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Ethiopia...Red Blood
Autore: GABRIELE FERRARI
- Pubblicato il 03/05/12 - Categoria
Reportage
ETHIOPIA…RED BLOOD
Sono un viaggiatore.
E i miei occhi hanno fame.
Hanno fame di tutto ciò che possono vedere, scorgere, guardare in altri occhi. Occhi di gente sconosciuta che mi scruta e mi soppesa, cercando di capire chi io sia, se amico o nemico, se il mio sangue è rosso come il suo, se il coraggio e la paura, il dolore o la speranza danno a entrambi lo stesso fremito.
Tutto questo, ma non solo, vado cercando nei miei viaggi, inseguendo non il facile ricordo di una vacanza, ma la comprensione di ciò che ancora non conosco di questo sorprendente pianeta appeso nello spazio profondo, in cui caso o spirito divino ha infuso così tante e diverse forme di vita e di meraviglia, ma che tuttavia nessuna di esse sarebbe così lunga da poterle vedere tutte.
I miei spostamenti tra le varie latitudini mi hanno portato in Etiopia, a contatto con alcune tribù tra le quali ancora sopravvivono, a distanza di migliaia di anni, stili di vita, rituali e cerimonie iniziatiche non ancora contaminate dalle contemporanee abitudini globalizzanti.
Anche se nella quotidianità le armi automatiche hanno soppiantato archi e lance.
Lungo le sponde del fiume Omo, ho potuto avvicinare l’etnia Surma e assistere a eventi tra i più spettacolari e, ai nostri occhi, inspiegabilmente cruenti, che fanno parte della loro cultura e che possiedono all’interno di essa una funzione sociale ben precisa, immutabile dagli albori della storia umana. Uomini e donne dall’aspetto altero e statuario conservano un’indole orgogliosa e indipendente, ancora sospettosa verso gli stranieri e a tratti bellicosa, praticano sui loro corpi pitture di artistico, selvaggio astrattismo e scarificazioni per testimoniare il coraggio e l’audacia nell’aver ucciso animali o nemici. Le donne deformano, secondo i nostri canoni, le loro bocche inserendo nelle labbra piattelli di legno o argilla che possono superare anche i quindici centimetri di diametro, vengono fustigate dagli uomini durante una cerimonia iniziatica e le cicatrici, dolorose e indelebili, dimostrano il loro coraggio nelle avversità, la fedeltà verso il clan e l’interesse maschile nei loro confronti. Più numerose saranno le cicatrici, da scarificazione e da fustigazione, più il piattello inserito sarà grande, più la donna sarà desiderabile e ambita come moglie.
Dal canto loro gli uomini, abili e indomiti guerrieri, per conquistare i favori femminili si sfidano in un duello rituale per nulla simbolico: la Donga.
Tutto il villaggio o più villaggi si riuniscono per vedere questa lotta dove il sangue è copioso protagonista, in cui i guerrieri si affrontano con bastoni lunghi circa due metri e mezzo, percuotendosi con violenza.
Nessun colpo è proibito. Un’unica regola: non si deve uccidere l’avversario.
I vincitori saranno portati in trionfo e tra loro le donne nubili potranno scegliere il marito.
Il sangue, simbolo di audacia, di morte come di vita, scandisce l’esistenza di queste genti, tanto da essere bevanda sacrale al passaggio dei ragazzi all’età adulta. E’ il pasto di sangue, pratica ai nostri occhi impressionante, ma con grande valore simbolico per chi ancora, come loro, lotta per la vita faticosamente, quotidianamente in un corpo a corpo con la natura maestosa, ma spesso ingenerosa, di queste terre ancora primordiali.
Molte cose ho visto e imparato in questo viaggio e altrettante resteranno alla mia mente misteriose.
Sono un viaggiatore.
Ho immortalato il mio pasto perché, se anche i tuoi occhi hanno fame, tu possa dividerlo con me.
Gabriele Ferrari
Tutte le foto presenti in questa pagina e in questo progetto fotografico (Ethiopia...Red Blood) di Gabriele Ferrari, salvo diversamente specificato, appartengono a Gabriele Ferrari e sono protette a livello internazionale dai diritti di proprietà intellettuale in materia di tutela del diritto d'autore, legge n. 633/1941 e successive modifiche ed integrazioni.
