo che si alzavano verso il cielo da diversi punti. L’immagine lievemente sfuocata dimostra l’autenticità delle vibrazioni del motore, mentre le colonne sempre più alte di fumo oscurano tutti gli edifici sulla destra della fotografia. Sebbene l’aeroplano volasse a bassa quota, tanto da poter distinguere chiaramente alberi, strade ed edifici, nella pellicola non c’è alcuna traccia di esseri viventi. La fotografia aerea non era in grado di mostrare il disastro su un piano umano e il titolo, infatti, rispecchia questa fredda realtà: Bombardamento aereo di un sobborgo a sud-ovest della capitale. La dimensione umana di una guerra che cercava deliberatamente di colpire gli insediamenti civili veniva irreparabilmente sacrificata per esaltare la magia tecnologica della macchina fotografica e dell’aereo.
In Gran Bretagna, "Illustrated London News" perfezionò le possibilità di astrazione offerte dalla nuova forma di rappresentazione visiva (11). Il 31 ottobre 1936 pubblicò una serie di quattro fotografie: ognuna di esse ritraeva un’immagine stretta, disposta orizzontalmente su due pagine con i nomi degli edifici più importanti della città indicati in caratteri piuttosto piccoli, come se si trattasse di una guida turistica. La città stessa viene considerata come un normale riferimento logistico piuttosto che come una complessa struttura che accoglie esseri umani; non si avverte la sensazione che contrassegnare determinate località equivalga quasi a identificare gli obiettivi del pilota. Lasciandosi trascinare dalla novità delle fotografie, il redattore ha adottato la prospettiva, i sistemi di riferimento e l’atteggiamento mentale del pilota; il titolo dell’immagine invita il lettore ad osservare con gli stessi occhi la realtà, riducendo una città pulsante di vita ad un oggetto inanimato: Nella morsa di Franco: Madrid, principale obiettivo dell’avanzata ribelle. L’identificazione di punti di riferimento incoraggia questo tipo di visione, trasformando la fotografia in un’astrazione diagrammatica dove non c’è spazio per le reazioni umane di terrore, dolore e angoscia. Questa visione selettiva venne riproposta quindici giorni dopo in una fotografia della capitale che occupava due intere pagine (12). Panoramica di Madrid da sud-ovest, indica il titolo. "Veduta panoramica di una città che ha rappresentato un obiettivo militare particolarmente difficile, con i suoi edifici che si ergono su diverse file formando uno straordinario bastione". Il fatto che tali edifici potessero essere considerati ostacoli per i bombardamenti piuttosto che abitazioni di esseri umani indica una mentalità alterata in modo sottile, ma profondo, dai sofisticati meccanismi della guerra, un mutamento chiaramente influenzato da una visione distaccata e oggettivizzante dalla cabina di un aereo. Visti dall’alto, i palazzi non sono altro che "file di bastioni".
Alcune pubblicazioni tentarono di resistere al fascino abbagliante di questo triplice connubio tecnologico tra occhio fotografico, aereo e bombe, descrivendo tali fotografie in articoli scritti dal punto di vista degli abitanti della città. Il settimanale francese "Vu", ad esempio, pubblicò una serie di tre fotografie scattate dall’agenzia Keystone che, come in un cinegiornale, rappresentavano in successione le varie fasi di un bombardamento aereo in corso (13). La prima raffigurava il confine tra la città e la campagna, un mosaico di campi che contornava una città oscurata dal fumo dello scoppio di una bomba. L’imperfezione tecnica, a causa della quale si intravedeva l’ala dell’aereo annerita alla destra dell’immagine, le conferiva autenticità, proprio come nell’immagine leggermente sfuocata de "L’Illustration". La seconda fotografia fu scattata direttamente sopra la città, con una linea curva di edifici che delimitavano il confine tra area urbana e zona rurale, mentre il fumo offuscava la veduta dei danni provocati a terra. L’ultima fotografia, scattata qualche secondo dopo, mostrava l’aereo prendere quota dopo la quarta esplosione. Una strada curva divide la città in due, mentre l’assenza di edifici pubblici visibili fa subito pensare ad un quartiere residenziale bombardato solo per spargere terrore. Per il titolo, "Vu" scelse il punto di vista degli abitanti a terra:

Accerchiando Madrid, gli uomini del Generale Franco conquisteranno la capitale quartiere per quartiere, strada per strada, mentre le milizie governative si sacrificheranno in una battaglia eroica e tragica al tempo stesso. Sganciati da aerei nazionalisti, bombe e siluri hanno causato ingenti danni in varie zone dove, tra strade e case in fiamme, sono stati raccolti centinaia di morti e di feriti.

La necessità di ricorrere al mezzo testuale per evocare la sofferenza umana trascurata dalla visione spassionata e onnisciente della fotografia aerea ci indica quale fosse il potenziale della nuova forma di rappresentazione visiva. La sua capacità di rappresentare in modo accettabile, innocuo e addirittura affascinante l’uccidere senza mostrare la morte, il distruggere senza mostrare i danni, costituiva una nuova evoluzione nella rappresentazione della guerra il cui potenziale iniziava appena ad essere riconosciuto sia dalla stampa illustrata che dagli interessi che questa serviva.
Molte pubblicazioni affiancarono queste immagini di distruzione quasi asettiche a fotografie che documentavano le reazioni dei civili a terra (creando incidentalmente un nuovo sottogenere nella storia della fotografia di guerra). Quasi tutte pubblicarono fotografie che registravano con macabra precisione i momenti di terrore: gli abitanti in preda al panico al suono delle sirene che annunciavano le incursioni aeree spezzando violentemente i rituali delle attività quotidiane, oppure, più tardi, mentre rovistavano tra le macerie delle loro case. I bombardamenti spinsero l’occhio delle macchina fotografica anche sottoterra, con immagini che affioravano dalla fredda oscurità dei tunnel ferroviari dove le famiglie cercavano riparo. Capa pubblicò immagini memorabili in cui tentò di valutare almeno in parte il costo delle vite umane sacrificate alla nuova tecnologia e le sue sono tra le migliori fotografie che, ancora oggi, segnano la nostra memoria visiva della guerra. Tuttavia, i messaggi contenuti in quelle fragili testimonianze di carta non riuscirono, se non con grande fatica, a contrastare l’impatto prodotto dalle possenti macchine da guerra che trovavano la loro nuova e più efficace espressione nelle fotografie aeree.


