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Recensione su Exibart
La mostra propone un’ampia raccolta di fotografie realizzate da Silvia Amodio durante il suo soggiorno in Sud Africa, nel marzo 2005. Nota al grande pubblico per le sue straordinarie fotografie di animali – pubblicate in riviste come Arte Mondaderi o D la Repubblica delle Donne – nelle quali l’artista aveva elaborato dei veri e propri ritratti del mondo animale, Silvia Amodio presenta ora una serie sorprendente di immagini raffiguranti i volti umani, colti in tutta la loro più intima e dignitosa individualità.
Realizzate nella città di Longa, nei pressi di Capetown, le fotografie di Silvia riprendono gli abitanti del luogo – nelle loro espressioni più varie: serene, sofferte, timide o giocose – in seguito ad un terribile episodio che si era abbattuto su di loro: pochi mesi prima, un incendio di proporzioni devastanti aveva distrutto completamente le loro case, le loro baracche, costringendoli a vivere per molte settimane all’interno di grandi tende appositamente allestite dal governo. L’area, recintata da filo spinato e sottoposta a massicci controlli della polizia, era quasi impossibile da accedere. Silvia, camminando, come ricorda lei stessa, “in punta di piedi”, è riuscita non solo ad entrare in questa specie di enorme campo di profughi, ma è riuscita anche a stabilire, dopo alcune visite senza macchina fotografica, un bellissimo rapporto di fiducia, di intesa, con i loro abitanti.
Di qui, l’idea di intraprendere una campagna fotografica che, anziché insistere sui risvolti più strazianti o facilmente pietisti dell’evento, adottando una condotta spesso riscontrabile nelle fotocronache, potesse raccontare, al contrario, nella loro cordiale disponibilità, le molte storie nascoste dietro questi volti magnifici: magnifici perché resi personali, colti nella loro singolare individualità. Pochi attrezzi, molta buona volontà e, poco tempo dopo, un set fotografico rudimentale – ma efficace – si era materializzato come per incanto in mezzo alle tende: una cassetta di plastica, rovesciata, sulla quale si potevano sedere le persone, e l’ombra di una tenda – una delle tante tende che avevano invaso il campo – nell’intento di ottenere una luce uniforme, neutralizzante, sullo sfondo, capace di sottolineare l’immediata freschezza di uno sguardo, di un sorriso, di un viso asciutto e serio. I volti si trasformano, così, in protagonisti assoluti della scena, diventando, da meri oggetti di ripresa, a soggetti non solo da fotografare, ma da cogliere nella loro specifica dimensione umana, in tutta la loro densità emotiva, carichi di ricordi, racconti e memorie.
Con mano pronta, occhio agile, talvolta dopo aver fatto un unico scatto, Silvia è sempre in grado di afferrare, attraverso le sue magistrali immagini in bianco e nero, la coinvolgente intensità di uno sguardo, l’eloquente delicatezza di un gesto o di un movimento qualsiasi, trasformandoli, al tempo stesso, in indici rivelatori di un’umanità commovente e ricca, un’umanità da conoscere, da capire, da ascoltare, con rispetto e simpatia, nella loro profonda alterità. Ritratti di sguardi rubati al tempo e trasformati in monumenti di un’individualità che va ben oltre alle implicazioni aneddotiche, comiche o tragiche che siano, che hanno segnato quelle stesse esistenze, registrate – o meglio, rivelate – grazie alla macchina fotografica di Silvia Amodio. Un’occasione unica, dunque, per conoscere l’opera davvero inconfondibile dell’artista milanese.