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Il fotografo iraniano Reza dice
che quando non fotografa si sente come un
leone in gabbia, come se gli mancasse
l’ossigeno. E prosegue: Non mi metto
necessariamente nella “condizione” di fotografare. E’ una seconda natura. Non
divento ogni volta fotografo, lo sono sempre.
Parole bellissime che ho fatto
mie da tempo, nella pratica fotografica e nell’insegnamento. Ma rileggendole,
oggi, sono un po’ spiazzato, e sottolineo oggi,
perché sento che devo riadattare quelle parole – nate in un contesto e in una
pratica fotografica analogica – ad uno scenario che ha molto stravolto le
modalità di acquisizione delle immagini.
Oggi le parole di Reza devono
misurarsi con un’altra realtà: i cellulari, in tutte le loro intriganti declinazioni
tecnologiche, ci hanno resi tutti
fotografi. In altre parole: non dobbiamo più diventare/trasformarci in fotografi per il semplice fatto che,
potenzialmente, lo siamo sempre, in ogni
momento della giornata: basta avere tra le mani, ad esempio, un iPhone. Ed
è sufficiente scorrere una qualsiasi bacheca di Facebook per toccare con mano con
quale vertiginoso ritmo le immagini fotografiche sono prodotte ed esibite.
Sia ben chiaro: non sono tra i
nostalgici, a tutti i costi, dei sali d’argento e, tanto meno, ripudio il
digitale come espressione dell’imbarbarimento della fotografia. Sono
semplicemente un fotografo che vive ed opera all’interno di un mutamento e cerca
di capirlo. Ed è proprio per questo che mi chiedo: ma che fine ha fatto l’ossigeno?
Se per Reza la fotografia era necessaria (come l’ossigeno, appunto), possiamo dire altrettanto per la fotografia
“da taschino”? Oppure c’è dell’altro? Il fatto è che la fotografia-da-taschino respira in un altro modo: ha sviluppato
– come dice Alessandro Baricco ne I
Barbari – le branchie. Per la fotografia-da-taschino, ad essere necessaria
non è più la fotografia come atto etico, estetico o intellettuale (come, ad
esempio, nei lavori di Diane Arbus o Nan Goldin; nelle Verifiche di Ugo Mulas o nell’epica delle migrazioni di Salgado,
tanto per citare alcuni nomi a caso). Per la fotogafia-da-taschino ad essere
necessaria non è la fotografia, ma la possibilità, in ogni momento, di
prelevare immagini dalla realtà, senza gerarchie etiche, estetiche o
intellettuali. Con il rischio - ecco il motivo del mio spiazzamento – di
produrre immagini che, non essendo più necessarie
come l’ossigeno, si rivelano sempre più spesso superflue.