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Premetto che questo dubbio non vuole sminuire l’operato di
Vivian Maier, ma al contrario, se mai ce ne fosse la necessità, aumentarne il
valore.
Sono andato, chiaramente, a vedere la mostra “una fotografa ritrovata”, senza preconcetti e con la giusta curiosità per una caso dall’enorme richiamo mediatico. Volevo vedere e capire.
L’impatto è stato devastante. Mi sono commosso, come non mi capitava da tempo, nel cogliere quella che definirei un anima di atarassica serenità e osservatrice di umanità varia.
Ora, a parte consigliare di non perdere questa mostra e il non ripetere tutto quello che è già stato detto su questa grandissima fotografa, la mia considerazione è basata su un dubbio che andrò ad esporre.
Perché tutta la sua vita e la sua grande passione è finita
in un deposito in affitto? A parte la scontata risposta, inerente alle vicissitudini in
cui si è trovata, mi chiedo ulteriormente, perchè mai una persona qualsiasi (come
lei era), non volesse, accanto a se negli ultimi momenti della sua esistenza,
quello a cui aveva dedicato l’esistenza stessa. Per quale, eventuale, motivo?
Proviamo ad immaginare il periodo storico ( 1940/ 1960) , dove la diffusione fotografica era analogica e infinitamente ridotta rispetto a quello di cui siamo abituati a vedere oggi, dove i fotografi erano pochi e il livello era molto alto. Correva l’anno 1950 circa, a New York era da poco stata fondata la più importante agenzia fotografica del mondo, la Magnum Photos, a Chicago invece, nel 1937, faceva la sua comparsa il magazine “Look” che contribuì, non poco, alla scoperta di un allora giovane photoreporter, tale Stanley Kubrick, che successivamente prese ben altra strada. Due città nelle quali visse e morì la nostra Vivian.
E’ dunque possibile che una persona con così grande talento e passione, che produsse 150.000 scatti e non so quante stampe, che intraprese, da sola, per 6 mesi, tra il 1959 e il 1960, un viaggio intorno al mondo con la sua fotocamera, visitando le Filippine, la Thailandia, l'India, lo Yemen, l'Egitto, l'Italia e infine la Francia e che dedicò tutta la sua vita a questo amore indiscusso; è dunque possibile che non avesse MAI e poi MAI proposto il suo lavoro ad una qualche rivista/agenzia/galleria? Che MAI nessuno si accorse di lei?
Per questo mi domando se alla fine non si fosse semplicemente disillusa, dal non aver trovato riscontro in tutto quell’enorme lavoro, mai riconosciuto, e di conseguenza abbandonato in un box come per volersene dimenticare.
Non lo so, però mi piace pensare che NON sia andata così, che veramente abbia voluto custodire per se la sua immensa visione e non avendola potuta mantenere al suo fianco, nei giorni finali, ogni pensiero fosse comunque rivolto a quello.
In ogni caso è una storia triste, forse come tante altre che non avremo modo di scoprire, ma comunque triste.
M.N.