L’eroe-soldato in primo piano

Le fotografie scattate dai fotografi della guerra civile spagnola furono pesantemente strumentalizzate dalle campagne propagandistiche orchestrate da entrambe le parti. Le immagini dei combattenti venivano selezionate o deliberatamente costruite per creare testimonianze di una battaglia eroica combattuta per una giusta causa. Imbracciando le armi in una guerra in seguito definita "l’ultima guerra romantica del secolo", i soldati del fronte repubblicano giuravano di difendere la democrazia da oligarchie consolidate e reazionarie che si erano sollevate per attaccarla, mentre per i ribelli di Franco la rivolta fu battezzata tardivamente come una guerra santa per salvare la Spagna dal comunismo. I fotografi non tardarono a fare loro e ad arricchire di nuovi risvolti queste storie e le immagini con le quali le hanno raccontate hanno reso immortali questi miti della guerra civile.
Molto del potere di queste fotografie deriva soprattutto dalla nuova forma estetica dell’immagine ravvicinata che proprio in Spagna aveva fatto la sua comparsa, grazie a fotografi come il catalano Agustí Centelles, il collega di Capa David Seymour ("Chim") e lo stesso e più famoso Capa. Molte pubblicazioni, specialmente quelle di sinistra, testimoniavano il loro impegno politico con piani espressivi, ben studiati, che trasmettevano un senso di familiarità e spingevano l’osservatore ad identificarvisi, coinvolgendolo in un rapporto ancora più intimo con la causa. Inizialmente, molte fotografie rispettavano questo modello. Lo scoppio delle ostilità fu spesso segnato da fotografie di barricate (uno dei simboli più pregnanti della guerra civile) che sorgevano nelle città più importanti della Spagna; alcune delle foto più commoventi di quei primi tempi ritraevano giovani attraenti circondati da una folla armata di fucili che sapeva a malapena come tenere in mano. I primi piani venivano abbondantemente impiegati per enfatizzare l’impegno e il coraggio di coloro che si univano alla lotta, tralasciando ogni riferimento alle terribili controversie che si sarebbero in seguito diffuse all’interno della sinistra e alle atrocità commesse contro la Chiesa all’inizio (14) del conflitto.
La fotografia pubblicata sul "Daily Herald" il 29 luglio (15) ne è un esempio. Ingrandita fino ad occupare metà della pagina del quotidiano, in essa volti e figure lottano per non essere soffocati dal fotogramma che li delimita. Un operaio che non dimostra più di vent’anni tiene il fucile appoggiato su una trave sbozzata (la presenza della barricata viene resa con una metonimia). Ha le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti, mentre la fascia bianca attorno alle tempie fa pensare alla benda di una ferita della quale stoicamente non si cura. Fotografato di profilo, con gli occhi nascosti nell’ombra, la fronte corrugata dall’apprensione, la sua vulnerabilità rende la fotografia ancor più commovente. Al centro della foto si trova un secondo operaio che solleva il pugno chiuso nel saluto repubblicano, con un atteggiamento provocatorio sottolineato da una sigaretta che gli pende dalle labbra. Sulla destra, un giovane, forse un soldato, con un berretto militare con visiera e un’uniforme, guarda direttamente l’obiettivo ed anche dai suoi occhi traspare l’ansia; se mai porta con sé un’arma, è tenuta ben nascosta. Sull’estrema sinistra si vede un quarto uomo che si lancia nella mischia, con parte del volto fuori dal fotogramma; il suo vestito e la cravatta introducono un insolito tocco di rispettabilità. Dietro di lui, altri uomini si sporgono dalle finestre del primo piano, si fanno strada verso la macchina fotografica o si alzano sulle punte dei piedi, come il viso maschile squadrato seminascosto dalla trave, quasi fosse sollevato da terra nella confusione.
La composizione dell’immagine – operai, soldati, uomini d’affari e normali cittadini uniti dalla solidarietà dietro la fragile protezione della barricata – fa pensare alla solida base di un movimento d’ispirazione apertamente popolare e tutti gli elementi visivi e testuali contribuiscono a rafforzare questa sensazione. Il titolo della pagina, La lotta della Spagna per la vita, arricchisce di tensione emotiva il forte impatto della fotografia, investendola del fervore di un movimento democratico ancora giovane, ma forte di un ampio sostegno, che combatte per la sopravvivenza. La provenienza della fotografia (giunta "a Londra la notte scorsa per via aerea") conferisce verità e urgenza al primo piano. Allo stesso tempo, il titolo esprime la gravità del conflitto: "Risoluti e determinati, i volontari e le truppe fedeli al governo prendono posto lungo le barricate sulla strada che porta a Madrid, pronti ad eseguire gli ordini a costo della propria vita [...]". Tuttavia, a differenza della stampa francese, che celebrava l’entusiasmo spontaneo dell’insurrezione popolare con le immagini e con i testi, in Gran Bretagna i titolisti finirono per attenuare lo slancio popolare del movimento, lasciando intendere la presenza di organizzazione e controllo dove non esistevano, nel descrivere "i volontari e le truppe fedeli al governo" che popolavano le barricate ed eseguivano scrupolosamente gli ordini. Questo impulso, retaggio della paura che ha sempre caratterizzato la risposta britannica alle insurrezioni del continente sin dalla Rivoluzione francese, potrebbe analogamente derivare dal desiderio di smorzare l’eco della rivoluzione sulle coste inglesi.
Accanto alla professione di legittimità popolare e idealismo di cui era imbevuta la causa repubblicana, la stampa simpatizzante ne sottolineava anche i valori civilizzatori, forse per contrastare le affermazioni dei ribelli sui comunisti rabbiosi che bruciavano le chiese invadendo la penisola. Per questo venivano spesso diffuse immagini di militari sommersi da grossi volumi consegnati loro dalle biblioteche ambulanti repubblicane (I soldati chiedono libri con lo stesso fervore con cui chiedono proiettili (16)) e di altri che proteggevano le opere d’arte durante le requisizioni delle case aristocratiche, come mostra David Seymour in una serie di immagini. Altre fotografie si focalizzavano sulla disciplina, sul coraggio e sull’altruismo dei combattenti. Ma, forse, nessuna immagine arrivò ad esprimere le qualità di un vero eroe di guerra, né quella che in seguito sarebbe divenuta una delle leggende più longeve della guerra, in maniera tanto efficace come le fotografie del "Picture Post" sulla partenza delle Brigate Internazionali: volontari provenienti da tutta Europa e anche da luoghi più lontani, come l’Australia e la Nuova Zelanda, che erano accorsi in Spagna per combattere in nome della causa.
Due anni dopo la loro nascita e dopo aver svolto un ruolo cruciale nelle battaglie di Madrid, Jarama, Brunete, dell’Ebro e altre, il primo ministro spagnolo Juan Negrín chiese alle Brigate di lasciare la Spagna, nella vana speranza di un contemporaneo ritiro delle truppe militari tedesche e italiane (17). In occasione di una cerimonia d’addio tenutasi a Barcellona il 29 ottobre 1938, fu Capa che, sulla pagine del "Picture Post", riuscì, meglio di ogni altro, a catturare l’emozione della loro partenza e contribuì ad assicurare loro il titolo di eroi nella memoria collettiva straniera da quel momento in poi (18). I primi piani, che divennero il tratto distintivo delle opere di Capa sia in Spagna che nella produzione successiva, si dimostrarono molto utili al suo scopo. In una serie di fotografie scattate in un battaglione, una focalizza l’attenzione su un singolo membro delle brigate circondato dai compagni; i suoi occhi traboccano di emozione mentre canta l’inno nazionale spagnolo, perfettamente consapevole del fatto che l’impresa a cui partecipava come volontario non era ancora terminata. I particolari umani tangibili della fotografia esprimono forte intensità: la fascia arrotolata delle Brigate, sgualcita, annodata lenta intorno al collo; le maniche scomodamente abbottonate per l’occasione e la tasca sformata dall’uso fino a rimanere aperta; i segni attorno gli occhi e lo sforzo compiuto per radersi in occasione di questo giorno di tristezza e orgoglio. Egli solleva per l’ultima volta il pugno chiuso nel saluto repubblicano prima di rompere le righe, mentre il giornale piegato sotto il braccio sinistro già parla del suo ritorno alla vita civile. Gli uomini delle Brigate, con lo guardo puntato al di sopra della testa del fotografo, probabilmente su Negrín o sull’oratrice, la Pasionaria, che si rivolge alla folla con parole commoventi, venivano già idealizzati nelle parole quasi poetiche scelte dal giornale: "Sono venuti da ogni angolo del mondo e in tutto il mondo ora faranno ritorno", mentre il resto dell’articolo, pur sottolineando la partecipazione britannica, continua a celebrare il tema dell’eroe altruista:

