Testo tratto da "L'europeo" del 14 gennaio 1977

LA FOTO SIMBOLO DELLA GUERRA DI SPAGNA

UN FALSO ?

Testo©ROBERTO  L E Y D I

CERTO la fotografia più famosa della guerra civile spa­gnola, il simbolo visivo di quella guerra, così carica di commozioni nelle coscienze intellettuali e antifasciste di tutto il mondo. Probabilmente una delle più famose fotografie di guerra di tutti i tempi. Segno e gesto in grado di sintetizzare, della rappresentazione della morte, l'antieroico momento eroico della sconfitta dei giusti: emozione e celebrazione.

Certo l'impianto iconico è perfetto. Il giovane miliziano arre­stato dalla pallottola fascista mentre avanza correndo a con­quistare, o riconquistare, una trincea. Fronte di Cadice. Gior­nate di disperata passione. Il corpo rovesciato all'indietro, il fucile che sfugge dal pugno, persino il fiocchetto della bustina che può anche apparire come l'esplosione del cranio sotto l'im­patto crudele del piombo nemico. Un caduto nell'eroica difesa della repubblica agonizzante: no pasaran, viva la Quince Briga-da, El quinto regimiento. Dolore d'Europa e retorica.

Questa, si sa, è una fotografia scattata nel 1936 da Robert Capa, maestro riconosciuto del reportage di guerra, uno dei più grandi fotografi del nostro tempo, morto in Indocina.
È la famosa
« fotografia del miliziano » che ancora poche settimane fa, alla

Biennale di Venezia, ha fatto la parte del leone nella rievoca­zione iconografica della guerra civile e ha giustamente commos­so ancora una volta centinaia e migliaia di persone soprattutto giovani, toccati dalla scarna verità di quell'attimo di morte, sim­bolo di altra morte, quello della libertà degli spagnoli.

Ebbene, questa fotografia è molto probabilmente un falso. Non coglie, cioè, un soldato della Repubblica nell'attimo in cui cade colpito dalla fucilata dei fascisti, ma un soldato della Repubblica ancor oggi vivo, gentilmente messosi a disposizione del fotografo Robert Capa per realizzare alcune immagini emozionanti ma incruente della guerra di Spagna. Il primo a porre in dubbio l'autenticità di questa fotografia emblematica è stato Piero Be-rengo Gardin sulle pagine di Fotografia italiana (giugno 1972). Un dubbio molto cautamente espresso, ma appoggiato a una documentazione non forse discutibile. Berengo Gardin, cioè, non scrive in quella occasione che la « foto del miliziano » è un falso, ma pubblica le altre foto scattate da Capa in quel giorno del '36, foto in parte inedite, osservando come il soldato che appare colpito a morte si ripresenta ben vivo, alcuni fotogrammi dopo, sulla stessa pellicola, ad esultare con i suoi compagni sulla trincea nemica espugnata. E scrive: « Che il miliziano ucciso sia poi quello che si vede ancor vivo, primo a sinistra con le brac­cia alzate, in una delle altre fotografie, è una grossa e suggestiva tentazione dalla quale onestamente, malgrado i tanti elementi a favore, ambientali e fisionomici, non ce la sentiremmo di la­sciarci prendere ».

La « grossa e suggestiva tentazione » è appunto quella di dir chiaro che si tratta forse di un falso e che probabilmente tutta la sequenza (alla quale appartengono un paio di altre fotografie ben conosciute, soprattutto quella del plotone che, correndo al­l'assalto, balza oltre la trincea) è opera assai abile di ricostru­zione. È quella, cioè, di ipotizzare che Robert Capa, in caccia di immagini suggestive ed emozionanti, oltreché formalmente belle (se pur nel suo stile scarno e dimesso), abbia quel giorno con­vinto un gruppetto di miliziani, senza nulla in particolare da fare, a recitare per il suo obiettivo un'azione di guerra, com­pleta di assalto, morte ed esultanza vittoriosa.

