Immagini » Natura » Scheda Progetto
La fotografia subacquea
Autore: Antonio Bignami
- Pubblicato il 16/02/10 - Categoria Natura
Ogni isola aveva la sua barriera corallina personale, riserva privata di vita e di colori: nel pass, un canale naturale che tagliava in due l’oceano collegando il mare esterno con il mare interno, nuotavano, in venti, venticinque metri di vertigine azzurra, pesci più grandi.
Oltre, dove l’acqua del pass sprofondava, con un gradino netto, verso le migliaia di metri di fondo dell’Oceano Indiano, nascevano, vivevano, combattevano e morivano i grandi padroni del blu: squali, tonni, carangidi, barracuda, king-fish, pesci vela e marlin.
Seguivano richiami ed istinti a noi sconosciuti, nuotando continuamente verso chissà quali confini: negli angoli e sui gradini della porta del mare aperto dove il fondale cedeva al blu cupo della caduta, la corrente violenta dava nutrimento e vita regalando la visione di una quantità di pesci assolutamente inimmaginabile, un’ apoteosi colossale di guizzi e scodate. Fondi, sempre più fondi, bisognava scendere più giù del blu dove ci tuffavamo lasciando in superficie turbolenze e inquietudini. In fondo scendevo sotto la superficie del mare per staccarmi dalle ansie della vita che iniziavano a premere lassù dove, come uno schizzo di fissaggio sul negativo, galleggiava minuscola e lontana la barchetta appoggio. Il mondo sott’acqua, soprattutto quando non si è collegati alla tecnologia di un autorespiratore, lo si vede sempre così, capovolto: il cuore rallenta, il sangue cambia il suo corso e va a riempire gli spazi del nostro corpo che altrimenti cederebbe.
Oltre, dove l’acqua del pass sprofondava, con un gradino netto, verso le migliaia di metri di fondo dell’Oceano Indiano, nascevano, vivevano, combattevano e morivano i grandi padroni del blu: squali, tonni, carangidi, barracuda, king-fish, pesci vela e marlin.
Seguivano richiami ed istinti a noi sconosciuti, nuotando continuamente verso chissà quali confini: negli angoli e sui gradini della porta del mare aperto dove il fondale cedeva al blu cupo della caduta, la corrente violenta dava nutrimento e vita regalando la visione di una quantità di pesci assolutamente inimmaginabile, un’ apoteosi colossale di guizzi e scodate. Fondi, sempre più fondi, bisognava scendere più giù del blu dove ci tuffavamo lasciando in superficie turbolenze e inquietudini. In fondo scendevo sotto la superficie del mare per staccarmi dalle ansie della vita che iniziavano a premere lassù dove, come uno schizzo di fissaggio sul negativo, galleggiava minuscola e lontana la barchetta appoggio. Il mondo sott’acqua, soprattutto quando non si è collegati alla tecnologia di un autorespiratore, lo si vede sempre così, capovolto: il cuore rallenta, il sangue cambia il suo corso e va a riempire gli spazi del nostro corpo che altrimenti cederebbe.
Questo progetto non ha ancora ricevuto feedback.
Questa pagina è stata visitata 8713 volte