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VINCENZO CASTELLA city [ ’siti]
Autore: Studio La Città
- Pubblicato il 15/01/10 - Categoria Mostre
23 gennaio 2010, ore 11.30.
Ci si orienta in una foto di Vincenzo Castella come ci si smarrisce in una città
di cui abbiamo perduto, con sorpresa, le coordinate. Eppure queste immagini
di Castella non sono altro che panorami urbani. Il punto di vista è sopraelevato,
la veduta è prospettica, lo spazio sembra ridursi ad una topografia decifrabile
e leggibile. Ma la presa panottica sulla realtà che dovrebbe garantirci un’unità
stabile e totale, ci rivela — al contrario — un altro ordine di spazialità: un
insieme di possibilità simultanee, frammenti di traiettorie plausibili, deviazioni
improvvise, resistenze inafferrabili che sfuggono a ogni forma di classificazione
dello spazio. Le immagini urbane di Castella lasciano riaffiorare tutto ciò che la
rappresentazione panoramica, per statuto, esclude e sopprime: la città abitata,
le sue procedure impercettibili, le sue funzioni reali, lo spazio vissuto. È come
se una sorta di vertigine si insinuasse sulla superficie orizzontale che satura,
attraverso la sovrapposizione delle stratificazioni architettoniche, il campo
visivo dell’immagine. I grandi frammenti urbani di Castella si presentano
sempre come l’effetto architettonico di movimenti dal basso, di ridistribuzioni
di funzioni, di metamorfosi continue, di accumulazioni lente. Dietro ogni strato
ce n’è sempre un altro che ne rivela un altro ancora, secondo concatenamenti
diversi, molteplicità non riducibili ad un ordine, sistemi acentrici. Castella
legge i percorsi e le traiettorie urbane come le trame di un racconto e, come le
trame narrative per Viktor Sklovskij sono nomadi, così anche quelle urbane
ritornano con le stesse matrici spaziali a diverse latitudini e longitudini, quasi
fossero una sorta di inconscio urbano, una narrazione conosciuta ma taciuta.
Andare da una immagine all’altra del libro SITI è come fare un viaggio
immobile, non in transito, all’interno di una sola città. Le maglie urbane
di Torino e di Amsterdam, gli isolati di Le Havre e Berlino, gli insediamenti
di Napoli e Gerusalemme si sovrappongono nello sguardo, si concatenano
tra loro secondo un movimento di ripetizione e differenza in cui non
ci sono copie, analogie etc, ma un insieme innumerabile di singolarità,
di molteplicità, di divenire. Non ha detto Deleuze che il vero nomadismo
è quello di colui che non si muove?
Marco Scotini
Studio la Città
Lungadige Galtarossa 21
37133 Verona, Italy
T +39.045.597549
F +39.045.597028
www.studiolacitta.it
Ci si orienta in una foto di Vincenzo Castella come ci si smarrisce in una città
di cui abbiamo perduto, con sorpresa, le coordinate. Eppure queste immagini
di Castella non sono altro che panorami urbani. Il punto di vista è sopraelevato,
la veduta è prospettica, lo spazio sembra ridursi ad una topografia decifrabile
e leggibile. Ma la presa panottica sulla realtà che dovrebbe garantirci un’unità
stabile e totale, ci rivela — al contrario — un altro ordine di spazialità: un
insieme di possibilità simultanee, frammenti di traiettorie plausibili, deviazioni
improvvise, resistenze inafferrabili che sfuggono a ogni forma di classificazione
dello spazio. Le immagini urbane di Castella lasciano riaffiorare tutto ciò che la
rappresentazione panoramica, per statuto, esclude e sopprime: la città abitata,
le sue procedure impercettibili, le sue funzioni reali, lo spazio vissuto. È come
se una sorta di vertigine si insinuasse sulla superficie orizzontale che satura,
attraverso la sovrapposizione delle stratificazioni architettoniche, il campo
visivo dell’immagine. I grandi frammenti urbani di Castella si presentano
sempre come l’effetto architettonico di movimenti dal basso, di ridistribuzioni
di funzioni, di metamorfosi continue, di accumulazioni lente. Dietro ogni strato
ce n’è sempre un altro che ne rivela un altro ancora, secondo concatenamenti
diversi, molteplicità non riducibili ad un ordine, sistemi acentrici. Castella
legge i percorsi e le traiettorie urbane come le trame di un racconto e, come le
trame narrative per Viktor Sklovskij sono nomadi, così anche quelle urbane
ritornano con le stesse matrici spaziali a diverse latitudini e longitudini, quasi
fossero una sorta di inconscio urbano, una narrazione conosciuta ma taciuta.
Andare da una immagine all’altra del libro SITI è come fare un viaggio
immobile, non in transito, all’interno di una sola città. Le maglie urbane
di Torino e di Amsterdam, gli isolati di Le Havre e Berlino, gli insediamenti
di Napoli e Gerusalemme si sovrappongono nello sguardo, si concatenano
tra loro secondo un movimento di ripetizione e differenza in cui non
ci sono copie, analogie etc, ma un insieme innumerabile di singolarità,
di molteplicità, di divenire. Non ha detto Deleuze che il vero nomadismo
è quello di colui che non si muove?
Marco Scotini
Studio la Città
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