Questi uomini [...] divennero famosi in Spagna per il loro scaltro e risoluto coraggio e per la loro abilità nel combattimento: soprattutto per la capacità di resistere con tenacia in qualsiasi situazione [...] In un’occasione, resistettero novanta giorni nelle trincee [...] Hanno dimostrato [...] che gli uomini di queste isole non hanno dimenticato come affrontare circostanze avverse e gravi perdite combattendo per quella che sentono essere la causa della democrazia e della libertà.

Altruismo, coraggio, disciplina, stoicismo, idealismo: le virtù esemplari del soldato ideale sono state catturate da questi commoventi primi piani scattati il giorno in cui le Brigate Internazionali sono state congedate e affidate alla leggenda.
Le prime fotografie delle truppe ribelli non erano molto diverse, nella sostanza, da quelle dei militari repubblicani, sebbene i primi piani fossero più rari. Anche i soldati nazionalisti vennero ritratti come eroi, altruisti, stoici e coraggiosi sin dall’inizio di quella rivolta, che i loro leader avevano concepito come un rapido colpo di stato organizzato per insediare una giunta militare e quindi senza bisogno di trovare altra giustificazione se non la difesa patriottica della Spagna contro il comunismo. Sebbene alcune immagini ritraggano il generale Franco mentre fa appello ai suoi sostenitori affinché "abbiano fiducia nell’esito della crociata" sin dal 25 luglio (19), fu solo ad ottobre, quando il conflitto degenerò in una guerra di logoramento, che le fotografie pubblicate cominciarono a contribuire alla formazione di un ideale di guerra santa. Fu questo la parola d’ordine che accomunò correnti diverse nella fazione dei ribelli e li distinse più di ogni altra cosa dalla campagna dei repubblicani, i cui sforzi propagandistici venivano seriamente compromessi dalle fotografie di chiese bruciate e saccheggiate che cominciarono a circolare in quel periodo.
Mentre la stampa britannica pubblicava fotografie che associavano, anche se non scopertamente, i soldati ribelli con la Chiesa nei mesi precedenti ottobre, fu il quotidiano francese "Paris-Soir" il primo a mostrare esplicitamente la chiara connessione tra la Chiesa cattolica e l’esercito in una fotografia pubblicata il 25 ottobre 1936 (20). Questa fu scattata in un cortile ombreggiato dove un reggimento di cavalleria, disposto a semicerchio, attendeva la benedizione di un prete con una veste bianca. La scena era estremamente solenne, con due soldati in alta uniforme rivolti l’uno verso l’altro, ciascuno su un lato, con l’incenso che bruciava su un piccolo altare improvvisato lì vicino. I toni dominanti della fotografia ricordavano chiaramente le crociate della Chiesa del passato, mentre l’articolo, intitolato Il grande attacco contro Madrid, coinvolgeva completamente la Chiesa nella campagna militare dei ribelli.

Numerose truppe hanno lasciato Valladolid per dirigersi verso gli eserciti che combattono per la conquista di Madrid. Prima di partire per la Sierra, i soldati a cavallo sono stati benedetti da un prete militare dell’esercito del Generale Mola.

