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Isole della memoria
Autore: boskizzi - Pubblicato il 11/02/09
La presenza dell’uomo nelle campagne ha modellato il paesaggio rurale del Nord dell'Italia, creando un sistema in cui l’azione della natura e l’opera dell’uomo si sono intersecate in modo armonico e non distruttivo. Nelle aree rurali, infatti, il rapporto fra uomo e campagna, sino all’inizio della seconda metà del secolo scorso, è rimasto equilibrato. Negli ultimi cinquanta anni l’ambiente rurale è stato investito e coinvolto nella radicale trasformazione strutturale che ha portato il nostro paese a diventare uno dei più industriali del mondo. I mutamenti sono avvenuti principalmente nel tessuto portante degli ordinamenti fondiari, delle tecniche colturali, del quadro sociale. Alla fine degli anni ’50 la Pianura Padana fu interessata da un progressivo aumento degli insediamenti produttivi ed abitativi, che portarono alla creazione di estese e sempre più numerose aree cementate. Per le città, l’accentuarsi del fenomeno determinò la fine del "modello militare", che per molte di esse è stato origine, avamposto della "civiltà", linea di demarcazione tra città e campagna. La città moderna è accompagnata dall’abbandono della campagna e dalla crescita lineare e non reversibile della popolazione urbana.

L'abbandono della campagna e' la caratteristica più evidente della realtà agricola italiana di oggi, i contadini hanno lasciato il lavoro dei campi con la speranza di trovare altrove occupazione più sicure e redditizie. Il coltivatore medio piccolo è praticamente scomparso e le multinazionali dell'alimentazione tendono a imporre ovunque i propri metodi di coltivazione, che da un lato gettano fuori dal mercato gli agricoltori indipendenti, dall'altro tendono a uniformare le colture, sovrapponendosi alle tradizioni del luogo. Si è assistito al trasferimento della manodopera dall’agricoltura alle attività industriali, si è avuto inoltre l’abbandono della cascina isolata sui campi e il trasferimento dell’abitazione nei centri. Non è raro incontrare specialmente in vicinanza di grossi centri industriali, delle cascine abbandonate i cui terreni sono coltivati senza la presenza costante del conduttore e dei salariati. I redditi più elevati ottenuti con l’impiego nelle industrie hanno permesso ai contadini di trasformarsi in operai e trasferirsi nei centri, dove hanno costruito nuove abitazioni che non hanno più nulla delle case rurali. Gli effetti sulla cura del territorio sono impressionanti. Dove la campagna era punteggiata da casolari, cascine, chiesette, oggi si mostrano ruderi a volte diroccati e preda di vegetazione infestante, edifici che negli ultimi lustri stanno diventando terra di nessuno. Sotto il profilo culturale, si percepisce un distacco ormai netto. La campagna è conosciuta prevalentemente come il film che scorre fuori dai finestrini dell'auto in corsa nei trasferimenti da una città all'altra. Sotto il profilo fisico, la perdita del patrimonio è ingente. Nelle corti risuona soltanto l’eco dei motori o il pesante silenzio del vuoto buio rimasto; nessuno più vuole abitare la cascina, solo pochi nostalgici di buon senno o buona volontà, altrimenti per imposta necessità. Vi resta, pur tra i ruderi, il segno dei ricordi dei contadini e degli artigiani che vi abitarono vivendo, amando, soffrendo. Oggi, soltanto in omaggio al più recente concetto che inspira la necessità di conservare la memoria dei tempi e delle cose andate, alcune cascine risorgono a risvegliare i ricordi, per conservarli, per ricondurre la mente sulla società contadina che, ad altri, creò ricchezza. La poesia, l’istinto, le verità di quel mondo contadino sono valori destinati a scomparire; portano nell’oblio non soltanto la miseria dei tempi ma pure un mondo di regole morali di vita che nessuno ha mai scritto, travolte dalle molte barbarie introdotte con il progresso: la globalizzazione porta ovunque le stesse regole, gli stessi processi, i medesimi costumi generando uniformità sul territorio. Il paesaggio agrario, oltre a perdere terreno a favore della cementificazione, sta sempre più perdendo i propri caratteri identificativi, lasciati nell'incuria più totale, ultimi baluardi di resistenza contadina nei confronti della globalizzazione. Ciò che disturba più di ogni altra cosa è l'abbandono in cui versano quasi tutte queste testimonianze; abbandono di fatto, per incuria del tempo e dell'uomo, e abbandono di tendenza, perché il lavoro a cui erano legate queste tracce ora non esiste più. Siamo alle soglie del ricordo, presto non avremo più neppure quello! Il passo successivo muove, invece, dal sentimento di meraviglia che ancora evocano questi edifici: marmi, camini, ferro battuto e suppellettili sono solo alcuni dei gioielli in cui spesso capita di imbattersi esplorando le tante cascine sparse per il territorio della Pianura Padana. La guerra è finita, ma come per certi soldati giapponesi che continuarono a combattere per l'Imperatore non rendendosi conto che il conflitto è finito, queste ultime testimonianze si ergono a difesa di un passato che non esiste più: i contadini sono "scappati" in città, perfettamente integrati nella società moderna; il loro passato strenuamente resiste. I centri abitati si sono ingranditi, costellando la periferia di casette unifamiliari e palazzine, al loro interno sono aumentati i servizi soprattutto negozi di generi di consumo prima non richiesti ma anche luoghi di ritrovo per la gente. La campagna oggi non è soltanto sede di attività agricole e di persone a queste collegate, ma superficie che accoglie altre funzioni, che hanno modificato e reso più complicato il palinsesto del nostro paesaggio. La campagna è diventata anche luogo di rifugio per i tanti immigrati clandestini, senza permesso di soggiorno, che scelgono proprio i ruderi abbanonati come dormitorio di fortuna: essi sono diventati un albergo per disperati. La cascina è stata non solo un luogo di lavoro e produzione, ma anche di abitazione e vita di diverse generazioni di contadini: dunque, un luogo di socialità, espressione e cultura rurale. A distanza di alcune decadi, dopo la fuga di quest'ultimi verso i grossi centri urbani, il paesaggio rurale torna a popolarsi, torna ad essere luogo di socialità per tutti coloro che non trovano accoglienza nei ricchi centri cittadini, diventando al tempo stesso luogo di integrazione e resistenza alla globalizzazione. Viva la campagna.

