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W. Eugene Smith. Mostra fotografica: “Più reale del reale”
Autore: Leonardo Muscas - Pubblicato il 11/08/10 - Categoria Mostre
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Unica tappa italiana, curata da Enrica Viganò e da La Fàbrica di Madrid, organizzata da Camù e patrocinata dal Comune di Cagliari, è visitabile presso la Sala delle Volte del centro comunale d’arte ExMà, la mostra Più reale del reale, con le fotografie originali di William Eugene Smith, stampate dallo stesso autore e provenienti dal Center for Creative Photography di Tucson (Arizona).

Divisa in sei sezioni tematiche più una miscellanea ricorda la celebre, tormentata e appassionante figura di William Eugene Smith,  autore di straordinario rilievo nella storia della fotografia, che volle e riuscì a fondere nella sua persona l’artista e il reporter.

Dalle sue parole e dalle sue azioni emerge in tutta evidenza che a Smith non basta realizzare il servizio; alla documentazione di aspetti anche crudi e dolorosi sovrappone una personale visione creativa, con esiti che elevano la condizione umana ad una dimensione epica e drammatica. Non crede alla obiettività del fotografo, dichiara pubblicamente di non accontentarsi di “registrare i fatti” .ma che “pur restando fedele alla particolarità di ogni situazione” il suo obiettivo è “simbolizzare l’universale”

Egli ritiene la fotocamera uno strumento inadatto a registrare la verità. Solo il fotografo con la sua capacità di leggere gli avvenimenti, può darne una giusta interpretazione  “onesta si, ...obiettiva mai”.

Non esita quindi, per poter fotografare scene che si erano realmente verificate ma che non era riuscito a catturare in tempo reale, a chiedere ai suoi soggetti di ripetere le azioni davanti al suo obiettivo. A volte, in aperto contrasto con una delle norme fondamentali del fotogiornalismo, inserisce nella stessa stampa parti di fotogrammi diversi, oppure lavora alacremente in camera oscura per annerire sfondi, cancellare particolari. Tutto ciò non al fine di produrre falsificazioni ma, al contrario, proprio per ottenere quella rappresentazione coerente della realtà che lui ha visto, capito e interpretato ma che non potrebbe riportare fedelmente ai lettori se si limitasse ad un uso meccanicistico e acritico della macchina da ripresa.

Costruisce racconti fotografici con l’intento di coniugare la forza espressiva delle immagini con la narrazione letteraria. Crede in una funzione etica del fotogiornalismo e per raggiungere il suo scopo sente il bisogno di una autonomia professionale piena, che comprenda anche la scelta delle foto da pubblicare, la loro sequenza e l’impaginazione. Per questo motivo litiga a più riprese col suo datore di lavoro, Life, mettendo spesso in discussione il suo rapporto con la rivista.

Sulle pagine di Life vennero pubblicate le meravigliose immagini, ora presenti nella mostra di Cagliari, relative a Country Doctor, Spanish Village, Nurse Midwife, A man of mercy.

Il medico di campagna, commissionato da Life nel 1948 e pubblicato nel numero di settembre dello stesso anno, vede il fotografo impegnato a seguire e “documentare” la vita e l’attività medica del dr. Ernst Ceriani nella cittadina di Kremmling, in Colorado. Ma si tratta di una documentazione alla maniera di Smith, su cui John Szarkowski, dirà,  in occasione della mostra del 1965 al Museum of Modern Art di New York: “con questo saggio, il racconto fotografico lascia la narrazione per l’interpretazione”.

Nel 1950,  Life, chiedendo l’autorizzazione al governo di Francisco Franco per la realizzazione di un servizio sui “problemi dell’approvvigionamento alimentare” in Spagna, dovuto in parte all’embargo subito da quel paese nel dopoguerra, offre a Smith l’occasione per realizzare il suo Spanish Village,  che va ben oltre le ufficiali dichiarazioni d’intenti della rivista e dà lo spunto al fotografo per una indagine su condizioni di vita arcaiche ormai sconosciute all’economicamente evoluto popolo americano. Dopo due mesi di ricerca in territorio spagnolo Smith trova il villaggio che fa per lui: Deleitosa. Il suo stile fotografico “forte”, caratterizzato da stampe con neri profondi e bianchi puri, affascina i lettori che vedono il servizio pubblicato sul numero di Life del 9 aprile 1951.

La crescita di popolarità conferisce a Smith l’opportunità di realizzare un progetto che è nei suoi pensieri già da qualche anno. Ottiene da Life la commessa per il lavoro che sarà intitolato Nurse Midwife.   Maude Callen - una infermiera di colore che nella Carolina del Sud si dedica, con i pochi mezzi a disposizione, a portare cure, aiuto e ogni tipo di assistenza che le è possibile ad una popolazione svantaggiata e sofferente per la povertà e il razzismo - è la protagonista del nuovo toccante reportage, pubblicato con enorme successo su Life il 3 dicembre 1951. Il successo non è solo giornalistico, ma produce importanti effetti sociali, con la raccolta di fondi che permettono, due anni dopo, la costruzione di un nuovo ospedale che da tempo l’infermiera levatrice sogna per la sua gente.

