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Panima - l'Anima del Pane
Autore: samuelerusso
- Pubblicato il 17/01/09
Orme tra il dentro e il fuori
Panima è un’idea, un progetto, il ponte tra due mondi apparentemente distanti: il pane e la persona.
Una ricerca che segue intuitivamente l’esplorazione del dentro e del fuori; la scelta del pane come simbolo di semplicità e vitalità, viene accostata all’essere umano cogliendone affinità e contrasti. Si sprigiona un effetto poetico e magico: la sovrapposizione di immagini che si fondono, i colori che s’infiltrano nel bianco-nero dei ritratti suscitano intuizioni e antiche visioni.
In Panima l’essere umano “è buono come il pane”, gli assomiglia, è fatto della stessa “pasta”, viene colto un frammento della sua spontanea autenticità in un’istantanea interiore. E’ un modo di scoprire il dentro, di mostrare ciò che spesso teniamo segreto nella nostra intimità.
Risuona sottile una proVocazione: valorizzare un essere semplice, nudo nei sentimenti, in un epoca dove per Essere bisogna coprirsi con maschere e corazze.
I dieci ritratti fatti a persone che lavorano nel contesto “dal chicco di grano al pane” catturano l’attenzione per la loro forza; contemporaneamente ci appaiono, il volto e l’anima della persona, a volte in contrasto a volte in fusione armonica.
I profili che emergono sono il cuore del libro, la scintilla espressiva che scaturisce dall’originale ricerca dell’artista, dove l’anima “è un pezzo di pane” , crosta o mollica diventano il codice creativo che svela il carattere della persona.
La scelta del pane come metafora dell’interiorità umana è rassicurante e familiare, il pane è vita, nutrimento essenziale, alimento semplice. Il suo profumo, il suo calore, la crosta croccante e la morbida mollica risvegliano i sensi, fanno affiorare ricordi ed emozioni, ci trasportano in dimensioni fuori dal tempo.
Il pane è buono, così spesso le memorie collegate sono confortanti, ci riempiono affettivamente.
Il pane è il risultato di un processo dinamico, viene dalla terra.
Una mano che semina un chicco di grano, un seme che germoglia, che cresce fino a diventare spiga. La spiga è una generosa famiglia di chicchi; da tante spighe, tanti chicci verranno finemente macinati per diventare farina. La farina ha bisogno dell’acqua per stare insieme, del lievito per crescere, del tempo per trasformarsi, del fuoco per cuocere.
Il pane è il risultato di innumerevoli azioni, interazioni e circostanze, il prodotto finale di un percorso lungo e complesso; assomiglia all’essere umano proprio nel suo divenire, nel suo procedere verso la crescita, verso la miglior “cottura”… la realizzazione del proprio potenziale.
In questo evolversi anche la forma accomuna pane e uomo.
La persona è delimitata dalla pelle che separa l’esterno dall’interno delineando un confine che è protezione, accoglienza e identità. La pelle è un sensibile ricettore che trasmette gli innumerevoli stimoli dell’ambiente all’interno, la psiche li registra e traduce il piano emotivo disegnando sul corpo segni e impronte; così la pelle diventa il diario di un tempo che passa: rughe, posture, espressioni sono la manifestazione di ciò che accade tra il dentro e il fuori. La crosta del pane è come la pelle, fotografa ciò che è all’interno: nella sua durezza, nel suo spessore restano incise le tracce di un morbido impasto che spinge per crescere e prendere forma.
La forma è il dialogo tra gli agenti esterni e la pasta che lievita all’interno.
La mollica é l’essenza di un processo di trasformazione, la crosta è il suo contenitore.
E, se nell’ostia cogliamo l’afflizione della privazione e la dolorosa memoria delle “origini”, nella lievitazione possiamo cogliere le infinite possibilità della trasformazione, la crescita alla quale ogni essere umano protende.
Panima è un’idea, un progetto, il ponte tra due mondi apparentemente distanti: il pane e la persona.
Una ricerca che segue intuitivamente l’esplorazione del dentro e del fuori; la scelta del pane come simbolo di semplicità e vitalità, viene accostata all’essere umano cogliendone affinità e contrasti. Si sprigiona un effetto poetico e magico: la sovrapposizione di immagini che si fondono, i colori che s’infiltrano nel bianco-nero dei ritratti suscitano intuizioni e antiche visioni.
In Panima l’essere umano “è buono come il pane”, gli assomiglia, è fatto della stessa “pasta”, viene colto un frammento della sua spontanea autenticità in un’istantanea interiore. E’ un modo di scoprire il dentro, di mostrare ciò che spesso teniamo segreto nella nostra intimità.
Risuona sottile una proVocazione: valorizzare un essere semplice, nudo nei sentimenti, in un epoca dove per Essere bisogna coprirsi con maschere e corazze.
I dieci ritratti fatti a persone che lavorano nel contesto “dal chicco di grano al pane” catturano l’attenzione per la loro forza; contemporaneamente ci appaiono, il volto e l’anima della persona, a volte in contrasto a volte in fusione armonica.
I profili che emergono sono il cuore del libro, la scintilla espressiva che scaturisce dall’originale ricerca dell’artista, dove l’anima “è un pezzo di pane” , crosta o mollica diventano il codice creativo che svela il carattere della persona.
La scelta del pane come metafora dell’interiorità umana è rassicurante e familiare, il pane è vita, nutrimento essenziale, alimento semplice. Il suo profumo, il suo calore, la crosta croccante e la morbida mollica risvegliano i sensi, fanno affiorare ricordi ed emozioni, ci trasportano in dimensioni fuori dal tempo.
Il pane è buono, così spesso le memorie collegate sono confortanti, ci riempiono affettivamente.
Il pane è il risultato di un processo dinamico, viene dalla terra.
Una mano che semina un chicco di grano, un seme che germoglia, che cresce fino a diventare spiga. La spiga è una generosa famiglia di chicchi; da tante spighe, tanti chicci verranno finemente macinati per diventare farina. La farina ha bisogno dell’acqua per stare insieme, del lievito per crescere, del tempo per trasformarsi, del fuoco per cuocere.
Il pane è il risultato di innumerevoli azioni, interazioni e circostanze, il prodotto finale di un percorso lungo e complesso; assomiglia all’essere umano proprio nel suo divenire, nel suo procedere verso la crescita, verso la miglior “cottura”… la realizzazione del proprio potenziale.
In questo evolversi anche la forma accomuna pane e uomo.
La persona è delimitata dalla pelle che separa l’esterno dall’interno delineando un confine che è protezione, accoglienza e identità. La pelle è un sensibile ricettore che trasmette gli innumerevoli stimoli dell’ambiente all’interno, la psiche li registra e traduce il piano emotivo disegnando sul corpo segni e impronte; così la pelle diventa il diario di un tempo che passa: rughe, posture, espressioni sono la manifestazione di ciò che accade tra il dentro e il fuori. La crosta del pane è come la pelle, fotografa ciò che è all’interno: nella sua durezza, nel suo spessore restano incise le tracce di un morbido impasto che spinge per crescere e prendere forma.
La forma è il dialogo tra gli agenti esterni e la pasta che lievita all’interno.
La mollica é l’essenza di un processo di trasformazione, la crosta è il suo contenitore.
E, se nell’ostia cogliamo l’afflizione della privazione e la dolorosa memoria delle “origini”, nella lievitazione possiamo cogliere le infinite possibilità della trasformazione, la crescita alla quale ogni essere umano protende.