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Immagini » Still life » Scheda Progetto

Love is in the (h)air - Una storia di... capelli. // CALENDARIO 2016
Autore: Ideareattiva.com - Pubblicato il 07/12/15 - Categoria Still life
Love is in the (h)air - Una storia di... capelli. // CALENDARIO 2016

C’era una volta una ragazza con dei capelli lunghissimi… Avrei voluto iniziare così il mio racconto, ma il “c’era una volta” in genere finisce con un “…e vissero felici e contenti” e le storie non sempre hanno un lieto fine.

I capelli: c’è chi li ha corti, chi lunghi, chi lisci, chi mossi, chi biondi, chi mori, chi li odia, chi li ama. Amo e amavo i miei capelli, soprattutto i miei “vecchi” capelli, quelli che ho tagliato il 4 giugno 2015. Negli ultimi quindici anni li ho portati sempre allo stesso modo: neri, lisci, talmente pari che sembravano tagliati con la squadretta e corredati da una drittissima frangia corta. Erano lunghi, di una lunghezza che veniva definita “chilometrica”. Del resto avevo circa 90 centimetri di capelli, definirli lunghi sarebbe stato un eufemismo! Quella “chioma” era il mio vanto, la curavo con attenzione certosina, era sana e lucida, senza l’ombra di una doppia punta: era il frutto di tanti anni di lavoro.

Il 4 giugno è successo il disastro.

Tutto è cominciato da un desiderio, il desiderio di cambiare e voler tingere i miei capelli sulle tonalità del grigio-bianco. Mi sono sempre piaciuti i capelli bianchi, o quelli “sale e pepe”, li ho sempre trovati molto eleganti. Un giorno, nel salone della mia “storica” parrucchiera, durante il mio solito trattamento – colore, spuntatina e piega − le ho parlato della mia idea di voler tagliare i capelli a caschetto e che l’avrei fatto solo per un determinato colore − sapevo già che un colore così azzardato non era fattibile su dei capelli così lunghi − così le ho fatto vedere una foto che ritraeva una ragazza con dei bellissimi capelli grigi con meches bianche. La mia parrucchiera, che è sempre stata una “fan” dei miei capelli e che non mi ha mai proposto di tagliarli, nel sentire la mia richiesta, mi ha risposto a “brutto muso” con testuali parole: «Tu! Il bianco! Sai quanto ci vuole per portar via i tuoi strati di nero fatti in questi anni? Io non ti rovino i capelli, se vuoi una cosa del genere ti faccio firmare un contratto!». Inizialmente ho pensato che non me li volesse fare chissà per quale motivo, o che non li sapesse fare di quel colore: che fosse una scusa.

Nei giorni seguenti – visto che il tarlo del capello bianco mi era rimasto – ho pensato di chiedere ad altri parrucchieri; se avessi sentito un altro rifiuto, avrei abbandonato la mia idea. Mi sono messa alla ricerca e ho trovato un parrucchiere della zona che pubblicava foto di capelli dai colori particolari e ho pensato che avrebbe fatto al caso mio. Gli ho mandato una mail spiegando la mia idea e allegando foto dei miei capelli allo stato attuale e di come li avrei voluti. Questa persona mi ha risposto dicendo che si potevano fare, ma per potermi dare la conferma, avrebbe dovuto constatare lo stato dei miei capelli e così ho preso l’appuntamento.

Il 4 giugno alle 15.30 mi sono presentata al suo salone. Mi sono seduta e ho sciolto la lunga coda che portavo quel giorno. Il parrucchiere, vedendo i miei capelli, li ha subito elogiati dicendo che erano bellissimi e sanissimi, ha aggiunto che potevo fare il trattamento richiesto su dei capelli più corti e che sarei dovuta stare “sotto i ferri” l’intera giornata e forse anche il giorno seguente. Gli ho detto che non me li avevano voluti fare per via della pericolosità del trattamento, e lui, sicuro, con testuali parole mi ha risposto: «Tutto si può fare!». Mi ha spiegato che avrebbe fatto tante decolorazioni a basso volume e che in questo modo i capelli non si sarebbero rovinati, al limite un po’ seccati, come di norma accade con le decolorazioni. Poi – dicendo che era il “colore dell’anno” – mi ha fatto vedere un video che faceva proprio al caso mio, ovvero di una modella con i capelli neri sulla quale veniva eseguito lo stesso trattamento che avrei fatto. Entusiasta dei risultati a video – già mi immaginavo con un bel caschetto bianco-grigio − gli ho detto di procedere, lui si è girato verso le sue assistenti e ha esordito così: «Lo sapete che ci dobbiamo fa’ il culo oggi?». Poi ha preso le forbici e un elastico rosso, mi ha legato i capelli in una coda bassa e… “zac” me li ha tagliati. Ho sempre pensato di soffrire per il taglio dei capelli e invece mi sono vista allo specchio con un bel caschetto corposo, ero contenta perché non mi ero mai vista così. Mi giro e a fianco a me, sul mobiletto, era appoggiata la mia coda di circa 55 centimetri per un etto di capelli. Vederli lì soli soletti − ad essere sinceri − mi ha fatto un po’ senso: quella “cosa” che mi ha accompagnato per tanti anni ed è cresciuta con me, non c’era più.