Anche se il prete è alle dipendenze dell’esercito, il simbolismo della fotografia è forte e vuole far capire che la Chiesa e l’esercito hanno fatto fronte comune in una guerra santa, pronti a chiamare martirio la sconfitta e a giustificare come "necessarie" le violenze compiute in nome di Dio. I fotografi del conflitto spagnolo svolsero un ruolo importante nella creazione del mito della guerra civile, sia per i loro tempi che per i nostri, in quanto contribuirono in misura fondamentale all’aura di romanticismo della causa repubblicana con i primi piani delle milizie cittadine e delle Brigate Internazionali.


 

Le donne-soldato
e le ragazze copertina

Alcune delle fotografie più discusse scattate in Spagna durante il conflitto ritraevano donne, soprattutto repubblicane, che si erano unite all’esercito. Per quanto la presenza femminile all’interno dei corpi militari sia sempre stata una caratteristica della fotografia di guerra sin da quando la macchina fotografica arrivò per la prima volta nelle trincee (21), fu solo durante la guerra civile spagnola che vennero scattate numerose fotografie che ritraevano donne che si univano in massa alla truppe per combattere. A prendere parte al conflitto durante i primi otto mesi della guerra furono soprattutto le sostenitrici dei repubblicani; si hanno pochissime testimonianze di donne schierate in armi con i ribelli. Fu un fenomeno di breve durata (le testimonianze ricordano le campagne della Pasionaria che nel marzo 1937 raggiunse il fronte per incitare le donne a ritornare al proprio posto, dietro le trincee (22)); la vista di donne in uniforme che imbracciavano il fucile scatenò l’orrore della stampa conservatrice britannica e mandò in estasi la stampa francese di sinistra. Eppure, le fotografie apparse in Francia furono scelte attentamente affinché esprimessero le conseguenze potenzialmente minacciose delle donne soldato; d’altra parte, anche le pubblicazioni che sostenevano le donne che prendevano le armi interpretarono il fenomeno come una misura d’emergenza resa necessaria dalla crisi e il fatto che le donne fossero ben presto allontanate dal fronte come un segno che, anche per i repubblicani, le donne dovevano ritornare a ruoli più tradizionali.
Mentre la stampa schierata con i repubblicani in Gran Bretagna elogiava prudentemente il coraggio delle donne soldato spagnole paragonandole, in modo a volte ambiguo, alle mitiche Amazzoni dell’antichità, i giornali dell’altra fazione erano scandalizzati. Per questa parte della stampa, le fotografie di donne dal volto spietato in marcia lungo le strade della Spagna, tenendo armi anziché bambini tra le braccia, erano un segno del crollo della moralità e dell’ordine sociale. L’esempio più chiaro di tale reazione si trova in una fotografia pubblicata dal "Daily Mail" alla fine di luglio nel 1936 (23). Intitolata Le donne che bruciano le chiese…, la fotografia mostra una colonna di donne-soldato che avanza in formazione verso la macchina fotografica. La prima coppia è stata fotografata per intero e occupa quasi completamente il fotogramma. Vestite di ingombranti tute da lavoro strette intorno alla caviglia, con i fucili a tracolla e le cartucciere intorno ai fianchi, sembrano avere perso ogni traccia di femminilità. La loro espressione determinata è una dimostrazione del loro fanatismo; il titolo conferma il loro atteggiamento combattivo: Le Carmen rosse partecipano attivamente alla battaglia.
L’epiteto "Carmen", che si richiama all’eroina dell’opera di Bizet, donna piena d’ardore e sostanzialmente distruttiva, veniva accoppiato all’aggettivo "rosso", carico di significato, che collegava il colore scarlatto associato all’immoralità della donna con le più ovvie connotazioni politiche del termine; insieme, le due parole formavano il titolo dell’articolo che illustrava la fotografia. In tale articolo, Ferdinand Tuohy evocava le qualità delle "Carmen rosse spagnole" in un capolavoro del melodramma che univa la cupidigia al pregiudizio, la storia all’arte drammatica. Sessualmente immorali, per Tuohy le donne-soldato rifuggivano da ogni forma di femminilità con la loro sete di sangue, mentre il disprezzo per la religione le spingeva ai più selvaggi eccessi di depravazione. Facendo risalire le loro origini fino alle blood-thirsty citoyens [sic] (cittadine assetate di sangue) della Rivoluzione francese e alle pétroleuses (incendiarie) che furono accusate di avere dato alle fiamme alcune zone di Parigi durante la Comune del 1871 (24), Tuohy affermava che le fabbriche erano le vere responsabili della diffusione di tale razza barbarica, "la Pétroleuse (incendiaria) e la Pistolière (pistolera) del momento", proprio come la sigaraia della famosa opera. La disinvoltura dei loro costumi era dimostrata dalla vicinanza fisica con i giovani uomini nelle barricate, mentre la mancanza di femminilità si poneva in evidente contrasto con la tipica donna spagnola. Tuohy lamentava il profondo abisso che separava le giovani donne repubblicane da questo ideale. Ma era inorridito soprattutto dalla loro irreligiosità e dall’estrema depravazione cui davano libero sfogo. In un paragrafo i cui caratteri in neretto sottolineavano l’elisione, da parte di Tuohy, di più di 50 anni di storia e politica, le donne-soldato spagnole e le loro sorelle pétroleuse (incendiarie) divennero quasi un tutt’uno:

[...] dovunque si tratti di bruciare un convento, una chiesa o un monastero (soprattutto il primo) troverete sicuramente giovani donne che passano le latte di petrolio o addirittura ne versano il contenuto sulle reliquie sacre. Solo vedendole con i propri occhi si può arrivare a capire fino a che punto odiano le suore [...].

Proprio come i cronisti della Comune di Parigi, Tuohy rappresentò la minaccia politica come una minaccia sessuale incarnata dalle donne rivoluzionarie. La "Carmen rossa" fu scelta con cura a tale scopo e qualsiasi riferimento a precedenti positivi o idealizzati, come l’antico simbolo della Repubblica Francese, Marianne (25), e La Libertà che guida il popolo di Delacroix, fu immediatamente soppresso.

