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MC² - Museum’s collections # 2
Tema e variazioni nelle collezioni del museo d’arte contemporanea di Villa Croce
A cura di Francesca Serrati
Comitato scientifico: Tiziana Casapietra, Viana Conti, Leo Lecci, Pietro Millefiore, Sandro Ricaldone, Sandra Solimano
Genova, Museo d’arte contemporanea di Villa Croce
7 luglio – 26 settembre 2010
inaugurazione 6 luglio
Artisti in mostra: Maria Rebecca Ballestra/ Cesare Bignotti/ Andrea Botto/Stefano Buro/Monica Carocci/Guido Castagnoli/Silvia Cini/Plamen Dejanoff/ Roberto De Luca/ Cesar Domela/ Lucio Fontana/ Mauro Ghiglione/ Paolo Ghilardi/ Florence Henri/ Osvaldo Licini/ Richard Paul Lohse/ Churchill Madikida/ Piero Manzoni/Armando Marocco/Chantal Michel/ Fabio Niccolini/Massimo Palazzi /Giovanni Rizzoli/ Claudio Ruggieri/ Suitcase/ Grazia Varisco
MC² - Museum’s collections # 2. Tema e variazioni nelle collezioni del museo inaugurerà al museo di Villa Croce il prossimo 6 luglio proponendosi come secondo step, dopo la mostra del 2001 dedicata alle collezioni d’arte genovese e ligure, ma primo episodio del progetto La punta dell’Iceberg. Nuove acquisizioni per le collezioni del Museo, pensato quale appuntamento annuale di approfondimento sulle raccolte patrimoniali.
Alla base dell’esposizione c’è la volontà di “far emergere il sommerso”, puntando decisamente su lavori inediti - o quasi - per le sale del museo, con l’obiettivo di dare visibilità e promuovere la conoscenza delle opere della collezione permanente, che documentano l’attività di promozione della ricerca artistica emergente che il museo ha svolto e svolge in questi anni.
Il comune denominatore delle opere esposte è, paradossalmente, la pluralità dei linguaggi, intesi, per citare von Humboldt, come molteplici modi in cui innumerevoli popoli (artisti) risolvono il medesimo compito che è loro assegnato in quanto uomini (artisti), quello di creare linguaggio.
La molteplicità, nelle premesse teoriche, nelle tecniche - che coprono ogni possibile medium dalla foto all’installazione passando per pittura, disegno, scultura e video - negli obiettivi e nella stessa tipologia di acquisizione delle opere (entrate nelle raccolte del museo attraverso donazioni, acquisti o concorsi) pone l’accento sulle corrispondenze infinite – ma anche sulle conflittualità - tra artisti e modalità di espressione e si riflette in un allestimento che, partendo dalla sala camino al piano terra, si snoda nelle sale del piano nobile, volutamente alternando aree chiuse e aperte, interne e esterne. Come contrappunto alla ricerca contemporanea si insinuano in mostra alcune rarità provenienti dalla collezioni storiche del museo che accompagnano, commentano o contraddicono i lavori in mostra.
Il percorso si apre con il grande Gnomone di Grazia Varisco collocato sul prato della Villa a far da ponte verso lo spazio interno della sala del camino. Qui, precedute dal momento lirico dell’installazione di Claudio Ruggieri, le 5 “cose” di Massimo Palazzi, dimentiche dell’opera di Ghilardi cui si rapportavano direttamente nel lavoro realizzato nel 2003 per il museo, guardano al ritratto della Moira di Cesare Bignotti in bella mostra sopra il camino, ironica memoria di un’improbabile antenata di famiglia. Accompagnati dal cromatismo vettoriale di Paolo Ghilardi si raggiunge il primo piano accolti dai personaggi della famiglia Madikida che ingombrano la vista e il passaggio. Solo dopo essere passati sotto i varchi di Stefano Buro – una forca caudina dell’arte – si guadagna un momento di decompressione concettuale nel contrappunto tra il bianco e nero fotografico di Ghiglione, Carocci e Michel e quello mentale dell’Achrome di Piero Manzoni e di Uovo nero orizzontale di Lucio Fontana.
Si alternano a destra e a sinistra della sala d’ingresso, quella dedicata a Roberto De Luca, che ripropone in dimensioni ridotte l’installazione Ars munda e il caustico dittico Tea Service, e quella di Giovanni Rizzoli, che ruota intorno all’atmosfera di “sana tensione” del cerchio magico di Pleisurepain propagandosi alle sculture Implosion e Fioreamore , commentate dal vibrante dipinto di Osvaldo Licini , Scherzo, del 1932.
La concentrazione su ambienti antropizzati caratterizzati da una presenza/assenza della figura umana (Botto/Castagnoli/Suitcase) si specchia nella geniale sperimentazione sulle potenzialità artistiche del mezzo fotografico dei lavori di Cesar Domela, come alla seriale variazione cromatica di Vertikalen di Lohse fa eco la nitida partitura di forme e colori sottesa alla tecnica di appropriazione da post-produzione di Plamen Dejanoff.
Tra questi si colloca l’area occupata dall’installazione-video di Niccolini che disegna un diario emotivo e autobiografico di un viaggio trasformato in incubo.