Dopo pochi minuti, è arrivata l’assistente con il carrello con tutto l’armamentario per il trattamento – pennello, decolorante e stagnole – e ha iniziato ad applicare il decolorante a circa 3 centimetri dalla radice chiudendo poi la stagnola che aveva precedentemente posizionato sotto a ogni ciocca. Ho trascorso così l’intero pomeriggio, tra spennellate di decolorante, chiusura e riapertura delle stagnole, nuova spennellata di decolorante; sempre così per ben tre volte. Ero diventata impaziente e soprattutto curiosa. Verso le 19.30 – dopo quattro ore di trattamento – mi hanno tolto le stagnole. Immaginavo di trovarmi dei bei capelli bianchi e invece, mi sono guardata allo specchio di fronte a me e ho visto tante ciocche color tuorlo d’uovo. Mi hanno spiegato che il nero era difficile da portar via e che sarei dovuta tornare la mattina seguente. L’assistente mi ha lavato i capelli e vi ha applicato una crema, poi mi ha fatto una coda – viste le condizioni – e sono tornata a casa.

La mattina del 5 giugno mi sono presentata al salone alle nove in punto, eravamo ancora a metà lavoro ed ero troppo impaziente di vedere il risultato finale. Mi sono seduta, l’assistente ha ricominciato il trattamento con il decolorante e mi ha detto che dopo quell’ultima applicazione, i capelli sarebbero diventati bianchi e su quelli avrei potuto fare tutti i colori: grigio, rosa, azzurrino… Dopo circa tre ore, mi hanno tolto le stagnole, “Evvai”, pensavo dentro di me, “Ci siamo”, mi sono guardata allo specchio e… avevo i capelli biondi! Mi hanno detto che il trattamento non era ancora finito e che avrebbero dovuto passarmi un tonalizzante grigio. Delusa, ma ancora speranzosa, sono andata al lavatesta, dove mi hanno sciacquato il decolorante e applicato il tonalizzante. Trascorso il tempo di posa e sciacquato il tonalizzante, i miei capelli erano ancora perfettamente biondi. Sono tornata al lavatesta e mi hanno applicato nuovamente il tonalizzante. Avevo perso la speranza e infatti, appena sciacquata la seconda applicazione, avevo la testa di un bruttissimo biondo cenere, che non si avvicinava lontanamente al bianco o al grigio che desideravo. Mi sono rivolta al parrucchiere dicendogli che tutto avrei voluto tranne che il biondo. Lui mi ha risposto che per raggiungere il risultato sarei dovuta tornare il mese prossimo, poi ha preso le forbici e mi ha “sistemato” il taglio facendomi un caschetto più corto di quello richiesto e ha proceduto alla piega. Mi sono guardata allo specchio, i capelli erano tutti secchi, sembravano canapa, di quella che utilizzano gli idraulici, al tatto non erano più i miei capelli morbidi e setosi, e poi erano biondi! Il biondo proprio non mi andava giù. Delusa – anche se ancora dovevo realizzare perché era una novità, ero confusa e stanca visto che si erano fatte le 15.30 ed ero stata lì per ben sei ore – mi sono alzata e sono andata alla cassa a pagare un conto salatissimo. Il titolare mi ha salutato chiedendomi se ci saremmo rivisti per il trattamento nel mese prossimo. In quel momento gli ho detto di sì, poi ho salutato tutti e sono uscita.

