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Prendo a prestito dal fotografo iraniano Reza (Il mestiere del fotografo) una sua osservazione sulla messa a fuoco: Oggi, gli apparecchi fotografici permettono di prendere a raffica quindici immagini al secondo con un autofocus integrato. Allora, il punto si faceva manualmente e l’assenza di motore ci costringeva a ricaricare. C’erano quindi quasi tre secondi tra un’immagine e l’altra. Era una diversa educazione dello sguardo.
Tre secondi. Solo tre secondi e tutto un universo visivo si modifica. In che modo? Reza lo dice in modo molto semplice: L’idea di anticipazione era prioritaria per ottenere una buona foto. Cosa significa tutto questo? Provo a riflettere (senza nostalgie o preferenze) intorno a queste due modalità di visione.
Tutto ruota intorno a quell’idea di “anticipazione”, che crea una distanza emotiva e concettuale tra lo sguardo e gli accadimenti. Con la raffica di scatti, in un certo senso, sono dentro gli eventi, li seguo in tempo reale e li raccolgo stando immerso nel flusso del loro accadere. Non stacco lo sguardo dal mirino per decidere, ma lascio che lo scorrere delle azioni si depositi nella sequenza delle inquadrature. E’ uno scorrere di significati indipendente dalle mie decisioni, che prenderò dopo, in fase di post-visualizzazione.
Armare l’otturatore e far scorrere la pellicola manualmente, quei tre secondi che non ci sono più, mi obbliga ad anticipare continuamente la mia messa a fuoco – prima mentale e poi ottica - della realtà, così che ogni scatto è il risultato continuo di una pre-visualizzazione del mondo. Le azioni (e i loro significati) scorrono nella mia mente e sono io a scommettere sull’attimo (futuro) da caricare di senso. E il mio occhio danza senza sosta tra il mirino e la realtà, in cerca del punto di equilibrio tra le cose e le immagini.