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Fotografia: verità o illusione? Intervistando il fotografo Nino Migliori (2 parte)
Autore: Valentina Cusano
- Pubblicato il 13/07/09 - Categoria
Cultura Fotografica
Intervista tratta dal saggio FOTOGRAFIA E ARTE di Valentina Cusano Edizioni Clueb Bologna 2006
V.C.Quindi la fotografia è un’illusione. Si potrebbe affermare che sia proprio questo il suo grande potere?
N.M.“Certo. Susan Sontag diceva che la capacità della macchina fotografica di trasformare la realtà in qualcosa di bello proviene dalla sua relativa debolezza come mezzo inteso a trasmettere la verità. In molti casi ha il potere di donare una pseudo-credibilità secondo la quale l’oggetto per il fatto che sia stato fotografato deve essere necessariamente considerato reale e vero.
Per esempio prendiamo l’interpretazione del segno attraverso un mio lavoro Segnificazione: individuai dei particolari dell’ Ecce homo del Guercino e li trascrissi, ingrandendoli, riproducendoli fotograficamente. Ognuno di questi assumeva un suo significato indipendente dall’insieme dal quale era stato tratto e l’interpretazione che di ognuno ne veniva data era di volta in volta pop, optical, futurista. Il segno restava sempre lo stesso era stato semplicemente decontestualizzato, cioè era stato estrapolato un frammento dal totale. In fondo è quello che ogni fotografo compie quando “inquadra e scatta”. Il processo non era solo un’analisi obiettiva del segno, piuttosto una traduzione, una trasformazione, una vera e propria riscrittura che si serviva del senso originario per iscriverlo in un contesto completamente nuovo.
Nello stesso ambito di ricerca come ulteriore conferma del rapporto interpretativo che abbiamo con la fotografia feci stampare quattro riproduzioni sempre dell’ Ecce Homo variando le esposizioni: da sovraesposta a sottoesposta. Ottenni come risultato una serie di possibili attribuzioni dell’immagine addirittura a secoli diversi dal Quattrocento all’Ottocento.
Una sola realtà per diverse interpretazioni eseguite nell’ambito della fotografia off-camera a dimostrazione del fatto che la fotografia non è credibile.”
V.C.La fotografia non potrà mai dire la verità, poiché sarà sempre un mezzo manipolato da una mente e da una mano che decide per lui e lo guida affinché esso possa esprimere consciamente o inconsciamente la personalità dell’autore. L’azione stessa della scelta della pellicola presuppone già in sé l’interpretazione della realtà che ne consegue. Al fotografo non resta che dimostrare che il mezzo assolve ad una funzione secondo la quale la fotografia non è in grado di riportare la verità così come la intende l’essere umano, ma di creare verità soggettive che si distinguono dal mondo visibile poiché caratterizzate da una nuova significazione che l’autore della foto ha deciso per tali verità, o realtà. Nella fotografia non esiste il punto di vista obiettivo.
N.M.“Jean Cocteau diceva:‘la fotografia è una menzogna che dice la verità.’ Io credo la stessa cosa: è una menzogna nel momento in cui si crede che sia assoluta e fedele, ma dice la verità perché, nello stesso tempo, è in grado di rappresentare porzioni di realtà. La sostanza sta nel fatto che la menzogna è nel concetto che essa esprime, nella concettualità del mezzo fotografico e quindi nella sua stessa natura. Probabilmente il grande equivoco è legato da un lato allo ‘scientismo’ enciclopedico cioè l’ammirazione per la tecnica e dall’altro, e per contro, all’idea romantica dell’artista come genio e sregolatezza, all’ispirazione creativa del momento. In fondo dirsi interpreti fedeli della realtà significa sottolineare con una buona dose di presunzione l’artisticità dello sguardo.” FINE SECONDA PARTE...
V.C.Quindi la fotografia è un’illusione. Si potrebbe affermare che sia proprio questo il suo grande potere?
N.M.“Certo. Susan Sontag diceva che la capacità della macchina fotografica di trasformare la realtà in qualcosa di bello proviene dalla sua relativa debolezza come mezzo inteso a trasmettere la verità. In molti casi ha il potere di donare una pseudo-credibilità secondo la quale l’oggetto per il fatto che sia stato fotografato deve essere necessariamente considerato reale e vero.
Per esempio prendiamo l’interpretazione del segno attraverso un mio lavoro Segnificazione: individuai dei particolari dell’ Ecce homo del Guercino e li trascrissi, ingrandendoli, riproducendoli fotograficamente. Ognuno di questi assumeva un suo significato indipendente dall’insieme dal quale era stato tratto e l’interpretazione che di ognuno ne veniva data era di volta in volta pop, optical, futurista. Il segno restava sempre lo stesso era stato semplicemente decontestualizzato, cioè era stato estrapolato un frammento dal totale. In fondo è quello che ogni fotografo compie quando “inquadra e scatta”. Il processo non era solo un’analisi obiettiva del segno, piuttosto una traduzione, una trasformazione, una vera e propria riscrittura che si serviva del senso originario per iscriverlo in un contesto completamente nuovo.
Nello stesso ambito di ricerca come ulteriore conferma del rapporto interpretativo che abbiamo con la fotografia feci stampare quattro riproduzioni sempre dell’ Ecce Homo variando le esposizioni: da sovraesposta a sottoesposta. Ottenni come risultato una serie di possibili attribuzioni dell’immagine addirittura a secoli diversi dal Quattrocento all’Ottocento.
Una sola realtà per diverse interpretazioni eseguite nell’ambito della fotografia off-camera a dimostrazione del fatto che la fotografia non è credibile.”
V.C.La fotografia non potrà mai dire la verità, poiché sarà sempre un mezzo manipolato da una mente e da una mano che decide per lui e lo guida affinché esso possa esprimere consciamente o inconsciamente la personalità dell’autore. L’azione stessa della scelta della pellicola presuppone già in sé l’interpretazione della realtà che ne consegue. Al fotografo non resta che dimostrare che il mezzo assolve ad una funzione secondo la quale la fotografia non è in grado di riportare la verità così come la intende l’essere umano, ma di creare verità soggettive che si distinguono dal mondo visibile poiché caratterizzate da una nuova significazione che l’autore della foto ha deciso per tali verità, o realtà. Nella fotografia non esiste il punto di vista obiettivo.
N.M.“Jean Cocteau diceva:‘la fotografia è una menzogna che dice la verità.’ Io credo la stessa cosa: è una menzogna nel momento in cui si crede che sia assoluta e fedele, ma dice la verità perché, nello stesso tempo, è in grado di rappresentare porzioni di realtà. La sostanza sta nel fatto che la menzogna è nel concetto che essa esprime, nella concettualità del mezzo fotografico e quindi nella sua stessa natura. Probabilmente il grande equivoco è legato da un lato allo ‘scientismo’ enciclopedico cioè l’ammirazione per la tecnica e dall’altro, e per contro, all’idea romantica dell’artista come genio e sregolatezza, all’ispirazione creativa del momento. In fondo dirsi interpreti fedeli della realtà significa sottolineare con una buona dose di presunzione l’artisticità dello sguardo.” FINE SECONDA PARTE...