La risposta della stampa francese pro-repubblicana non avrebbe potuto essere più diversa. Abili nel riconoscere una potente arma propagandistica, i redattori del settimanale "Regards", in particolare, elaborarono un format concepito appositamente per sfruttare la potenza sprigionata dalle donne armate. Con un’ostentazione tutta francese trasformarono le donne-soldato repubblicane in ragazze copertina, tappezzandone le prime pagine come se fossero modelle di una rivista. Per la stampa francese non si trattava di un problema di dissimulazione del sesso, come accadeva in Gran Bretagna; le donne-soldato conquistarono le copertine di oltre un terzo dei numeri di "Regards" pubblicati tra agosto e novembre 1936 (26). E non era certo un caso che tutte fossero giovani e belle e che i loro fucili apparissero in modo così evidente. L’abbinamento trasgressivo di donne e armi da fuoco ne metteva in risalto la femminilità, mentre il loro essere donne veniva deliberatamente utilizzato per esprimere l’urgenza della lotta armata. I fotografi adulavano le donne-soldato con inquadrature che le ponevano metaforicamente su un piedistallo come raramente era accaduto per gli uomini; gli attributi chiaramente femminili (capelli lunghi, braccia nude, corpi sinuosi) enfatizzavano il loro stoicismo e la loro disciplina nel sopportare il pesante armamentario bellico maschile.
La foto di copertina di "Regards" (27) del 13 agosto illustra questa tendenza. Raffigura due donne-soldato in marcia lungo una linea tranviaria cittadina; entrambe guardano con cortesia verso il fotografo. La donna più giovane risalta in modo più evidente, col viso rivolto in modo quasi civettuolo verso la macchina fotografica in una posa elegante e aggraziata. La sua femminilità, essenziale per il successo propagandistico dell’immagine, è chiaramente enfatizzata dal contrasto con l’abbigliamento maschile, con le lunghe maniche della camicia militare arrotolate a scoprire l’avambraccio, il colletto aperto che mette in evidenza il collo sottile, i capelli che lasciano scoperta la pelle giovane del viso. Le armi che portano sia la giovane donna che l’altra, più matura, conferiscono senza dubbio un forte impatto alla fotografia. Ben lungi dal trasmettere l’impressione che le donne sono troppo fragili per impegnarsi in un combattimento, i fucili conferiscono audacia al loro idealismo. Lo spettacolo di belle e giovani donne che imbracciano le armi per difendere la loro causa si trasformò in Francia in uno strumento di persuasione estremamente efficace e fu sfruttato al meglio per il suo impatto politico e commerciale; le foto delle donne-soldato rimangono tuttora tra le più incisive della guerra.


Le vittime
e l’eufemismo dell’obiettivo

Nelle fotografie della stampa straniera, la guerra civile spagnola, come in precedenza la prima guerra mondiale, fu ripulita dagli aspetti più cruenti. Mentre i francesi sembravano più inclini a tollerare almeno alcuni aspetti della realtà di morte e sangue, sicuramente tra i realizzatori di cinegiornali britannici c’era una certa "preoccupazione per il carattere schizzinoso del pubblico britannico che fece sì che non venisse pubblicato il materiale più scabroso della guerra civile spagnola". Alcune scene erano semplicemente considerate "troppo forti per il palato britannico" (28). E neppure i direttori dei giornali erano immuni da tale autocensura che, in certo qual modo, spiega la natura profondamente eufemistica delle fotografie di morti e feriti durante la guerra spagnola, soprattutto nella stampa d’oltre Manica. Tuttavia, ciò non è sufficiente a spiegare il modo in cui venivano presentate tali realtà. Se si considerano ad esempio i feriti, si nota che i corpi erano quasi sempre intatti, puliti, mai sporchi di sangue, contorti, sfigurati o alterati dal dolore e raramente in pericolo di morte. In Spagna, gli esseri umani venivano feriti solo allegoricamente e le fasciature candide trasformavano ferite gravi in un simbolo confortante. Quasi mai veniva mostrato il momento in cui una persona si feriva; le lesioni gravi venivano citate solo molto dopo l’evento e mai senza essere mediate da un racconto ricco di pathos. Le ferite non venivano quasi mai associate alla morte (a un punto tale che i fotografi della guerra civile spagnola e le loro pubblicazioni potrebbero essere accusati di non aver raccontato tutta la verità sulle vicende spagnole). Evidentemente, "l’estetica dell’immagine ravvicinata", che consentiva ai fotografi di scattare primi piani fra gli uomini delle Brigate Internazionali o dei profughi stipati nei rifugi antiaerei, non si spingeva fino al punto di riprendere fedelmente gli aspetti più terribili della guerra.
Le fotografie di feriti pubblicate dalla stampa straniera erano il risultato di una serie di espedienti per attenuare gli orrori della guerra. Le navi ospedale venivano sempre fotografate da una certa distanza come metonimie e con i feriti stessi sempre ben nascosti. Altre foto neutralizzavano il dolore e la paura coprendo la sanguinosa realtà con immagini che esprimevano sicurezza e cameratismo (portaferiti e commilitoni pronti a soccorrere i compagni in difficoltà). Altre addirittura associavano lo stato dei feriti a situazioni piacevoli, come in una fotografia del "Daily Mail" e del "Daily Herald" che ritraeva soldati convalescenti corteggiare le infermiere nel giardino di un ospedale, o ancora sulle riviste francesi "Regards" e "L’Illustration", che mostravano feriti in via di guarigione alla luce dei grandi lampadari del Casinò di Madrid, trasformato in ospedale. La stampa francese era più incline a riconoscere che le ferite di guerra potevano portare a mutilazioni permanenti e persino alla morte, ma le fotografie contenevano raramente tale messaggio. Il 2 settembre, "Vu" pubblicò l’immagine di una ragazzina con la gamba sinistra ridotta ad un moncone fasciato che cercava di riprendere a camminare assistita da un medico in camice bianco (29). Mentre la presenza del medico conferiva un tono asettico, il titolo eliminava l’aspetto scientifico impregnando ogni parola di pathos:

L’innocente. Una scena pietosa e straziante: una bambina di 10 anni, che ha perso la gamba nello scoppio di una bomba, impara a camminare con la gamba rimastale, come un piccolo insetto atrofizzato, amorevolmente assistita dal medico dell’ospedale di Luerca. Una vita rovinata da una guerra civile spietata.

