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Il crimine del silenzio
Autore: Daniele Libero Campi Martucci
- Pubblicato il 31/05/12 - Categoria
Reportage
A poco più di trenta anni di distanza dalla promulgazione della legge 180 l’attenzione non è più rivolta a coloro che vivevano negli ospedali psichiatrici in condizioni di repressione e reclusione, ma al "dopo": quasi tutti gli "ospedali dei pazzi" sono stati chiusi, in alcuni casi sono stati riconvertiti in ambito assistenziale ed ospedaliero, altri sono divenuti oggetto di speculazioni edilizie. La maggior parte, tuttavia, versa in uno stato di completo abbandono, il quale rappresenta simbolicamente l’abbandono di quanti vi hanno vissuto in silenzio. Questo immenso patrimonio culturale e sociale è inesorabilmente destinato a scomparire, ad essere cancellato in maniera definitiva: se agli inizi i manicomi venivano impiantati in località lontane e nascoste alla vista urbana per non disturbare la vita ritenuta civile, con la loro chiusura si è assistito all’ultimo atto di una tragedia umana che attende la morte dei suoi ultimi attori, per cancellare infine anche i teatri in cui essa è stata messa in scena.
Restano perciò le foto come testimonianze tacite del degrado e dell’incuria: consentono di scrutare, vivere e respirare il passato, muovere pochi infermi passi tra macerie e carte ingiallite dal tempo e dalla pioggia, leggere le ultime sbiadite parole di vite che ormai appartengono alla polvere. E, allo stesso tempo, rappresentano un monito per non reiterare gli errori già commessi in passato. Nel silenzio, lo stesso silenzio che scivola fragoroso lungo pareti scrostate, ricoperte di muffa, corridoi, camerate, sale, stanze, celle, viscere dolenti di freddi ventri di prigionia. Il silenzio assordante della storia e della vita, il silenzio di istituzioni distratte e di popoli che cancellano le vestigia del passato per ripulire la coscienza macchiata di vergogne e impunità. È tuttavia una storia ancora dolorosamente attuale di reietti, di uomini, donne e bambini, di privazione e dolore, a volte di speranza, che la cosiddetta "civiltà" cerca di nascondere tra le pieghe della propria veste ipocrita, dimenticando che una società che rinnega il proprio passato è una società priva di futuro.
Restano perciò le foto come testimonianze tacite del degrado e dell’incuria: consentono di scrutare, vivere e respirare il passato, muovere pochi infermi passi tra macerie e carte ingiallite dal tempo e dalla pioggia, leggere le ultime sbiadite parole di vite che ormai appartengono alla polvere. E, allo stesso tempo, rappresentano un monito per non reiterare gli errori già commessi in passato. Nel silenzio, lo stesso silenzio che scivola fragoroso lungo pareti scrostate, ricoperte di muffa, corridoi, camerate, sale, stanze, celle, viscere dolenti di freddi ventri di prigionia. Il silenzio assordante della storia e della vita, il silenzio di istituzioni distratte e di popoli che cancellano le vestigia del passato per ripulire la coscienza macchiata di vergogne e impunità. È tuttavia una storia ancora dolorosamente attuale di reietti, di uomini, donne e bambini, di privazione e dolore, a volte di speranza, che la cosiddetta "civiltà" cerca di nascondere tra le pieghe della propria veste ipocrita, dimenticando che una società che rinnega il proprio passato è una società priva di futuro.
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