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Nel contesto dell'antologica che Forma dedica in questo periodo a Mario Giacomelli, si è svolta una serata a più voci per presentare due libri usciti quasi in contemporanea: da una parte "La figura nera aspetta il bianco", edito da Contrasto e curato da Alessandra Mauro, che raccoglie anche una biografia dell’artista raccontata dal figlio Simone e letture critiche di Roberta Valtorta, Paolo Morello, Ferdinando Scianna, Christian Caujolle, Alistair Crawford e Goffredo Fofi; dall'altra, "Mario Giacomelli, la mia vita intera", ovvero il frutto (prezioso) delle tante ore passate dall'autore con la nipote, Simona Guerra, curatrice di questo volume edito da Mondatori.
Presenti le due autrici e Cesare
Colombo, fotografo con una lunga
esperienza nel settore dell'analisi critica e dell'ordinamento di immagini
storiche.
Quest'ultimo ha ricordato il
milieu fotografico di Giacomelli, quello dei circoli di fotografia di
provincia, in genere isolati da un circuito nazionale che non ammetteva quasi
nessuna osmosi fra i professionisti e gli amatori di talento. Il "main
stream", per intendersi, era quello di Cavalli, Donzelli e Monti, che
dettavano tanto il tono della produzione che la fisionomia della teoria
fotografica. Da ciò derivò la volontà di Giacomelli di impegnarsi in uno sforzo
culturale che andasse oltre il panorama italiano (si rivolse con ottimi
riscontri soprattutto al mondo anglosassone). Una battaglia personale, la sua,
che, forse inconsapevolmente, ha contribuito allo svecchiamento di tutta la
fotografia italiana di allora. Un impulso istintivo e autoctono quasi
anarcoide, ma mai fasullo, forte delle proprie origini tanto da farne
"coautrici" dei suoi lavori.

Giacomelli lacerò il paesaggio in polemica con quello proposto dal circuito ufficiale, scardinò il sistema zonale di Adams scegliendo un proprio impianto tonale, spezzò la linea della fotografia che vuole narrare il momento dedicandosi a diversi momenti esplorati dal suo sguardo e dalla sua mente e la cui sequenza rivestiva un ruolo fondamentale nell'allestimento di una mostra. Momenti e luoghi molto diversi o lontani, ma che nei suoi intenti vivevano insieme perché accomunati da una stessa tensione in fase di scatto e che per questo esigevano una sequenza troppe volte non rispettata dai curatori.
È affascinante poi notare quanto questo approccio naïve e anarcoide alla fotografia si concretizzasse in esiti altissimi e colti e si conciliasse con una intelligente e ragionata promozione di se stesso in Italia e all'estero.
Dichiaratamente lontano da un
approccio critico, lo scopo del volume è essenzialmente quello di fornire degli
strumenti per comprendere e, soprattutto, incontrare l'autore. Ed è suggestivo
il richiamo all'incontro riproposto più volte da Simona Guerra che per mestiere
collabora con alcuni dei maggiori archivi fotografici italiani e, come lei
stessa ammette, per "deformazione professionale" preferisce sempre
andare alla fonte, cercare l'incontro diretto con gli autori, anche se attraverso le loro
fotografie, "senza lasciarsi raccontare niente da altri".
Alle registrazioni già citate si sono
aggiunti appunti e foglietti spesso lasciati da Giacomelli come promemoria per la nipote, con indicazioni e richieste talvolta maniacali, ma sempre recanti la testimonianza stessa della sua poetica. Ad emergere, su tutto, il
concetto della fotografia come di un modo come un altro per affrontare la vita.
Un'affermazione onesta e potente,
come le sue immagini.
testo di Arianna De Micheli