"Pietosa... straziante... una vita rovinata"; il sentimentalismo lenisce lo shock della mutilazione, alleviandone gli aspetti più spaventosi e celandoli con il pathos che copre con un velo la realtà.
Se le ferite di guerra erano considerate argomenti non adatti alla pubblicazione senza l’effetto attenuante dell’estetica, ancora meno spazio fu concesso ai numerosissimi casi di esecuzioni sommarie e rappresaglie che resero questa guerra incredibilmente brutale (30). La frequenza di tali atrocità rimane uno dei segreti inconfessabili della guerra e non solo a livello fotografico. Ciò non significa che la stampa straniera non pubblicò mai fotografie di morti, ma piuttosto che la maggior parte di esse non guardò mai in faccia la realtà, giocando invece la carta dell’eufemismo e del sentimentalismo. I fotografi della guerra civile spagnola e soprattutto i mezzi di comunicazione per cui lavoravano erano complici in una rappresentazione costruita della guerra che rispecchiava ben poco la più scomoda realtà.
Così, in Gran Bretagna, i morti del conflitto spagnolo venivano spesso descritti come particolari marginali in fotografie che mostravano i cadaveri inquadrati artisticamente di schiena o fotografati asetticamente a distanza, oppure distesi, mai sporchi di sangue, sul ciglio della strada accanto a un fascio di fiori o di foglie, dove venivano deposti per riposare in pace, con titoli poetici come quello del "Daily Herald": Il raccolto della guerra civile (31). In altre foto la morte veniva espressa sotto forma di metonimie: con un soldato che portava a casa il fucile di un compagno morto o una lapide nel punto in cui era morto un combattente. La stampa francese era più curiosa riguardo agli aspetti più macabri del conflitto, sebbene anche il loro realismo avesse dei limiti. "L’Illustration" pubblicò una fotografia sconvolgente della Plaza Cataluña a Barcellona, in cui i corpi di quattro uomini giacevano accanto alle carcasse di due cavalli (32). Nel frattempo, "Vu" pubblicò una delle immagini di morte più espressive mai apparse in entrambi i paesi: una fotografia dell’agenzia Keystone raffigurante il cadavere insanguinato del leader monarchico assassinato, Calvo Sotelo, in un obitorio (33). La fotografia pubblicata da quasi tutti i giornali pro-repubblicani dopo la caduta di Irún a settembre, che mostrava i corpi di sei giovani in abiti civili che giacevano tra le macerie della città, è tuttavia un esempio più significativo dello stile di rappresentazione francese (34). Non sarebbe potuto essere più discreta nella descrizione dei dettagli: non c’è traccia di lesioni, sangue o ferite aperte. Il fotografo si è semplicemente tenuto ad una distanza tale da mantenere l’anonimato delle vittime e i corpi stessi sembrano in posa, disposti in modo da formare un’ampia curva che previene sgradevoli interrogativi riguardo al modo in cui sono morti. In genere, l’aspetto estetico di tali fotografie contrastava con la realtà che intendeva suggerire, ma senza mai documentarla esplicitamente.
Senza dubbio, la fotografia più controversa della guerra civile è la Morte di un soldato repubblicano di Robert Capa (35). Sebbene la sua autenticità sia ancora oggetto di discussione e sia stata ampiamente dibattuta in altra sede (36), essa rimane un simbolo del conflitto ed è a tutt’oggi una delle fotografie di guerra più conosciute del nostro tempo. Impressionante per la tempestività e per la posizione che permisero a Capa di catturare apparentemente il momento esatto in cui un soldato cade colpito da un proiettile su una collina in Andalusia, è la sua estrema semplicità a renderla una perfetta espressione di temi universali. Elementare nella sua composizione – cielo aperto, paesaggio naturale, un uomo che cade a terra –, i contorni sfocati conferiscono autenticità ad una fotografia che sembra essere stata scattata in fretta in una situazione estremamente pericolosa. Lo sfondo – i fasci di fieno essiccato e il panorama delle colline in lontananza – evoca antiche metafore poetiche in cui la falce si abbatte sul raccolto come la morte. Il biancore luminoso intorno alle tempie del soldato, l’ombra scura sulla testa e il viso piegato all’indietro, forse per la forza del proiettile, conferiscono una forza straordinaria all’immagine, che fa pensare che il fotografo abbia colto il momento esatto in cui il proiettile è penetrato nel cranio. Il movimento del braccio destro, che si apre verso l’esterno nel momento in cui il fucile gli sfugge di mano, sembra l’ultimo riflesso del suo corpo forte in fin di vita. Eppure, tutti questi aspetti rendono la fotografia molto ambigua. È ugualmente possibile che il proiettile che attraversa il cranio del soldato sia semplicemente la nappa del berretto che si confonde nel movimento, che il segno bianco sulla tempia sia semplicemente uno strano riflesso della luce sul suo orecchio e che tutta l’immagine sia una messa in scena costruita da un fotografo ricco di talento, determinato ad immortalare qualche tassello della tragica realtà che lo circonda. La bizzarra ambivalenza della fotografia e la costante alternanza del lettore tra ciò che raffigura e ciò che sembra raffigurare le conferiscono un fascino senza età.
Nonostante le qualità artistiche e tecniche che sembrano distinguerla da tutte quelle scattate in precedenza, questa fotografia appartiene alla lunga tradizione di immagini profondamente romantiche della morte in guerra. Nonostante il fatto che la scienza bellica avesse progressivamente ridotto i soldati a semplici pedine, la fotografia di Capa sottolineava infatti l’eroicità e la tragicità della morte in guerra e l’importanza dell’individuo e della sua morte. Il fatto stesso che venisse fotografato un soldato sconosciuto implica che la sua morte non passò inosservata e non fu vana, ma in nome di una causa, di quegli ideali per cui combatteva. Inoltre, la scena di morte ha un innegabile impatto estetico. Rapida, senza spargimento di sangue e avvenuta in mezzo alla natura, in un luogo in cui era possibile osservare le montagne, il lago e il cielo dal punto in cui il soldato cadde – queste circostanze attribuiscono alla morte una sua bellezza particolare, bellezza che l’obiettivo estetizzante della macchina fotografica era perfettamente adatto ad immortalare. Tuttavia si potrebbe affermare che anche questa fotografia, anziché sovvertire la tendenza della stampa contemporanea a non rappresentare la morte in guerra, contribuisse in effetti a diffondere un’interpretazione distorta della brutalità della guerra civile in Spagna e della guerra in generale.