La < tentazione » di Gardin è ora ripresa, con meno rispetto verso il mito infranto, da Aldo Gilardi, nelle pagine di Una storia sociale della fotografia che, se anche non avesse altri meriti, avrebbe certo quello di affrontare i maggiori luoghi co­muni della storiografia della fotografia con veemenza e irrive­renza. Gilardi, ricordando il « dubbio » espresso da Gardin, affer­ma che la foto di Capa è appunto un « falso », nel quadro di un generale sistema mistificante della produzione e distribuzione dell'immagine. La dichiarazione di Gilardi ha provocato una se­rie di sdegnate smentite da parte dei distributori in Italia delle foto di Capa. Ma chi ha ragione?

Molto probabilmente Berengo Gardin, Gilardi e altri che in questi anni hanno contribuito a « smascherare » Robert Capa hanno ragione e il famoso miliziano di Cadice è davvero una falsificazione. Ma, viene allora da chiedersi, quell'immagine per­de davvero tutto il suo valore e il suo significato? Non vuol dire più da oggi tutto quanto ha saputo dire finora? E poi: nel crollo di questo simbolo, di questo mito iconico viene travolta forse anche la credibilità storica e morale della causa repubblicana, della Spagna libera, magari di tutto l'antifascismo? E poi: per­ché Capa ha costruito quel suo falso, e perché, forse, quasi tutte le più famose fotografie di guerra (tutte le guerre fotografate, da quella di Crimea in poi) sono dei falsi?

È chiaro che la vicenda curiosa della « foto del miliziano » può proporre molti temi di discussione e di meditazione, capaci di aiutare la nostra comprensione dei grandi fenomeni che re­golano e presiedono la costruzione del sistema iconico in cui ci muoviamo, cioè dei processi attraverso i quali si compongono le immagini destinate ai vari livelli del consumo e si definisce il nostro rapporto con quei processi e le loro conseguenze anche sociali. Varrà certo la pena di fermarsi su questi temi e questi problemi, che vanno ben al di là dello specifico « caso Capa ». In questa occasione è forse opportuno, però, avanzare qualche osservazione su due punti essenziali: perché il falso nelle foto di guerra? Perché è per lo meno imbarazzante riconoscere che la più famosa immagine della guerra di Spagna è una « ricostru­zione »?

Bene, alla prima domanda si può rispondere, in attesa di ap­profondimenti, che raramente le foto di guerra vere (e ce ne sono tante) divengono famose ed assurgono a emblema, perché molto raramente esse sono « belle ». Cioè, le foto vere molto raramente riescono a definirsi fuori della realtà della guerra per disegnarsi in una rappresentazione « ideale » che, nonostante i lunghi decenni di familiarità con la fotografia, rimane quella della pittura celebrativa. Di qui la necessità, per il fotografo che vuole darci l'immagine simbolo, o l'immagine sintesi della guerra, diciamo pure che vuol darci l'immagine vera della guer­ra, non com'è ma come vogliamo immaginare che sia, di « co­struire », con elementi della realtà, una rappresentazione ideale. E allora si capisce non soltanto la « foto del miliziano », ma si capiscono anche altre famose foto certamente false, quali l'alza bandiera di Iwo Jima, o lo sventolamento della bandiera rossa dall'alto del tetto del Reichstag. E, proprio come nel caso della fotografia di Capa, soltanto la nostra volontà di non voler sapere che si tratta di falsi ci impedisce di cogliere subito la mistifica­zione. Perché, a pensarci bene, basterebbe ricorrere al senso comune, al buonsenso, e domandare a noi stessi come abbiano potuto quei fotografi essere in quel momento nel posto giusto nella posizione più opportuna a fissare in modo fotograficamente così perfetto l'attimo di un gesto in sé anche perfetto.

E alla seconda domanda non c'è che rispondere che l'imbarazzo non ha nessuna ragione di essere. Non soltanto perché il fatto che Robert Capa abbia costruito un falso non tocca in nulla i valori ideali, morali, politici, civili e umani dell'evento cui l'immagine si riferisce, ma anche perché pur falsa, se lo è, quella
foto continua benissimo a proporsi come emblema di un momento della storia e della nostra coscienza.             

 

 

Roberto Leydi

 

 

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