Forse è anche la forte stima che il fotografo nutre (e pubblicamente dichiara) per Maude Callen, che lo porta a buttarsi con entusiasmo nel nuovo incarico di Life che ha per protagonista un’altra figura nota per le attività umanitarie. Premio Nobel per la pace nel 1952,  Albert Schweitzer è già famoso quando, nel 1954, Smith inizia il viaggio nelle terre africane ove il medico presta la sua opera. Ma questa volta le cose vanno diversamente. A causa della diffidenza verso il fotografo e della volontà di controllare l’immagine che i media darebbero di lui e della sua attività, il missionario e la sua equipe impongono una serie di restrizioni a Smith che non può fotografare come vorrebbe. Alla fine gli scatti che il reporter preferisce non sono i ritratti di Schweitzer, eseguiti sotto il suo controllo e alle sue condizioni, ma le immagini spontanee colte nei momenti di libertà. Lo stesso Albert Schweitzer appare al fotografo molto diverso dall’idea che si era fatto prima di conoscerlo ed il reportage, nell’idea dell’autore, dovrà celebrare non l’uomo famoso (e deludente) vincitore del premio Nobel,  bensì l’impegno della gente comune, prestatrice della propria opera in modo volenteroso e anonimo.

Ma il modo in cui Life presenta il servizio, noto col titolo Un uomo di carità, in disaccordo con Smith sia sulla scelta delle foto che sulla loro sequenza e impaginazione, conduce il fotografo alla scelta clamorosa e inaspettata delle dimissioni.

Apre un nuovo capitolo della sua vita (non solo professionale) aderendo alla Magnum e il suo primo incarico consiste nel fotografare Pittsburgh. Pittsburgh è la città americana industriale per eccellenza. Nota per le acciaierie, per le industrie causa di inquinamento atmosferico e produttrici delle armi protagoniste delle due guerre mondiali, a metà degli anni cinquanta pare voler cambiare volto. Vengono bonificate le acque, ripuliti i vecchi edifici anneriti dal fumo e dall’aria pesante, costruite strade, rimodernato il centro della città con palazzi nuovi e in alcune parti nasce il verde pubblico; alberi e fiori  abbelliscono il paesaggio urbano. Smith dovrebbe corredare di immagini il libro commissionato a Stefan Lorant per la celebrazione del bicentenario della città. Potrebbe svolgere il servizio in poche settimane, ma questo è il suo primo lavoro dopo la rottura con Life. Vuole dimostrare che, contrariamente alla convinzione diffusa nella editoria giornalistica, il fotografo, se ha il pieno controllo della sua opera, curando anche il testo, la scelta delle immagini e la loro impaginazione, decidendo lui il ritmo e il senso della narrazione, può arrivare a risultati di alto spessore artistico e letterario. Lavora quindi (in parte autofinanziandosi e in parte usufruendo di una borsa di studio offertagli dalla Guggenheim Memorial Foundation)  per due anni alle riprese e altri due alla cernita delle immagini e alla loro sequenza, alla ricerca del risultato “perfetto”. Ma la perfezione ossessivamente inseguita da Smith è una irraggiungibile utopia. Ci lascia comunque le splendide immagini di una città che volle raffigurare, è sua la definizione, come  “un’entità vivente”. A differenza dei precedenti saggi, ove singole persone (Hernst Ceriani, Maude Callen ....) sono delineate nelle loro caratteristiche particolari, in questo lavoro la città stessa è l’individuo da conoscere e ritrarre.

Dopo Pittsburgh la sesta sezione presente nella mostra dell’ExMà è Minamata. Minamata è una città giapponese colpita in modo devastante dall’inquinamento industriale, dovuto allo scarico di mercurio nelle acque dove viene pescato il pesce di cui gli abitanti si cibano. Molti si ammalano o vedono nascere figli con handicap fisici e/o mentali. Emblema di questo dolore è l’immagine intitolata Tomoko Uemura nel bagno. E’ una della più famose e commoventi fotografie di Smith: mostra, in un chiaroscuro drammatico e coinvolgente, le cure parentali rivolte dalla genitrice alla figlia.

William Eugene Smith, noto soprattutto come fotografo di Life e della agenzia Magnum, nell’arco della sua carriera pubblica su altre importanti riviste e libri, lavora per altre agenzie ed espone le proprie stampe negli spazi più prestigiosi.

Nato il 30 dicembre 1918 a Wichita, Kansas, dopo una vita intensa, caratterizzata da grandi successi e grandi dolori, muore improvvisamente il 15 ottobre 1978 a Tucson (Arizona).

La sua figura, già famosissima in vita, diviene memorabile dopo la morte. Viene creata la W. E. Smith  Foundation e istituito l’ambitissimo premio che porta il suo nome. Ci lascia un patrimonio di immagini di altissimo valore artistico e documentario. I suoi archivi sono custoditi presso il Center for Creative Photography di Tucson. Da lì provengono le foto della mostra Più reale del reale esposte presso l’ExMà di Cagliari.

La mostra, inaugurata il 16 luglio dal Sindaco Emilio Floris e dall’Assessore alla Cultura Giorgio Pellegrini, rimarrà aperta sino al 26 settembre 2010.

(Leonardo Muscas)


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