 

La Spagna
e l’archivio fotografico

La guerra civile spagnola scoppiò in un momento cruciale sia per la storia del XX secolo che per la fotografia di guerra. L’avvento di nuove strategie e tecnologie belliche coincise con nuovi modi di rappresentare il conflitto e i fotografi della guerra civile furono i primi a raffigurare e ritrarre per il grande mercato le nuove astrazioni a cui era stata ridotta la sofferenza umana, soprattutto in seguito alle incursioni aeree. L’industria fotografica legata alla guerra civile spagnola produsse inoltre una serie di immagini-simbolo (donne armate, il soldato morente di Capa, la partenza delle Brigate Internazionali) che hanno fortemente influenzato la nostra attuale percezione della guerra. Tuttavia, il lavoro dei fotografi della guerra civile spagnola non fu sempre intriso di eroismo. Commissionate per scopi spesso discutibili, tali immagini vennero utilizzate anche per costruire i miti propagandistici su cui si basavano alcune vicende del conflitto: contribuirono, ad esempio, alla creazione del mito della crociata di Franco contro il comunismo, che divise l’opinione pubblica in paesi come la Francia cattolica, e furono strumenti importanti anche per dipingere l’unità e la resistenza implacabile della risposta repubblicana all’insurrezione militare. Molte di queste rappresentazioni contribuirono anche a forgiare nella coscienza popolare un’immagine eroica e asettica della guerra; un’immagine che dovette attendere i massacri tecnologici della seconda guerra mondiale per essere abbandonata. Tuttavia, nonostante le loro omissioni, le fotografie scattate durante il conflitto spagnolo costruirono un’immagine altamente efficace e, a volte, fortemente politicizzata della guerra che, grazie all’impatto che esercitò sull’opinione pubblica nelle più importanti democrazie, influenzò il risultato stesso della guerra. Molte di queste fotografie, insieme ai manifesti, cinegiornali e dipinti come Guernica di Picasso, ebbero un ruolo fondamentale nella creazione delle immagini che formano la memoria collettiva della guerra.
Se l’importanza delle fotografie della guerra civile si intensificò quando queste apparvero sulle pubblicazioni del tempo destinate ad un vasto pubblico, nuovi modi di osservare e di inquadrare la realtà (una nuova estetica della fotografia di guerra) aumentarono notevolmente il loro impatto. Primi piani e inquadrature ravvicinate scattate da fotografi impegnati con passione nel conflitto crearono una nuova forma di identificazione tra soggetto e osservatore e gli esempi migliori conservano ancora oggi un forte impatto emotivo. Allo stesso tempo, la veduta aerea ripresa dalla cabina di un bombardiere introdusse nuovi modi di percepire la guerra e un nuovo concetto di vulnerabilità dei civili, legato a un senso di invincibilità onnisciente del pilota. Questo originale patrimonio visivo nacque in Spagna durante la guerra civile come prodotto e come conseguenza del conflitto. Inoltre, le premesse delle attuali rappresentazioni della guerra (primi piani, vedute aeree, i cliché della vita dei militari e dei civili durante il conflitto) sono presenti nelle fotografie del conflitto spagnolo come mai in passato. Non solo queste immagini costituiscono un archivio visivo sempre più importante, man mano che i ricordi della generazione che aveva vissuto la guerra sfumavano lentamente, ma rappresentano anche un punto di riferimento obbligato, a volte di tale livello da trasformarsi in uno standard imprescindibile per il giornalismo di guerra. Allo stesso tempo, l’immagine che presentano, intrisa di nostalgia e di testimonianze che rivelano l’angoscia e il dolore della perdita, ha resistito fino a divenire preziosa per quelle generazioni che vogliono ricordare quelle passioni, ma che sono troppo giovani per averle vissute direttamente.


 

NOTE

(1) Cfr. C. Cockburn: In Time of Trouble: An Autobiography, London, Rupert Hart-Davis, 1956, p. 252.

(2) Fatta eccezione, forse, per i primi giorni della guerra in Vietnam, quando la libertà da qualsiasi censura era tale che i giornalisti si sentivano "sopraffatti dall’aiuto e dall’ospitalità della macchina propagandistica americana". Cfr. i commenti di Richard West citati da P. Knightly, The First Casualty: From the Crimea to the Falklands: The War Correspondent as Hero, Propagandist and Myth Maker, London, Pan Books, 1989, p. 32.

(3) Per i dettagli sui fotografi spagnoli del conflitto, desidero ringraziare P. Lopez Mondéjar, Las fuentes de la memoria II: fotografía y sociedad en España 1900-39, Madrid, Ministero della Cultura-Lunwerg, 1992, in particolare pp. 92-93.

(4) Cfr. M.J. Arlen, Living Room War, New York, Viking Press, 1969, p. 82.

(5) In "Practices of Space", Michel de Certeau descrive i pittori del Medioevo e del Rinascimento che dipinsero le città del loro tempo da un punto di vista che ancora non esisteva, inventando "sia il volo sulla città che la rappresentazione che questo rendeva possibile". Cfr. M. Blonsky, On Signs, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 1985, p. 124. Gli esperimenti di Nadar con fotografie scattate da mongolfiere negli anni intorno al 1850 anticiparono la nuova rappresentazione aerea, mentre il racconto di André Malraux di un’incursione aerea sulla Spagna in L’Espoir (Paris, Gallimard, 1937) sembra essere la prima testimonianza scritta di tale innovazione.

(6) Cfr. R. Fraser, Blood of Spain: The experience of Civil War 1936-1939, Harmondsworth, Penguin, 1979, p. 175.

(7) Cfr. P. Fussell, The Great War and Modern Memory, London, Oxford University Press, 1977, p. 322.

