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La diversità del sensore Foveon
Autore: Francesco Radici - Pubblicato il 28/10/09 - Categoria Tecnica
Gradimento: Molto Interessante
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La diversità del sensore Foveon

 

L’occhio con cui la macchina fotografica legge il mondo esterno è il sensore digitale, la luce che colpisce i suoi fotodiodi viene catturata e, tramite l’interpolazione dei dati, da luogo alla nostra fotografia. Parlare d’interpolazione significa che l’informazione acquisita dal sensore non è l’immagine reale diretta ma un insieme d’informazioni che devono essere messe in relazione tra loro da un software per creare l’immagine. In effetti ogni pixel del classico sensore Bayer (definito anche a mosaico) è dedicato alla lettura di uno dei tre colori fondamentali dedicando 1 fotodiodo per il rosso, 1 per il blu e 2 per il verde e ripetendo questa sequenza giusto con lo schema a mosaico per l’intera

grandezza del sensore, l’immagine catturata non è quindi reale ma viene costruita dall’interpolazione dei segnali andando a creare i dati mancanti dato che il sensore legge solo il 50% dei verdi, ed il 25% dei ble e rossi. Avremo quindi un immagine di grandezza pari ai pixel effettivi del sensore e con un risultato nato dall’elaborazione dei vari segnali, da ciò si può desumere come dettagli molto piccoli, vicini alla dimensione di un pixel, possano creare un errore tra il valore misurato e quello reale manifestandosi con il famoso effetto moirè (per esempio fotografando una trama a righe sottili di un tessuto), il problema viene costruttivamente aggirato applicando un filtro anti aliasing sul sensore.

Esiste però un alternativa, o meglio, qualche cosa di diverso sia in termini costruttivi che di risultato e che si è ritagliato nel tempo una nicchia di mercato e di appassionati, si tratta del Foveon.

Progettato dalla Foveon Inc si tratta di un sensore che dedica ogni pixel dell’area del sensore per ogni colore fondamentale, questo è reso possibile dalla sovrapposizione di tre strati di materiale sensibile ognuno dedicato ad un colore e trasparente agli altri due, ovvero, per chi ha maneggiato a sufficienza le vecchie macchine fotografiche, è esattamente il procedimento che accadeva  nelle pellicole colore dove erano necessari tre diversi strati di emulsioni d’argento sensibili alle diverse frequenze di luce per comporre l’immagine finale. E’ subito immaginabile quale sia il vantaggio in termini di resa dei colori e della definizione di un prodotto di questo tipo, soprattutto in considerazione che l’immagine catturata è reale ed immediatamente visibile in quanto non ha bisogno di essere costruita.

Il fotografo che si avvicina a questo sensore deve essere soprattutto un curioso e capace di discostarsi dalle strade usuali e provate, perché c’è da dire che rimane pur sempre un prodotto di nicchia adottato da pochissimi costruttori di macchine e che quindi deve scontrarsi con i colossi della fotografia che hanno scelto il più popolare e collaudato mosaico. La domanda che nasce è quindi perché grandi case come Nikon o Cannon hanno deciso diversamente quando esiste una meraviglia di questo tipo? la risposta è data fondamentalmente dal fatto che se formalmente la risoluzione del Foveon può essere paragonata ad un Bayer in realtà ciò non è vero in quanto immagini da 6M di pixel di questo sono esattamente quelli reali (il mosaico è composto da un unico strato) mentre nel Foveon un immagine da 6M è in realtà 1/3 di questa grandezza in quanto si ogni pixel è dedicato ad un unico colore ma è anche sovrapposto agli altri.   

Come è comprensibile questo è il limite fondamentale nella diffusione di questo sensore oltre al fatto che allo stato attuale vi sono problemi nella realizzazione di sensori di dimensioni maggiori, di contro lo sviluppo del sensore a mosaico, la sua flessibilità di sviluppo e i sempre più precisi algoritmi di interpolazione e filtri permettono di avere risultati importanti e commercialmente più gestibili.

Veniamo però a quello che credo più interessi l’amante della fotografia, ovvero quanto risulta veramente nelle nostre foto, e qui veniamo alla parte gratificante in quanto questo sensore sa regalare delle soddisfazioni veramente interense se lo si conosce e si sa gestire. I colori sono veramente vibranti, il dettaglio è impressionante e le texture hanno una naturalezza veramente notevole, dobbiamo però avere l’accortezza di impostare la nostra macchina in modalità Raw, in caso contrario ci ritroveremmo con un immagine jpeg compressa ed interpolata da un software per aumentarne la risoluzione cosa annullerebbe tutti i vantaggi che abbiamo tanto sperato. Inoltre bisogna sapere che questo sensore tende, in condizioni di forte contrasto a livello iso bassi (50-100), ad assumere una scarsa capacità nella gestione delle frequenze del rosso (vi è un fenomeno di “traboccamento”) favorendo le frequenze del blu, questo porta quindi a colorazioni violacee là dove c’era un bel rosso vivace. La soluzione viene alzando l’impostazione degli iso a 200 o 400, oppure sottoesponendo di 2 o 3 stop, dato che gli iso nelle digitali sono solo una convenzione.

L’acquisto di una macchina equipaggiata con il Foveon non è quindi per tutti, nel senso che deve nascere da una amatorialità, la stessa che spingeva a comprare le spider inglesi degli anni 60 che regalavano sensazioni uniche in strada e per le loro linee, e nel frattempo si dovevano accettare diversi compromessi in fatto di comodità o bizze meccaniche (ma che classe girare con una MG-A).

 

Francesco Radici

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