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NEANCHE
Autore: Marco Natale
- Pubblicato il 13/09/08 - Categoria
Fine Art
neanche, neanche adesso, neanche ieri, neanche mai.
Scenari paralleli alla realtà odierna. Questione di tempi, di riletture, di riscritture identitarie. Essere qualcuno, essere chiunque, essere se stessi nelle vesti dell’altro. neanche questo, neanche quello. Adoperarsi al racconto, tendersi alla storia, a quella vera, nascosta, quotidiana. Essere vittima, essere persecutore, avere vent’anni, averne quaranta. Rifiutare il mascheramento, adoperarsi alla riorganizzazione identitaria. neanche, niente di tutto questo, il contrario netto. neanche assiste la negazione, la rafforza, genera sussistenza allo smembramento del palinsesto vero o presunto tale. Di colpo, neanche, taglia qualunque verità o qualsiasi inganno. Io sono ciò che vedo, colui che si riflette nella camera memoria, ne sono certo. Indago, rivisito, identifico me stesso nell’immagine iconica dell’epoca. Ne sono certo, sicuro, non ho dubbi, sono il gerarca impassibile, l’impiegato irreprensibile. Tutto vero, tutto assodato, punto. Non è vero, neanche questo, l’identità acquisita decade, si frantuma al suono dell’ennesimo neanche.
Tutto destabilizzato, tutto smembrato in un istante per lasciare spazio all’identità prossima. Adesso sono il persecutore, ne sono certo, indago, faccio mio ciò che non mi appartiene, posseggo l’anima e le cose. Sono convincente, impossibile non credermi, lavoro minuzioso, lavoro di precisione, ben fatto. Di colpo, neanche, mi sveste riidentificando tutto, un minuto, un secondo. Sono l’esatto opposto, il preciso contrario, la vittima, il debole, l’oppresso conosciuto. della camera memoria, oggi, adesso. Sono il persecutore, il gerarca perfetto, sono parte dell’archivio fotografico dello sgomento. Imperfetto uomo, perfetto boia, le mani, gli stivali, il cappello a protezione, nessuna svista, nessuna imperfezione, icona del torto. Entro a pieno titolo negli schedari fotografici della storia recente. Mi inserisco, senza forzature, negli archivi dello spietato quotidiano. È questa parola, il suo suono, la sua forma a fare da spartiacque tra questa e quella identità, tra questa e quella verità, tra questa e quella menzogna.
Scenari paralleli alla realtà odierna. Questione di tempi, di riletture, di riscritture identitarie. Essere qualcuno, essere chiunque, essere se stessi nelle vesti dell’altro. neanche questo, neanche quello. Adoperarsi al racconto, tendersi alla storia, a quella vera, nascosta, quotidiana. Essere vittima, essere persecutore, avere vent’anni, averne quaranta. Rifiutare il mascheramento, adoperarsi alla riorganizzazione identitaria. neanche, niente di tutto questo, il contrario netto. neanche assiste la negazione, la rafforza, genera sussistenza allo smembramento del palinsesto vero o presunto tale. Di colpo, neanche, taglia qualunque verità o qualsiasi inganno. Io sono ciò che vedo, colui che si riflette nella camera memoria, ne sono certo. Indago, rivisito, identifico me stesso nell’immagine iconica dell’epoca. Ne sono certo, sicuro, non ho dubbi, sono il gerarca impassibile, l’impiegato irreprensibile. Tutto vero, tutto assodato, punto. Non è vero, neanche questo, l’identità acquisita decade, si frantuma al suono dell’ennesimo neanche.
Tutto destabilizzato, tutto smembrato in un istante per lasciare spazio all’identità prossima. Adesso sono il persecutore, ne sono certo, indago, faccio mio ciò che non mi appartiene, posseggo l’anima e le cose. Sono convincente, impossibile non credermi, lavoro minuzioso, lavoro di precisione, ben fatto. Di colpo, neanche, mi sveste riidentificando tutto, un minuto, un secondo. Sono l’esatto opposto, il preciso contrario, la vittima, il debole, l’oppresso conosciuto. della camera memoria, oggi, adesso. Sono il persecutore, il gerarca perfetto, sono parte dell’archivio fotografico dello sgomento. Imperfetto uomo, perfetto boia, le mani, gli stivali, il cappello a protezione, nessuna svista, nessuna imperfezione, icona del torto. Entro a pieno titolo negli schedari fotografici della storia recente. Mi inserisco, senza forzature, negli archivi dello spietato quotidiano. È questa parola, il suo suono, la sua forma a fare da spartiacque tra questa e quella identità, tra questa e quella verità, tra questa e quella menzogna.
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