(8) Allan Sekula, in un articolo sulla fotografia aerea di Edward Steichen durante la II guerra mondiale, pone l’accento sulla rappresentazione astratta dell’immagine aerea. Cfr. The Instrumental Image: Steichen At War, in "Artforum", XIV, dicembre 1975, n. 4, p. 28.

(9) "L’Illustration", 14 novembre 1936, p. 337.

(10) Steichen guidò le spedizioni di fotografia aerea della American Expeditionary Force in Francia nella I guerra mondiale. Cfr. E. Steichen, American Aerial Photography at the Front, "USA Air Service", 1919, p. 34, citato in A. Sekula, The Instrumental Image: Steichen At War, "Artforum", cit., pp. 29-30.

(11) "Illustrated London News", 31 ottobre 1936, pp. 778-779.

(12) "Illustrated London News", 14 novembre 1936, pp. 844-845.

(13) "Vu", 11 novembre 1936, p. 1146.

(14) I conflitti che serpeggiavano all’interno della sinistra culminarono nelle famose Giornate di Maggio del 1937. Cfr. la descrizione di George Orwell di quel periodo in Homage to Catalonia, Harmondsworth, Penguin, 1987 in particolare pp. 144 e sgg. Nello stesso periodo, Hugh Thomas descrive l’ondata di violenza anticlericale scatenata dalla guerra, sebbene sottolinei che molte delle più importanti opere d’arte della Chiesa furono conservate. Cfr. la sua opera: The Spanish Civil War, Harmondsworth, Penguin, 1986, pp. 1268 e sgg.

(15) "Daily Herald", 29 luglio 1936, p. 16.

(16) "Regards", 29 ottobre 1936, p. 16.

(17) Cfr. B. Alexander, British Volunteers for Liberty: Spain 1936-39, London, Lawrence and Wishart, 1986, pp. 238 e sgg.

(18) "Picture Post", 12 novembre 1936, p. 36.

(19) Ronald Fraser cita il commento di Franco, mentre si trovava ancora in Marocco, su "El Defensor de Córdoba", 25 luglio 1936. Cfr. R. Fraser, Blood of Spain, cit., p. 320.

(20) "Paris-Soir", 25 ottobre 1936, p. 12. Una copia quasi identica, ma comprendente un gruppo di ragazzi che assisteva alla cerimonia, apparve su "Illustrated London News" sei giorni dopo, il 31 ottobre 1936, p. 775.

(21) Bernd Hüppauf nota la loro presenza come infermiere o agli spacci militari in fotografie del 1854-56 della guerra in Crimea in Modern War Imagery in Early Photography, "History and Memory", 5, primavera/estate 1993, n. 1, pp. 131, 136.

(22) Cfr. R. Fraser, Blood of Spain, cit., p. 286.

(23) "Daily Mail", 27 luglio 1936, p. 10.

(24) Cfr. G. L. Gullickson, La Pétroleuse: Representing Revolution, "Feminist Studies", 17, estate 1991, n. 2, pp. 241-265; e E. Thomas, Les Pétroleuses, Paris, Gallimard, 1963.

(25) Agulhon descrive la genesi della figura di Marianne come simbolo della Repubblica in Marianne au combat: l’imagerie et la symbolique républicaines de 1789 à 1880, Paris, Flammarion, 1979 e Marianne au pouvoir: L’imagerie et la symbolique républicaines de 1880 à 1914, Paris, Flammarion, 1989.

(26) "Regards", 13 agosto; 27 agosto; 8 ottobre; 5 novembre 1936.

(27) "Regards", 13 agosto 1936, p. 1.

(28) B. Crossthwaite, Newsreels Show Political Bias. Editing of Spanish War Scenes Disclose Partisan Views, "World Film News", 1, 1936, n. 7, p. 41. Secondo Crossthwaite, tali immagini "censurate" includevano fotografie di repertorio di R. Butin della Pathé Gazette a Badajoz, che ritraevano "immagini sconvolgenti della città distrutta [...] particolarmente agghiaccianti erano le file di corpi bruciati e anneriti sparsi lungo le strade [...]".

(29) "Vu", 2 settembre 1936, p. 1020.

(30) G. Jackson, A Concise History of the Spanish Civil War, London, Thames and Hudson, 1974, p. 176. Verso la metà del 1939, Jackson calcola che la Spagna ha perso 1.000.000 di abitanti su un totale di 25.000.000. Di questi, 400.000 erano emigrati come rifugiati politici, mentre stima che dei 500.000-600.000 morti in guerra, solo da 100.000 a 150.000 morirono in combattimento; ciò implica che 350.000-500.000 persone furono eliminate in seguito a rappresaglie. Jackson afferma che 20.000 delle uccisioni furono opera dei repubblicani nei soli primi tre mesi di guerra, mentre "[...] i nazionalisti, dal luglio 1936 alla fine delle esecuzioni sommarie del 1944, eliminarono da 300.000 a 400.000 dei loro compatrioti, con una violenza tale da poter essere paragonata [...] alle repressioni naziste nell’Europa orientale e in Iugoslavia".

(31) "Daily Herald", 24 luglio 1936, p. 1.

(32) "L’Illustration", 1 agosto 1936, copertina.

(33) "Vu", 22 luglio 1936, p. 856.

(34) Cfr. "Regards", 8 ottobre1936, p. 3; "Paris-Soir", 7 settembre 1936, p. 12; "L’Illustration", 12 settembre 1936, p. 46; "Illustrated London News", 12 settembre 1936, p. 348; "Vu", 9 settembre 1936, p. 1049.

(35) Pubblicata su "Vu", 23 settembre 1936, p. 1106; "Paris-Soir", 28 giugno 1937, p. 1; "Life", 12 luglio 1937, p. 19 e "Regards", 14 luglio 1937, p. 21.

(36) Cfr. il mio commento alla fotografia in C. Brothers, War and Photography: A Cultural History, London, Routledge, 1997, pp. 178-184.

Molti di questi temi sono trattati più approfonditamente nel mio libro War and Photography: A Cultural History (Londra, Routledge, 1997). Desidero dedicare questo articolo a Barbara Kastelein, Elizabeth Malkin ed Eduardo Garcia, con amicizia.