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La bella mostra
(Vermeer - il secolo d'oro dell'arte olandese) in corso alle scuderie
del Quirinale a Roma (fino al 20 gennaio) mi ha portato ad alcune
riflessioni sull'uso dell'ottica nella trasposizioni bidimensionale
della realtà, che è poi alla base del processo fotografico. Le opere,
quasi tutte senza vetro, erano ben illuminate e potevano essere viste
abbastanza da vicino per poterne apprezzare tutti i particolari. Sono
rimasto infatti stupito dalle piccole dimensioni della maggior parte dei
dipinti ... All'inizio del percorso espositivo un quadro mi ha subito
incuriosito, lo vedete qui sopra in alto. Immediatamente la deformazione
della cupola in alto a sinistra mi è sembrata familiare: si tratta
della classica deformazione prospettica dovuta all'utilizzo di un'ottica
grandangolare. L'artista, Jan van der Heyden, era
anche uno scienziato ed un inventore, e sicuramente utilizzava la
camera oscura e probabilmente anche delle lenti o degli specchi. In un
bel catalogo
del 2006, Peter C. Sutton (Jan van der Hayden - mostra organizzata dal
Bruce Museum - Greenich - Connecticut - USA nel 2006) dedica un intero
capitolo (prospettiva, aiuti visivi e camera oscura)
all'utilizzo appunto di strumenti ottici da parte di van der Heyden per
interpretare la realtà, sopratutto per poterla "comprimere" in spazi
ridotti. Interessante anche notare che l'artista non era un eccezionale
pittore, non riusciva a rappresentare correttamente le figure umane per
le quali spesso di faceva aiutare. Inoltre utilizzava, per riprodurre
velocemente i minuti particolari, una specie di "timbri" che gli
permetevano di riprodurre velocemente ad esempoio i mattoncini o i
particolari della vegetazione (oggi diremmo: un pennello su misura di
Photoshop). Insomma era più interessato all'aspetto "geometrico" della
visione che non alla riproduzione minuziosa del reale. Aveva la
consapevolezza insomma di quanto la visione sia sempre un processo
mediato da filtri culturali e dalla tecnologia disponibile al momento.
Ovviamente noi abbiamo adesso una sensibilità particolare per alcuni
aspetti di questa "lettura" del reale. Attraverso i vari quadri (di
autori contemporanei di Vermeer) presenti in mostra ho potuto quindi
apprezzare "la modernità" (lo so, un termine abusato ma mi riferisco a
quanto detto prima) dell'approccio compositivo di molti dei pittori,
mediante uso di inquadrature anche "tagliate" oppure la resa
dell'illuminazione quasi sempre giustificata da fonti luminose
"reali"(in genere finestre) presenti nel dipinto.
Ovviamente la mostra aveva come focus la figura di Vermeer, seppur presente con sole otto opere (a proposito, leggete questo post di Massimo Pulini). Sull'uso della camera oscura da parte dell'artista sono state scritte molte pagine (ad esempio Vermeer's Camera di Philip Steadman, ad esempio a pg 158) ma ovviamente sarebbe molto limitante descrivere le sue opere come "fotografiche"
come spesso si sente dire... Vermeer decide cosa mettere a fuoco e cosa
no, e nonostante la perfetta resa prospettica della camera oscura il
controllo dell'atmosfera del dipinto è totale, anche mediante l'uso in
alcune zone di tinte quasi piatte ... la visione dei suoi quadri è
spesso "spiazzante", e la piccola dimensione costringe ad un rapporto
ravvicinato per apprezzarne la cura dei dettagli.. è quasi un chinarsi
verso una "scatola delle meraviglie".