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NOI E LORO OVVERO
Autore: Stefano Zardini
- Pubblicato il 18/12/09 - Categoria Fine Art
Noi e loro ovvero dei dorsi.
La volontà è sempre degli uomini, mai la nostra.
Con i dorsi a portare, con il petto a tirare, con il collo a trascinare.
Con i muscoli a correre nel vento fino a loro, sul dorso, stanchi.
Briglie forti sulla schiena
a tirare ruote cigolanti sui sassi;
pioggia negli occhi, zoccoli nel fango.
Loro pesanti nel frastuono delle armi
e noi con le lance nel ventre
e punte di freccia aguzze, come fuoco nei polmoni
e poi, subito dimenticati con la bava nella bocca,
morenti, nei campi bagnati di sangue.
Noi con gli uri sempre pronti,
indispensabili per la vita di figli non nostri,
a trainare cose di loro ogni volta più grandi
e aratri sempre più profondi.
Sull’alpe o in fila, sotto lampade costantemente accese
senza conoscere se giorno o se notte,
a dare ciò che sarebbe dei nostri partoriti,
ogni sera e mattina.
E dopo il colpo sordo
fatti a pezzi e appesi
occhi a terra a trattenere il rosso con la bocca:
mangiarsi la morte perché non arrivi.
Le prepotenze, i torti, da mani esperte o da voci troppo giovani,
i colpi di bastone sul sudore fumante,
i morsi dei cani nei garretti,
l’obbedienza a comandi incomprensibili,
per stare, per andare più veloce, per tirare di più.
Obbedire solo per mangiare quanto necessario a lavorare.
Un gesto,
una vecchiaia quieta;
troppo poco per aver dato,
portato, trainato e galoppato.
Per mille e mille anni.
Solo regole antiche dell’universo,
nessuno li ha autorizzati a rubarci
la strada, l’aria, la vita.
Stefano Zardini
La volontà è sempre degli uomini, mai la nostra.
Con i dorsi a portare, con il petto a tirare, con il collo a trascinare.
Con i muscoli a correre nel vento fino a loro, sul dorso, stanchi.
Briglie forti sulla schiena
a tirare ruote cigolanti sui sassi;
pioggia negli occhi, zoccoli nel fango.
Loro pesanti nel frastuono delle armi
e noi con le lance nel ventre
e punte di freccia aguzze, come fuoco nei polmoni
e poi, subito dimenticati con la bava nella bocca,
morenti, nei campi bagnati di sangue.
Noi con gli uri sempre pronti,
indispensabili per la vita di figli non nostri,
a trainare cose di loro ogni volta più grandi
e aratri sempre più profondi.
Sull’alpe o in fila, sotto lampade costantemente accese
senza conoscere se giorno o se notte,
a dare ciò che sarebbe dei nostri partoriti,
ogni sera e mattina.
E dopo il colpo sordo
fatti a pezzi e appesi
occhi a terra a trattenere il rosso con la bocca:
mangiarsi la morte perché non arrivi.
Le prepotenze, i torti, da mani esperte o da voci troppo giovani,
i colpi di bastone sul sudore fumante,
i morsi dei cani nei garretti,
l’obbedienza a comandi incomprensibili,
per stare, per andare più veloce, per tirare di più.
Obbedire solo per mangiare quanto necessario a lavorare.
Un gesto,
una vecchiaia quieta;
troppo poco per aver dato,
portato, trainato e galoppato.
Per mille e mille anni.
Solo regole antiche dell’universo,
nessuno li ha autorizzati a rubarci
la strada, l’aria, la vita.
Stefano Zardini
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