Tornata a casa, sono stata un’ora davanti allo specchio a guardare quei capelli ormai irriconoscibili, non solo nel colore, ma anche al tatto. Ho deciso di chiamare il parrucchiere, non avrei potuto resistere un mese con quel biondo – chiamarlo biondo sarebbe stato un complimento – e non avrei potuto continuare a rovinare i capelli il mese dopo con ulteriori decolorazioni, capelli che erano già stati ridotti “all’osso”. Il discorso che mi è stato fatto in parrucchierìa era da pazzi! Quando mi ha risposto al telefono l’ho sentito nervoso – conscio del danno che aveva fatto e delle fesserie che aveva detto – gli ho chiesto subito se avesse potuto riparare con la tinta nero-blu che ero solita fare e mi ha detto di tornare il mattino seguente per le correzioni richieste.

La mattina del 6 giugno sono tornata al salone, il parrucchiere mi ha spiegato che avrebbe fatto una pre-pigmentazione per poi procedere con la tinta nero-blu. In breve, mi hanno applicato il trattamento e poi il colore. Al risciacquo il parrucchiere ha detto che c’era bisogno di un’altra applicazione di tinta perché era venuta troppo “metallica”. Fatto ciò e trascorso il tempo di posa, mi hanno risciacquato. Mi sono seduta sulla poltroncina per la messa in piega e ho notato che la ragazza che asciugava i miei capelli, li guardava preoccupata. Mi sono vista allo specchio ed è stato un incubo. Ho visto un nero blando e spento, altre ciocche che si spezzavano, capelli che volavano ovunque. Avevo un magone che quasi mi faceva male lo stomaco. Se non mi fossi trovata lì, sarei scoppiata in lacrime seduta stante. Mi è passata davanti agli occhi tutta la mia vita con i miei capelli: la soddisfazione che provavo quando mi arrotolavo tra le dita quelle ciocche setose e robuste, la lunga coda che facevo spesso, le persone che mi fermavano per chiedermi se fossero tutti miei. In quell’istante ho visto con occhi velati dall’amore anche i momenti passati a districarli sotto la doccia: erano parte di me e non c’erano più. Non solo non erano più lunghi, ma erano anche rovinati. Erano diventati ispidi e sottili, talmente danneggiati che si muovevano tutti assieme, come una parrucca di pessima fattura. Era riuscito a rovinare i miei bellissimi capelli ed io non mi riconoscevo più.

Finita la messa in piega – erano le 14.30 – nel salutare ho visto la faccia funerea del titolare che – senza parlare – ha accennato un saluto verso di me, poi sono uscita pensando che mai avrei rimesso piede in quel posto.

Sono tornata a casa a piedi. Durante il tragitto, gli occhiali da sole hanno schermato i miei occhi lucidi e avevo un groppo enorme alla gola. Passavo davanti ai negozi e non avevo il coraggio di guardare il mio riflesso nelle vetrine, né tantomeno quello di avvicinare le mani ai capelli; andavo di fretta e non vedevo l’ora di tornare a casa, perché di lì a poco sarei scoppiata a piangere. Rientrata, ho trovato i miei genitori, non mi hanno detto nulla, avevano capito tutto dalla mia faccia. Non sono riuscita a toccare il pranzo che mi aveva lasciato mamma sul tavolo e sono scoppiata in lacrime. Il dolore era troppo forte e in quel momento non volevo sentire nessuno. Mi sembrava di vivere un incubo. L’entusiasmo che avevo prima di quei tre giorni e che è sempre stato parte del mio carattere, era totalmente scomparso.

Una mezz’ora dopo è arrivato il mio ragazzo a prendermi, non avevo nessuna voglia di uscire. Non mi ha detto nulla dei capelli, per lui era una cosa futile, lunghi o corti non faceva alcuna differenza. Sono riuscita a prepararmi e siamo usciti. Prima che entrasse in macchina gli ho detto di passarmi a prendere davanti alla casa della mia amica. Dovevo far vedere a lei il disastro e volevo avere il conforto di una persona che forse – essendo una donna oltre che la mia amica – avrebbe capito. Ho suonato il suo campanello ed è scesa. Quando mi ha visto non poteva crederci e la prima cosa che ha detto è stata: «È riuscito a rovinare i tuoi bellissimi capelli!». Ha continuato dicendo che se fosse capitato a lei – con i suoi capelli sottili – sarebbe rimasta calva e ha cercato di confortarmi dicendo che i capelli sarebbero tornati quelli di una volta. L’ho salutata e sono salita in macchina.