Pertanto è vietata la riproduzione totale o parziale dei contenuti di questa pagina web senza l'autorizzazione scritta di Gabriele Ferrari.
Sono un viaggiatore.
E i miei occhi hanno fame.
Hanno fame di tutto ciò che possono vedere, scorgere, guardare in altri occhi. Occhi di gente sconosciuta che mi scruta e mi soppesa, cercando di capire chi io sia, se amico o nemico, se il mio sangue è rosso come il suo, se il coraggio e la paura, il dolore o la speranza danno a entrambi lo stesso fremito.
Tutto questo, ma non solo, vado cercando nei miei viaggi, inseguendo non il facile ricordo di una vacanza, ma la comprensione di ciò che ancora non conosco di questo sorprendente pianeta appeso nello spazio profondo, in cui caso o spirito divino ha infuso così tante e diverse forme di vita e di meraviglia, ma che tuttavia nessuna di esse sarebbe così lunga da poterle vedere tutte.
I miei spostamenti tra le varie latitudini mi hanno portato in Etiopia, a contatto con alcune tribù tra le quali ancora sopravvivono, a distanza di migliaia di anni, stili di vita, rituali e cerimonie iniziatiche non ancora contaminate dalle contemporanee abitudini globalizzanti.
Anche se nella quotidianità le armi automatiche hanno soppiantato archi e lance.
Lungo le sponde del fiume Omo, ho potuto avvicinare l’etnia Surma e assistere a eventi tra i più spettacolari e, ai nostri occhi, inspiegabilmente cruenti, che fanno parte della loro cultura e che possiedono all’interno di essa una funzione sociale ben precisa, immutabile dagli albori della storia umana. Uomini e donne dall’aspetto altero e statuario conservano un’indole orgogliosa e indipendente, ancora sospettosa verso gli stranieri e a tratti bellicosa, praticano sui loro corpi pitture di artistico, selvaggio astrattismo e scarificazioni per testimoniare il coraggio e l’audacia nell’aver ucciso animali o nemici. Le donne deformano, secondo i nostri canoni, le loro bocche inserendo nelle labbra piattelli di legno o argilla che possono superare anche i quindici centimetri di diametro, vengono fustigate dagli uomini durante una cerimonia iniziatica e le cicatrici, dolorose e indelebili, dimostrano il loro coraggio nelle avversità, la fedeltà verso il clan e l’interesse maschile nei loro confronti. Più numerose saranno le cicatrici, da scarificazione e da fustigazione, più il piattello inserito sarà grande, più la donna sarà desiderabile e ambita come moglie.
Dal canto loro gli uomini, abili e indomiti guerrieri, per conquistare i favori femminili si sfidano in un duello rituale per nulla simbolico: la Donga.
Tutto il villaggio o più villaggi si riuniscono per vedere questa lotta dove il sangue è copioso protagonista, in cui i guerrieri si affrontano con bastoni lunghi circa due metri e mezzo, percuotendosi con violenza.
Nessun colpo è proibito. Un’unica regola: non si deve uccidere l’avversario.
I vincitori saranno portati in trionfo e tra loro le donne nubili potranno scegliere il marito.
Il sangue, simbolo di audacia, di morte come di vita, scandisce l’esistenza di queste genti, tanto da essere bevanda sacrale al passaggio dei ragazzi all’età adulta. E’ il pasto di sangue, pratica ai nostri occhi impressionante, ma con grande valore simbolico per chi ancora, come loro, lotta per la vita faticosamente, quotidianamente in un corpo a corpo con la natura maestosa, ma spesso ingenerosa, di queste terre ancora primordiali.
Molte cose ho visto e imparato in questo viaggio e altrettante resteranno alla mia mente misteriose.
Sono un viaggiatore.
Ho immortalato il mio pasto perché, se anche i tuoi occhi hanno fame, tu possa dividerlo con me.
Gabriele Ferrari
Tutte le foto presenti in questa pagina e in questo progetto fotografico (Ethiopia...Red Blood) di Gabriele Ferrari, salvo diversamente specificato, appartengono a Gabriele Ferrari e sono protette a livello internazionale dai diritti di proprietà intellettuale in materia di tutela del diritto d'autore, legge n. 633/1941 e successive modifiche ed integrazioni.
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