Nella città i muri, le pareti, le facciate sono fronti che diventano moderne siepi leopardiane che, è vero, ostacolano lo sguardo e permettono immaginarie visioni al di là di essi, ma diventano, questa volta, anche la “carta” su cui segnare amori, poesie, giudizi e proteste. E’ la poetica dell’infinito urbano contemporaneo che narra una progressione di accessi e di silos, di pubblicità e di ombre, e quindi di segnali, figure religiose o della percezione del “calore” delle luci di periferia. Con l’occhio meccanico i non luoghi diventano luoghi e non resta altro che fermarsi ad osservarli finché non prendono le loro forme sospese. In ogni immagine il morbido e breve passaggio di colore, in qualche modo, simboleggia una temporanea traccia emozionale, forse la mia sincronia con gli spazi.