Nel pomeriggio ho visto parecchie persone. Molti vendendomi in quello stato non hanno avuto il coraggio di dirmi nulla, alcuni erano curiosi di sapere, altri dicevano che comunque il taglio mi stava bene. Il problema non era il taglio, ma il danno. Stranamente mi ha fatto più piacere sentire chi ha cercato di farmi ridere prendendomi in giro e chiamandomi “Elda doppie punte” – proprio a me che prima di quel giorno non conoscevo l’esistenza delle doppie punte – ed è riuscito a strapparmi un sorriso nonostante avesse rigirato il dito nella piaga. Poi c’è stato un commento di chi, scioccato per l’accaduto poiché ha sempre elogiato i miei capelli, non conoscendo la storia mi ha detto con testuali parole: «Che cazzo stavi a pensà quando ti stava a taglià i capelli?».

I tre giorni seguenti sono stati tremendi, ho pianto sempre e non ho parlato con nessuno, a casa erano preoccupati visto che sono sempre stata una grandissima chiacchierona. Poi il dolore si è tramutato in rabbia. Nei giorni dopo ho chiesto pareri a vari professionisti del settore, tutti dicevano che era un danno frutto dell’incompetenza di quella persona – chiamarlo parrucchiere sarebbe stata un’offesa verso tutta la categoria – mi è stato detto che la premura di un bravo parrucchiere dovrebbe essere quella di conservare sempre la fibra del capello anche di fronte ad un mancato guadagno; era un lavoro da non fare e addirittura da denunciare. Ero combattuta sul da farsi, però ho voluto ascoltare i miei genitori che mi hanno sconsigliato di intraprendere una causa civile per via delle lungaggini della burocrazia italiana.

Visto che sono sempre stata una persona che non si è mai abbattuta, una di quelle che ha sempre visto il “bicchiere mezzo pieno”, ho cercato di riprendermi e una settimana dopo sono tornata dalla mia parrucchiera per riparare il danno. Quando mi ha visto è rimasta scioccata, non se lo aspettava tutto quel disastro. I capelli della zona superiore erano tutti spezzati a 4 centimetri dalla radice, le punte invisibili per quanto erano state danneggiate, i capelli avevano perso tutta la loro elasticità. Quando li lavavo, “bevevano” parecchio e impiegavo un’ora ad asciugarli, mentre con i miei 90 centimetri di capelli ci mettevo venti minuti per quanto erano sani e – come direbbero i parrucchieri – con le “squame” chiuse. La parrucchiera però mi ha rincuorato, dicendo che almeno le radici erano sane e i capelli, con i dovuti trattamenti alla cheratina e tanta pazienza, sarebbero stati riparati. Mi sentivo come Sansone, però mi sono fatta forza e ho iniziato subito a curarli: con trattamenti dalla parrucchiera, il mantenimento a casa e gli integratori al miglio. Mi sono costati tempo e soldi e, come diceva mamma, erano diventati il “tormentone” dell’estate.

Ora, passati sei mesi, posso dire di essermi ripresa, i capelli si sono in parte risanati e sono anche cresciuti parecchio. Devo essere sincera, ogni tanto mi viene la nostalgia e allora riguardo la mia lunga coda che è custodita in una scatola e che, non ha perso la sua lucentezza. È difficile far capire alle persone che non hanno mai portato i capelli così lunghi per così tanto tempo quello che si prova. È come subire un danno con un’operazione estetica e non riconoscersi più. Lo so che sono capelli e ricresceranno e torneranno quelli di una volta, lo so che per molti sono una cosa futile e di pura vanità, però erano il mio marchio di fabbrica, sono cresciuti con me e perderli è stato un dolore troppo forte.

Per questo, quest’anno non è il solito calendario glamour. Ho voluto dedicare il mio nuovo calendario fotografico 2016 ai miei capelli, per conservarne un ricordo nel tempo. Il titolo è una citazione alla famosa canzone Love is in the air di John Paul Young che nel mio caso, vista l’assonanza delle parole “air” e “hair” è diventato Love is in the hair ovvero “L’amore è nei capelli”.

Spero di non avervi annoiato con la mia storia, spero che le foto vi piacciano, sicuramente sono state realizzate con il cuore e spero anche di far tornare i miei capelli “all’antico splendore”.

Buon 2016 a tutti!


Gradimento: Fantastico
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