Armati di macchina fotografica, abbiamo espolorato questi luoghi: vecchi muri, attrezzi logorati dal tempo, infissi pericolanti e pavimenti insicuri, ma anche materassi, fornelli elettrici e giacigli di fortuna. Il passato si mescola con i giorni nostri. Nessuno ricorda più chi abitava in questi posti, nessuno si interessa del loro stato di conservazione, pochi sanno chi vi trova oggi riparo. In questa prospettiva le cascine abbandonate non rappresentano solo il simbolo del degrado del territorio, ma diventano anche una viva testimonianza di un'epoca che oggi non interessa più a nessuno e di un presente difficile, che ugualmente interessa a pochi. Le cascine sono al tempo stesso luoghi del passato e avamposti del futuro: sono isole della memoria, perchè conservano i ricordi di chi vi abitava un tempo e perchè accolgono la cultura, le speranze e il microcosmo di chi le ha elette a propria residenza, seppure da immigrato clandestino. Un tempo il termine indicava un edificio isolato, localizzato nel territorio rurale con funzioni abitative e di svolgimento delle attività agricole legate alla coltivazione della terra, all’allevamento del bestiame, alla lavorazione e conservazione dei prodotti agricoli. Le cascine erano delle «piccole isole» autosufficienti, collocate tra le nebbie della Pianura Padana. Oggi rappresentano un ricordo del nostro passato e un avamposto del nostro futuro: sono luoghi di integrazione e resistenza alla globalizzazione. Sono piccole isole a cui attraccare per viaggiare nel tempo.

ATTENZIONE: le fotografie sono state fatte mediante fotocamere analogiche e rullini 35mm. I colori saturi e surreali sono ottenuti per mezzo della tecnica del corss processing.
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